Albero stella di poeti rari
Continua lo speciale dedicato a Giuliano Scabia, uno dei padri fondatori del nuovo teatro italiano, maestro profondo e appartato di varie generazioni, artista sperimentatore, poeta, drammaturgo, regista, attore, costruttore di fantastici oggetti di cartapesta, pittore dal tratto leggero e sognante, narratore, pellegrino dell’immaginazione, tessitore di relazioni, incantatore. Entra nel vivo, dopo l’intervista Alla ricerca della lingua del tempo, con la pubblicazione in esclusiva, in quattro puntate, di un poema inedito, Albero stella di poeti rari – Quattro voli col poeta Blake, recitato per la prima volta dallo stesso Scabia durante il festival A teatro nelle case del Teatro delle Ariette a Oliveto di Valsamoggia (2014).
Giuliano Scabia a Oliveto Valsamoggia nel 2014, ph. Maurizio Conca
VOLO SOPRA LA CITTÀ DI LONDRA
1. Nel verde risonante
Nel verde risonante apparve
la città: era nel futuro: copriva
con la sua immensità ogni verde,
era brulicante – era l’umanità.
Tigri, elefanti, leoni, leonesse,
coccodrilli, mammuth, pitoni, pitonesse,
lupi, formiche, uccelli piccoli e grandi
in loro evoluzione camminanti
eravamo insieme – non immaginavamo
tanto mutare verso ciò che siamo,
bestie brucanti nel verde risonante
con gridi e canti – e uno già parlante.
Da Londra comincia il mio cammino
di gradino in gradino salendo
da sotto terra partendo – contemplando
l’antro del metrò come una grotta di Lascaux dipinta.
Da solo che farò? Dove si deve andare?
Cento dell’Underground sono le direzioni,
di sicuro mi perdo – le visioni
sono smarrite – chi m’aiutare?
Ed ecco un uomo bello appare
e il mio nome nel Charing Cross incrocio di binari
dice: e in inglese antico m’invitare
a seguirlo – che luce ha negli occhi rari!
Con lui salgo di piano in piano
e quando fuori sulla via usciamo
gli domando: “Dove andiamo?”
“Be quiet,” – dice. – “Una visione seguiamo.”
Dentro il St. James Park ora camminiamo
e finalmente sotto un platano grandioso
si ferma l’uomo che mi guida misterioso.
“Ora,” – dice – “su per quest’albero andremo.”
Gli scoiattoli ci guardano, e cigni, anatre, pellicani,
cornacchie, passeri, colombi, aironi, gabbiani.
“Ecco,” – dice l’uomo quanto mai bello
mentre ci arrampichiamo, – “intorno quello
vedi è un resto del verde risonante.”
“Mia guida,” – dico – “cosa pensi della città
meravigliosa di botteghe, di luci abbagliante,
attrattiva di operosità
che da ogni parte cresce e sopra
si stende e ogni bosco e prato copre
dove non più cervo, volpe, lupo o lepre
selvaticamente all’occhio si scopre?”
“Penso,” – dice – “che tutto è sacro, ma caduto. Bosco
notte vento ciminiera nave o tempesta
in tutto ciò che appare, chiaro o fosco,
è l’essere che viene, Inferno e Festa.”
“Allora,” – dico – “tu sei Blake, il visionario
poeta del Cielo e dell’Inferno,
del verde risonante lo straordinario
cantore – il folle del Sacro Eterno descrittore.”
“Eterno è l’Amore,” – dice – “eterna
la Benevolenza, la Pace, il Perdono,
eterna la Bellezza materna
di Dio. Il Paradiso è lontano, intorno, vicino.”
“Vicino?” – dico. – “Intorno?” “Qui,” – dice – “sulla pianta
dove siamo è l’inizio della via che porta
al Paradiso – quello perduto e quello conquistato, la porta
oltre cui non più morte si vanta.”
“O poeta raro, poeta di visioni,
di quali Paradisi stai parlando?”
“L’uno” – dice – “il giardino verde ch’era quando
prima che gli uomini a milioni
di metropoli coprissero il mondo
e con bestie rugiade e nubi
sopra le piante liberi vivendo
non correvano in sotterranei tubi.
L’altro quando verrà il gran tempo
che tutte le fantasie umane lievitando
il Cielo e la Terra congiungendo
saranno une nell’eterno vento.”
“O matto poeta caro,” – dico – “come fare?
Impossibile al primo Paradiso tornare.
E del secondo, l’Eterno e Uno, sei sicuro
nel congiungimento futuro?”
“Sì,” – dice il poeta di visioni. – “Ma prima
vieni con me a volare – le rime a coltivare.”
