Storia sociale del blog in Italia
Ho avuto modo di leggere con grande curiosità The Blog Up. Storia sociale del blog in Italia di Elisabetta Locatelli, in libreria per i tipi di Franco Angeli: da tempo sento il bisogno di una storicizzazione e di una contestualizzazione di un fenomeno, come quello dei blog, che periodicamente ritorna nel discorso pubblico, e questo libro sembra offrire esattamente ciò.
Con poche e felici eccezioni, i testi che si occupano di web, di analisi sociale della tecnologia, di internet studies raramente adottano uno sguardo diacronico: da una parte ciò accade perché lo sviluppo tecnologico procede a un ritmo così rapido da rendere rapidamente obsolete anche le analisi migliori, ma dall’altra assistiamo anche a un proliferare di testi che cercano di cavalcare gli hype, le diverse mode che sorgono per poi sparire poco dopo. In termini storici, Internet non è che l’ultimo nanosecondo dell’evoluzione umana: si ha scarsa memoria del web, la cui velocità di sviluppo, i cui flussi di informazione incessanti, le cui timeline in costante scorrimento impediscono spesso uno sguardo di lungo periodo.
Il libro della Locatelli, invece, offre una lettura del fenomeno dei blog che parte dall’arrivo di questa tecnologia in Italia e si conclude con l’intersezione corrente tra blog e social network. Esso si apre con il tentativo di offrire una definizione operativa stringente del termine “blog”, che sia relativa alle caratteristiche intrinseche dello strumento piuttosto che alla molteplicità dei suoi usi (come già aveva suggerito Giuseppe Granieri nel suo Blog generation del 2009).
Nella nota metodologica leggiamo chiaramente i paletti all’interno dei quali l’autrice ha mosso la sua ricerca: con un approccio microsociale, attento cioè alle pratiche individuali, il cuore del suo studio consiste nelle interviste a 26 blogger (equamente distribuiti tra uomini e donne). Allo stesso tempo la Locatelli non perde di vista il contesto generale dello sviluppo tecnologico, dell’evoluzione culturale, istituzionale ed economica. Ci troviamo davanti a una metodologia molto solida (e a ciò contribuisce il fatto che il primo nucleo del libro sia stato la tesi di dottorato dell’autrice) che fa riferimento da una parte agli studi sociologici su media e nuovi media, dall’altra, concependo il blog come testo, lo analizza anche grazie una pluralità di altri strumenti analitici. Questo le consente, pur dentro i paletti accuratamente stabiliti, una lettura che riesce a rendere la complessità e la poliedricità del suo oggetto di studio: il blog come luogo di espressione del sé (e in tal senso è molto felice il riferimento, nelle conclusioni, al Foucault delle Tecnologie del sé), come artefatto tecnologico, come relazione sociale. Il libro si articola tutto lungo questa tripartizione.
La Locatelli si concentra sui blog individuali, ossia «blog redatti da un solo autore, che non fossero legati ad una attività professionale e che fossero uno spazio libero di creatività»: l’obiettivo è chiaro, ed è quello di «esaminare in profondità come il blog sia entrato far parte della vita degli utenti attraverso i processi di incorporazione pratica, simbolica e cognitiva, e come le coordinate spazio-temporali vengano riconfigurate da questo processo». A tale scopo l’autrice adotta un preciso paradigma interpretativo, quello del cosiddetto social shaping of technology (modellamento sociale della tecnologia), un ampio corpus di studi e teorie che si caratterizza per alcuni assunti principali: «l’opposizione al determinismo tecnologico, l’abbandono della dicotomia tra scienza e tecnologia e l’attenzione ai fattori organizzativi, sociali, politici, culturali ed economici che influenzano lo sviluppo della tecnologia». Tale scelta si configura di per sé come un duplice tentativo: da una parte si tratta di una forma di critica dell’ideologia – in questo caso della vulgata tecno-ottimista; dall’altra lo studio costituisce anche un’archeologia del blog, che ne rintraccia le caratteristiche essenziali, la loro evoluzione, il loro consolidamento in una serie precisa di pratiche e di fruizioni (per esempio la scelta di postare articoli con ordine cronologico inverso, l’apertura dei commenti, l’utilizzo di toni informali e così via). Per questi soli motivi la lettura di The Blog up si rivela come una salutare boccata di ossigeno intellettuale.
A partire dalla sua solidità metodologica e dalla vastità dei riferimenti teorici, sembra quasi un peccato che il lavoro di campo si sia limitato ai blog personali. Chissà cosa ne sarebbe emerso se la scatola degli attrezzi di Elisabetta Locatelli fosse stata applicata per esempio ai blog multiautore (con dimensioni e intenti più limitati lo scrittore e chimico Arturo Robertazzi si è posto tale domanda), per i quali – secondo quanto io stesso ho osservato e descritto, sebbene con minore rigore teorico, nel mio pamphlet I book blog. Editoria e lavoro culturale – le conclusioni a cui giunge l’autrice sono a maggior ragione più vere e più pregne di implicazioni culturali e politiche:
«autorevolezza e tematicità sembrano essere due dei tratti che hanno consentito ai blogger di resistere all’avanzata dei social network a ai blogger di consolidarsi come opinionisti fidati. In questo senso, di fronte al proliferare di fonti d’informazione e di luoghi dove condividerla, uno dei loro ruoli può essere quello di gatewatcher […]».
Una domanda resta però sottesa a tutto il libro: il blog è uno spazio privato o pubblico? Risolvere quest’ambiguità è fondamentale per poter misurare fino in fondo quello stesso modellamento sociale del blog che l’autrice ricostruisce con tanta precisione. E proprio nelle righe finali sembra propendere – forse inconsciamente? – per una dimensione pubblica dei blog, quando, parlando della loro evoluzione, fa riferimento alla «continua dialettica fra espressione del sé e relazione sociale in uno spazio pubblico». Del resto, anche il più privato dei diari non rappresenta forse un dialogo con l’Altro? Immaginato o reale, in carne e ossa o di bit, c’è sempre un Altro destinatario di ogni espressione del sé.