Uccidiamo il chiaro di luna / Regge il futurismo al passare del tempo?
Confesso di aver sempre avuto il desiderio di assistere a una serata futurista e di essere partita ben disposta nei confronti dello spettacolo ravennate "Uccidiamo il chiaro di luna". La sfida mi sembrava ardua: reggerà il futurismo al passare del tempo? L’ode alla guerra, in tempi così difficili? L’esaltazione della tecnica, ora che nel progresso ci viviamo? O, ancor meglio, i roboanti proclami – cui siamo abituati – dei manifesti futuristi, manterranno sulla scena le promesse altisonanti declamate sulla carta? A dare un'occhiata furtiva alla locandina (Marinetti, Russolo, Balla, Depero, Severini, Tullio Crali) s'intuiva che, comunque fosse andata, erano stati "arruolati" tutti quelli che contavano, prendendo a prestito il meglio del movimento dai suoi esponenti, più o meno celebri e bravi, più o meno di primo piano.
Il punto era come: pur essendo immersa nel futurismo da sempre (mi sentirei di consigliare la lettura, a mo' di introduzione, de L'universo futurista: una mappa, dal quadro alla cravatta, di Anna D'Elia, dedalo edizioni, 1988, che credo possa esser ancor valido ancorché forse ormai introvabile) scarsi mi son sempre sembrati quei documenti che ci permettono l'illusione di aver fatto esperienza del futurismo in diretta, sulla nostra pelle.
Chi non avrebbe voluto ascoltare Boccioni declamare a Torino il primo manifesto dal palcoscenico del teatro Politeama Chiarella (dove recentemente è stata esposta una targa commemorativa l'8 marzo 1910?
Abbiamo cronache giornalistiche, incisioni radiofoniche/fonetiche, i celebri Archivi del futurismo, ma… poco che riesca a trasmettere l'autentico gusto di quelle serate. Teatro futurista? Cinema futurista? I cinema continuano a sonorizzare Tempi moderni e Metropolis! Belle idee, ma difficile farsene un’idea concreta (pittura a parte, ovviamente). Non riesco a dimenticare la frustrazione nell'essermi documentata inutilmente sull'avanguardistica musica cromatica di Ginna e Corra nel 1912, che sembrava anticipare le sperimentazioni di Skrjabin.
Da un lato dunque c'è troppo: troppo sul piano delle suggestioni visive da tradurre in movimento, troppo poco dal punto di vista del canovaccio da seguire in scena. Tuttavia Marinella Guatterini, ideatrice e direttrice artistica di questo "Uccidiamo il chiaro di luna", a metter insieme tutto ci è riuscita molto bene. L'occasione è nata dalle conversazioni che la coreografa e danzatrice Silvana Barbarini ebbe tra il 1978 e il 1980 con Giannina Censi, unica ballerina futurista, di cui è stata allieva, e Tullio Crali, aeropittore. Marinetti, rimasto colpito dalla Censi nel corso di spettacoli di danza accompagnati da versi paroliberi, vide in lei l'impersonificazione della "Danza dell'aviatrice" che avrebbe portato in scena a Milano, rivestendola di un argenteo costume balneare futurista ideato da Prampolini, pensato per una danza priva di fronzoli, animata solo dal progresso.
E anche oggi, nello spettacolo andato in scena al Ravenna Festival, lo scorso 1° giugno, è questo uno dei momenti cardine della serata: il nulla della scenografia contro cui si staglia il corpo femminile scattante, rimodellato, asciutto, e modernamente inteso. Donna che diventa macchina; abbandonate le forme, è anatomia pura, guizzo muscolare, dominio maschile attraverso un corpo di donna.
Espansione dinamica + velocità, ca. 1913.
Programmaticamente, Marinetti annuncia l'intenzione di fondere l'uomo (e la donna) con la macchina: voltando le spalle all'armonia, alla danza classica, ai tutù e anche alle fattezze umane. Il manifesto della danza futurista è del 1917: "Bisogna superare le possibilità muscolari, e tendere nella danza a quell'ideale corpo moltiplicato dal motore che noi abbiamo sognato da molto tempo. Bisogna imitare con i gesti i movimenti delle macchine; fare una corte assidua ai volanti, alle ruote, agli stantuffi; preparare così la fusione dell'uomo con la macchina, giungere al metallismo della danza futurista".