Qui mi colse un tremito profondo, del platano là in cima:
poi mi trovai nell’aria e lui per mano me portare.
Giuliano Scabia, "L'albero dei poeti: sui rami vengono i poeti che hanno voglia, di giorno e di notte"; "forse blake, forse baudelaire uccello…" ph. Massimo Agus.
2. Visione del teatro umano
Vieni, stupore, preparati a guardare
il brulicante colorato mistero
del teatro umano, vieni a svelare
la finzione che nasconde il vero,
Ofelia con Amleto in Leicester Square,
Polonio giocoliere al Covent Garden,
il fantasma del padre in cattedrale,
a Victoria Station i cavalieri di Arden,
re Lear che vaga con Cordelia
verso Greenwich, gli assassini
che inseguono, la saetta che abbaglia
la notte, gli alberi in cammino
della foresta di Birname,
Sir and Lady Macbeth illuminati
di sangue e luna lungo l’acqua – e Banco
che li fissa allucinati dal delitto infame…
“T’accorgi? T’accorgi?” – dice il poeta di visioni –
oggi per Londra si aggirano
i personaggi delle rappresentazioni
che, come noi, tremanti vivono,
vedi Otello che sale in Underground,
Desdemona sua sposa attraversa Hyde Park,
Jago broker insegue il sound
degli urli in borsa – il duca di York
vende ombrelli sul Westminster Bridge,
Oliver Twist fa il ladro da Harrods,
Falstaff e Romeo si gustano il brunch
da Fortnum, Alice e Giulietta giocano a bridge
a Bloomsbury. “E dunque?” – dico.
“È sempre,” – dice il poeta Blake – “la caduta,
la perdita, la scissione
che ovunque svela l’unità perduta:
uomini veri, uomini inventati,
è sempre derisione – da cui noi
siamo costretti a vivere separati:
dal gran teatro non uscire puoi.”
“O matto poeta – mio sapiente,” – dico –
la tua visione è immensa poesia:
però tu vedi tutto e non vedi niente
perché velo ti fai d’ideologia.” E lui:
“O curioso poeta con cui in volo
sopra la metropoli di Londra
chiacchierando lietamente mi consolo
come persona che affine incontra
cosa dici? L’Eden perduto
è divenuto il dolente mondo
e tu sei con me da me diviso
senza che nulla sia venuto
per risarcimento.” È qui che un vento
ci afferra e scuote e rapidamente
ci porta in alto vertiginosamente
e quando finalmente si fa più lento
il volo Blake dice: “Hai visto?
In balia siamo – ci porta la visione
che viene – il corpo di Cristo
che è Satana e Dio – passione.”
Giuliano Scabia a Teatro nella case, Oliveto a Valsamoggia, ph. Maurizio Conca, 2014
3. Motociclisti
Vento ora ci porta calmamente
verso una corsa di motociclisti
spietatamente piegati in curve
allunghi e balzi imprevisti
in caschi e tute intrisi di potenza
coloratissimi bianchi blu rossi
elettronicissimi rumorosissimi
qualcuno qua e là per i fossi
capitombolando – sono lucidatissimi
demoni – e il mio poeta dice: “Ora
casco e tuta e moto pronti e allora
anche noi in corsa velocissimi.”
Anche noi demoni ora fatti, in testa
abilissimi alla corsa, in estasi
meditiamo – estasi per velocità
come chi oltre soglia di luce va.
Estasi è sortire da sé, salpare
come veliero che d’ansia
ha le vele colme – ansia
di uscire in alto mare,
estasi è moto guidare sfiorando
l’erba con la spalla, sfiorando
i fiori variopinti sapendo
che in un istante può morte venire.
“Poeta matto,” – dico. – “Perché stiamo correndo?”
“Perché l’Inferno,” – dice – “è correre vivendo
e correndo risentire il vento
che in vita tiene ciò che sta morendo.”
“Allora,” – dico – “niente muore?”
“Niente è morto niente morirà
e tutto piano piano tornerà
a essere uno, corpo intero.”
Vengono di lato le moto rombeggiando
alle curve, indiavolate – con gli altri demoni
schinche e balzi giocheggiando
ebbri divertendoci andiamo
di giro in giro dai gridi incitati
degli spettatori ai lati, la folla
che aspetta la vittoria o l’incidente
quando improvviso come una molla
il mio poeta scatta e volando
con sua moto rossa luccicante
al traguardo sopra passando
dietro sé mi chiama – e in un istante
sopra la grande Londra in moto
ci troviamo – ci togliamo il casco – e piano
verso il Globe Theater caliamo,
siamo sul palcoscenico – nel teatro vuoto.
