Peccato originale, unioni civili e karma / Di chi è la colpa?
Ci risiamo. A quanto pare per alcuni il terremoto sarebbe correlato alla colpa del peccato originale o delle unioni civili, mentre in rete altri (r)umori trash si sono addensati sul “karma” negativo delle città produttrici di salumi o sulla “necessità” di “benedire” la terra.
Superfluo dire quanto sia inaccettabile che in mezzo a tanto dolore e a tanti problemi le persone colpite dal sisma debbano anche sopportare che nel discorso pubblico circolino simili dabbenaggini (non trovo parole più adeguate e non mi piace usare quelle offensive); detto questo non ce la caveremo semplicemente additando o irridendo l'irragionevolezza, il fanatismo, la superstizione, la pochezza, la paura e la follia che stanno lì dietro.
C'è un tratto di lunghissimo periodo nella storia del pensiero umano, una tesi comune ai pensatori religiosi o metafisici di ogni tempo che suona più o meno così: rifiutare un disegno di senso teleologicamente orientato e garantito dal divino comporta crisi etica e disordine civile e naturale, se non anarchia e violenza. Il che è tanto più falso se si pensa che Democrito e Spinoza, ad esempio, sono stati tra i filosofi più attenti alla dimensione etica e a quella politica nel senso di una democrazia “terrestre” e sensibile alle ragioni dell'intersoggettività.
È sempre stata proprio la concezione finalistica invece a veicolare superstizione e pregiudizi, come mostrano i noti dibattiti storici settecenteschi sui passaggi delle comete (Halley nel 1682) e sul terremoto di Lisbona (del 1755): i teologi infatti leggevano i fenomeni naturali come castighi divini, particolarmente rivolti a chi non accettasse le concezioni religiose dominanti. Ancora in questi anni può capitare di sentire l'arcivescovo cattolico di Monrovia (Liberia) dichiarare che il virus Ebola sia «una punizione divina per l'atto di omosessualità»; così come pastori calvinisti vicina alla destra integralista negli Usa hanno giudicato gli attacchi alle Torri gemelle come un castigo divino per i peccati degli americani e rabbini ultraortodossi hanno sostenuto che la Shoah sia stata una punizione per le colpe di Israele.
Ricorderete in Italia l'ex vicepresidente del Centro nazionale delle ricerche (CNR): uno storico, cattolico tradizionalista, contrario all'evoluzionismo e fervente sostenitore del creazionismo, schierato su posizioni antimoderne in ogni ambito etico, noto alle cronache per aver spiegato la catastrofe dello tsunami del 2011 come “conseguenza” per il paganesimo diffuso in Giappone («un’esigenza della giustizia di Dio»).
Si tratta insomma di un tratto psichico diffuso e tipico di uno stile di pensiero, quasi un genere letterario e una retorica codificata, accomunato dal nesso colpa-punizione che appartiene alla logica dell'intenzione attribuita alla natura come manifestazione di dio.
Escludendo i casi estremi dell'irrazionalismo fanatico e della fobia della scienza, è possibile individuare le ragioni per cui l'antropocentrismo e l'idea finalistica sono così radicati nel tempo e l'evoluzionismo, a dispetto delle dimostrazioni ed evidenze scientifiche, solleva così tante resistenze?
Recentemente il biologo Richard Dawkins ha commentato il fatto che la teoria darwiniana dell'evoluzione incontri violente opposizioni, pur essendo uno dei maggiori successi scientifici della storia, affermando che la nostra mente sembra «specificatamente progettata per fraintendere il darwinismo»: intendeva dire che «gli esseri umani […] amano spiegazioni basate sull'intenzionalità, su deduzione di progetto e di finalità» in quanto questo «sembra essere una specializzazione adattativa della nostra specie, che ha sviluppato più di ogni altra un sistema di riconoscimento di agenti animati che si muovono nel contesto esterno».
In questo senso credere che vi sia «un agente intenzionale, che abbia o meno fattezze umane, nascosto dietro la complessità della realtà» risulta un fatto naturale. È dunque «la nostra lente adattativa di tipo psicologico e sociale» che «ci porta ad associare la complessità a un intento preordinato e la funzionalità di una struttura alla finalità di un costruttore o di un Creatore» (così nel libro di Girotto, Pievani, Vallortigara).
Lo stesso Darwin era consapevole che le difficoltà di far comprendere le sue scoperte, in contrasto con il senso comune e controintuitive, fossero legate soprattutto al fatto che le teorie creazioniste, così come i miti, sono più semplici, appaganti e in definitiva facili da credere. In questo senso la teoria darwiniana della selezione naturale, compie uno scatto rispetto all'alternativa secca tra il caso e l'intelligenza: con la sua intrinseca legalità, essa rende superflua l'idea di una intelligenza progettuale preposta al perseguimento degli scopi negli organismi. Tale idea non è più necessaria per lo svolgimento di una funzione, che può venire così in modo autonomo e autofondante.
Scrive Telmo Pievani: «L'estrema perifericità della condizione umana, sul terzo pianeta di un sistema solare ai margini della galassia come tante, va accolta nella sua tragica bellezza. È un'occasione di emancipazione: dalle ingannevoli consolazioni finalistiche, e soprattutto dagli officianti di tutte le Chiese che pretendono di addomesticare la storia per giustificare il presente [...]. I figli dell'asteroide e della Rift Valley sono restii a convincersi, come invece lo era nel IV o III sec. a. C. l'ignoto estensore del Qoelet (9, 11), che sotto il sole “il tempo e il caso raggiungono tutti”.
La finitudine radicale e la fragilità estrema del nostro vivere, in nome dell'improbabilità che noi stessi rappresentiamo, caricano l'autoaffermazione e la solidarietà umana di un surplus di dimensione etica proprio perché questa risulta, in ultima analisi, fondata esclusivamente sulla coscienza di esseri biologicamente determinati, costituiti di polvere cosmica e scagliati su una pianeta che orbita in una regione marginale dello spazio.