L'intelligenza dello spettacolo ideato da Silviana Barbarini, però, sta nel non limitarsi alla ricostruzione filologica di un solo aspetto del movimento (ad es. il macchinismo o l'aerodanza, o il Manifesto di Marinetti), ma di fare un giro intorno a tutte le colonne portanti del futurismo, saccheggiando là dove le è stato possibile. Nel cercare ciò, ha ottenuto, ad esempio, dalla figlia di Marinetti le registrazioni radiofoniche delle declamazioni di Filippo Tommaso, ha studiato le tavole parolibere di Balla, i Balli Plastici di Depero. Si è certamente nutrita di tutta la pittura del primo e del secondo futurismo. Lo spettacolo è strutturato in molti piccoli episodi, aperti dalla "Danza dello Shrapnel", che sarebbe piaciuta da matti proprio a Depero che vi avrebbe rivisto in movimento alcune fra le sue più celebri creazioni. E la danza che ne risulta è permeata da "un'energia discontinua, crescente e decrescente, contratta e decontratta in intervalli di tempo molecolari", angolosa, puntuta, insistente.
Niente musica, ma un tessuto ritmico fatto dai piedi dei danzatori (indicazioni di Marinetti come: “Con i piedi marcare il tum-tum del proiettile che esce dalla bocca del cannone; con piccoli colpi saltellanti delle mani e una attitudine sospesa, estatica del corpo, esprimere la calma indifferente e sempre idilliaca della natura e il cip-cip-cip degli uccelli”), dalle declamazioni radiofoniche e dai testi fonetici di Balla, condito dall'immancabile intonarumori di Russolo.
La guerra, i caccia torpedinieri, le mitragliette e la macchina in generale sono contrapposti alla grazia leggiadra della dea-aereo, una grazia femminea pur sempre volta alla conquista del mondo attraverso la lucentezza del progresso tecnologico. (Lo Schrapnel, un tipo di proiettile, la mitragliatrice e l'aviatrice sono i primi tre capitoli del Manifesto futurista della danza in cui Marinetti dà minutamente il dettaglio della sonorizzazione/coreutica).
Centrale il Bombardamento di Adrianopoli, ovvero la violenza semantica della partitura corale Zang Tumb Tumb, affidato ad attori professionisti, diretti da Emanuele De Checchi, che rendono ogni sfumatura della partitura vocale, dandogli corpo.
La sinfonia olfattiva e l'astrattismo, infine, in un quadro tutto basato su campiture sature di azzurro e bianco, tra uno sfasamento dei piani visivi e il movimento iper-plastico, quasi caricaturale. Non più strumenti: megafoni.
L'apoteosi della macchina e dell'intelletto si ha con la "danza tipografica", dove i ballerini/caratteri mobili srotolano davanti ai nostri occhi cosa può la stampa se unita a idee prorompenti come quelle di Marinetti: sottolinea ancora una volta la centralità del manifesto, del ciclostile, della diffusione cartacea delle idee nuove. Cosa sarebbero state le fontane di parole, del resto, se Apollinaire non le avesse stampate? Non a caso il gesto forse più eclatante fu gettare dal campanile di San Marco il 27 aprile 1910 un volantino stampato contro la Venezia passatista. Una dimostrazione che sottolineava ancora una volta che bisognava Uccidere il chiaro di luna.
fonte Arengario:
“Quando gridammo: Uccidiamo il chiaro di luna! noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo! Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica.”
Danze, voci, suoni del Futurismo italiano
Uccidiamo il chiaro di luna (1997-2015)
coreografia Silvana Barbarini
direttore del coro Emanuele De Checchi
con i danzatori della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi
musiche Aldo Giuntini, Filippo Tommaso Marinetti, Alexander Mosolov, André Laporte
ricerche musicali e incisioni Daniele Lombardi
intonarumori Luigi Russolo
testi Filippo Tommaso Marinetti
testi fonetici Giacomo Balla
tavole parolibere Fortunato Depero, Gino Severini
voci recitanti Filippo Tommaso Marinetti, Cristiano Censi, Tullio Crali
con Mattia Franco e Alice Capoani
costumi Donatella Cazzola, Enza Bianchini, Nunzia Lazzaro
macchine rumoriste Fabrizio Palla
luci Paolo Latini
collaborazione al progetto e alla coreografia di Siio Vlummia-Torrente
Giannina Censi, Alessandra Manari
riallestimento nell’ambito del Progetto RIC.CI
(Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80/’90)
ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini
fotografo Alberto Calcinai