Giuliano Scabia a Oliveto Valsamoggia nel 2014, ph. Maurizio Conca
4. Globe – innocenza
Matto tu sei – matto poeta
folle che mi fa volare –
ora d’innocenza voglio parlare,
di quel tempo della vita lieta.
“Globe,” – dice Blake (lo dice
lievemente recitando) – “Globe
vuol dire sfera, terra tonda,
siamo sul palcoscenico del mondo
dove ora avrai rivelazione
di cosa sia innocenza.
Nulla avviene che non sia presenza
di lacerazione. Ma quando
sotto l’albero materno gli agnelli
e i lupi, e i bimbi in loro
giochi, e un loro pastore
li guarda e il sole e gli uccelli
in scanditi colori illuminati
stanno a veglia e si sente gorgheggiare
e cantare, e il pastore raccontare,
e le ombre e l’acqua dei ruscelli
mormorare – là è l’innocenza.”
Ma ecco che improvvisa sorge
un’ombra – è un’immaginazione –
è l’attrice Cordelia di piangere in azione.
Stupiti spettatori osserviamo
lei che verso qualcuno va
terribile nel suo pianto, sentiamo
che l’innocenza forse per sparire sta.
Ma il mio poeta dice: “Non paura,
ogni poeta sa che innocenza
è solo un momento di visione:
sapienza è la contemplazione.”
Ed ecco che ora come un re
il mio poeta guida prende posto
su un trono che è rimasto là
forse da un Re Lear – un resto
di tragedia – e dice: “Denso
è il tempo. Impara a sapere
che i nuclei dell’intenso essere
sono i bocci disseminati
nel tessuto corpo dell’immaginato:
guardandoli fioriscono e in quel momento
beato prendi nutrimento
d’innocenza e primo sempre amore.”
“Sbagli!” – grido. Parlo al re in trono,
facciamo teatro. Gioco
la carta di ciò che sono,
non ci casco neppure un poco
all’ubriacamento delle visioni. Dico:
“Dall’immaginazione sorge innocenza
e sorge perversione. Non esiste innocenza in sé,
mio re. Le tue sono illusioni.”
E lui si alza e sorride. “O poeta, – dice –
di scarsa visione. Io qui, da re, ti affermo
che l’aprirsi del seme d’immaginazione
è la forza innocente della visione.
E di visione in visione volando
del mondo infinito nel vento
è vedendo l’aprirsi dei semi beati
che rende innocenti i nati
nuovi, agnelli immaginati
e tigri leoni elefanti aeroplani
motociclisti treni esseri umani
da noi visti, narrati e cantati
e nelle parole del canto
intrise delle visioni,
semi del tempo incarnato,
splendono le apparizioni.”
Sono incantato, pericolosamente.
Ma per fortuna viene il nuovo canto.
Ho la mente di gemme costellata.
È quando nei poeti soffia il vento.
Giuliano Scabia, "L'albero dei poeti: le bestie, fra cui blake uccello, o forse baudelaire, ascoltano orfeo che suona per loro, per l'albero e le foreste, e per le pietre"; ph. Massimo Agus.
5. Globe – esperienza
È l’ora del tramonto del Sole che
calando fruscia e apre l’ombra
alle apparizioni. Dice la mia guida: “È
venuto il momento, è sgombra
l’anima per vedere e ascoltare.”
“Sono perplesso,” – dico. – “Ancorché
disposto a tutte le avventure
ho paura per me e per te.”
“Paura,” – dice – “è ciò che mistero contiene,
esperienza intrisa di dolore, attesa
dell’Inferno e sua passione:
ma qui è scena, recitazione.”
Ecco, ora sorge Amleto dalle assi
e s’aggira mormorando: e quando
lo chiamo si volta, ha in mano dei sassi,
li batte e li fa suonare, chiamando
dice: “Anime, anime, stupide anime
senza senso nate, presto morte,
esperienza è dolore, dolenti anime
che entrano escono per le porte
della vita breve. Il niente è re del mondo.”
“Basta,” – dico. – “Basta frasi fatte, filosofumi,
principi stabiliti per tristezza,
nero umore coltivato in fiumi
di parole. Basta! Gioca col Sole,
Amleto, strappati le ragnatele dal cervello.”
“Ma come fai, – dice – poeta stolto,
a non sentire la malinconia che duole
in ogni battito del cuore?” “Amleto,”
dico – “smettila. Corri, salta, fa capriole,
sospendi il pensiero nero, quieto
ridi e aspetta che venga il Sole.”
No, non viene il Sole. Sta tramontando
e ombre e ombre sorgono di attori
dolenti, personaggi che tacendo o mormorando
si aggirano meravigliosi, fiori
dell’ombra, e piano piano formano
una stella di corpi avvinghiati
su cui si arrampica Amleto, lo adornano
di fiori e lo reggono sui bracci sollevati
costellato, inarcato, come per farlo volare,
poi cominciano a girare
e piano piano per visione Blake e io
vediamo salire come verso Dio
la stella d’attori che regge Amleto morto.
“Poeta caro,” – dico – “per quale destino
da un coro d’attori così vivo
è nata una stella che al centro regge un morto?”
“È il nero profondo Inferno interno,” – dice Blake –
“che da quando ci fu esperienza
per nostalgia dell’innocenza
vive godendo del dolore.”
“E allora?” – dico. – “Non c’è soluzione,”
– dice la mia guida. Cala la sera,
viene la notte, sale in cielo la stella nera,
esce dalla visione.
Ma io: “No!” – dico. – “No! Regia! Regia! Attori,
tornate in palcoscenico! Rifacciamo
la scena! So come! Tornate, o cari,
in strada, che proviamo la stella
in luogo nuovo, in mezzo al Charing Cross
o Piccadilly’s traffic street – fermare
auto e autobus – stellare
Amleto come stella allegra
che balla e trilla e racconta
storie di quando andava a nidi,
sentieri cercare, delle rondini i gridi ascoltare
e con Ofelia baci e carezze dare.”
Trum, trum! Londra è ferma per guardare, illuminata,
Blake ride, gli attori tirano fuori le birre,
la gente multicolore è incantata
per la farsa di Amleto e le stelle a mille a mille.
6. Tottenham: campo di calcio
“Bravo,” – dice Blake – “ma sono cose
di teatrini – non entrano nel mutamento
che è alla radice del mondo, alla resa
dei conti inesorabile. Ora però è il momento
di entrare nel gioco del pallone:
vedi le squadre pronte, Arsenal and Tottenham:
avversari giocheremo e la visione
avrai del You are e del I am.”
Siamo nello stadio pulsante in attesa
del primo calcio. Colori, urlare,
alzarsi, sedersi, cantare, vibrare,
ah! tutta quella gente là, sospesa
alla sfera. Comincia l’imprevedibile
partita. Nelle due squadre siamo
l’in più giocatore invisibile.
Per poesia giochiamo.
Per visione e poesia i giocatori
si levano nell’aria, volatori,
e su su pian piano rivelarsi la volta di stelle
che attraversiamo e tanto belle
figure di galassie e appena nati universi
ci godiamo mentre il pallone
vola perfetto nei moti, segue come di versi
un poema, una scrittura di suoni.
“O matto poeta,” – dico. – “Volevi
darmi la prova che tutto permane
anche se decaduto e diviso rimane?
Volevi che tutto capissi in tempi brevi?”
I giocatori intanto si erano smarriti,
puntavano le gambe, avevano – ah quanto intimoriti! –
paura di cadere e fracassarsi. Ma noi gli facemmo
coraggio – e rivelazioni demmo.
“O giocatori,” – disse Blake. – “Poveri mercenari,
ora per destino siete giocando
la più divina partita:
quella che svela la vita:
ciò che appare è l’universo mondo
nel suo giocare: tutto è gioco
di equilibri, cadute, risalite – tondo
è il pallone come ogni perfezione.
Al poeta italiano qui smarrito
bisognava mostrare la bellezza
dell’innocenza e la stoltezza
dell’esperienza – la grandezza
del saper mettere in gioco
il tutto, il nulla, il pieno, il vuoto,
d’Inferno e Paradiso l’immobile moto
che vince d’ogni morte il pallor fioco.
Guardate! Esce dal palazzo la regina,
è l’ora di tornare. Il pallone
è stella mattutina – la canzone
nella notte smuore – si spegne la visione.”
“E allora?” – dico. “Allora,” – dice Blake –
“bisogna saper giocare. If You like,
poeta, ti porto all’altro mondo.” “No,” – dico – “non ora.
Tempo d’oltre passare è non venuto ancora.”
Poi tornammo. E al the sedendo
in Piccadilly stemmo
evocando semi di poesia
onde trovar domani i bocci fioriti sulla via.
Nota
Il racconto comincia a Londra, all’inizio della primavera 2013, trovandomi là occasionalmente. Stavo anche cercando i luoghi di Blake. In una libreria di Piccadilly trovai i Songs of Innocence and Experience con le incisioni a colori. In quelle ore sentii il tremito della storia che si formava.