Interfacce: da Brunelleschi a iOS8
Un'importante riflessione contemporanea è come la tecnologia, e più specificamente le interfacce, possa dare forma alle nostre modalità di percezione e interazione, e quindi alla nostra realtà quotidiana, attraverso le proprie narrative e forme di rappresentazione. È un tema vasto, e questo breve articolo si concentrerà sulla evoluzione della GUI (Graphic User Interface) della Apple confrontandola con l’evoluzione della rappresentazione dello spazio tridimensionale nell’arte occidentale per derivarne alcune conclusioni – e anche porre alcune domande.
Nel 1984 Apple lanciò il primo personal computer Macintosh dotato di Graphic User Interface, e con esso, il primo sistema operativo reclamizzato in una pubblicità di Ridley Scott ispirata al romanzo di George Orwell 1984:
Il sistema operativo includeva la ora onnipresente metafora della scrivania: una narrativa che costruisce la finzione del computer come continuazione della scrivania “materiale”, nella quale gli utenti hanno cartelle in cui tenere i documenti, un cestino per buttare via la spazzatura, e così via. In precedenza, l’utente doveva essere in grado di programmare, di scrivere linee di codice, almeno minimamente, per poter interagire col computer.
Mac OS1
Se è vero che la narrativa della scrivania è più user friendly, è anche vero che è una finzione: non ci sono un “cestino”, né “cartelle”, né “documenti” dietro l’interfaccia, ma linee di codice che il computer traduce in zeri e uno. L’utente esercita una quantità di operazioni “finte” come se stesse utilizzando gli elementi presenti in un ufficio, e non ha la minima idea di cosa stia veramente facendo il computer.
Una parte di questo problema ha a che vedere con il tema del software open-source vs. software a pagamento: si deve avere un certo livello di conoscenze specifiche di programmazione per operare con Linux, e certamente questo non facilita le cose a tutti in termini di tempo e capacità; invece Macintosh o Microsoft “nascondono” ai loro utenti come funziona il sistema, ed eventualmente, come ripararlo o migliorarlo. Linux è un programma aperto e gratis, ed è il risultato della collaborazione tra migliaia di utenti/hackers che l´hanno migliorato usandolo. Questo tema è stato seriamente trattato e approfondito da Neal Stephenson nel suo articolo In the Beginning was the Command Line (1999).
Il presente articolo, invece, vuole trattare un altro aspetto del problema pensandolo in termini di rappresentazione: rappresentazioni che vengono generate dalle condizioni sociali e materiali del presente momento storico, e che stanno allo stesso tempo formando le maniere di percepire e di pensare. Se la prospettiva geometrica come sistema di rappresentazione dello spazio tridimensionale è potuta nascere durante il Rinascimento italiano, essa da allora ha conformato il modo in cui il mondo occidentale percepisce e produce la rappresentazione dello spazio in ogni campo.
Questo è particolarmente evidente nell’evoluzione della rappresentazione di qualsiasi tipo di narrativa nel digitale. Per dirla con Lev Manovich, ciò che si sceglie di rappresentare, e in quale modo, privilegia una visione del mondo tra molte, e quindi tale scelta, anche se può essere più o meno consapevole, non è mai innocente né tanto meno innocua.
Per quanto riguarda Apple, come è risaputo, la compagnia lanciò la GUI nel 1984 con una interfaccia che esponeva quello che potrebbe chiamarsi una estetica modernista, chiara e funzionale, che evitava ogni illusionismo: l’utente poteva interagire col computer tramite rettangoli neri su uno sfondo bianco (conosciuti in seguito come “finestre”), e non c’era nessuna pretesa di imitare volumi, né ombre (nei pulsanti, per esempio).
Un quaderno di note era un rettangolo delimitato da bordi neri in cui si poteva scrivere, ma non simulava la pagina gialla di un quaderno, con righe e margini, come sarebbe stato più tardi il caso del “Notes App” dell’iOS per iPad. In poche parole: fino a quel momento la metafora della scrivania si trasmetteva tramite rappresentazioni più o meno schematiche del cestino, delle cartelle, etc. in piccole immagini chiamate “icone”.
Mac OS8
Man mano che i sistemi operativi si aggiornavano e miglioravano, la volontà di illusionismo cominciò ad aumentare. Ad esempio, nel Mac OS8 sul mercato dal 1997, a parte l’inclusione del colore già effettuata nel System 7 il cestino cominciava ad acquisire un certo volume, e i pulsanti della calcolatrice proiettavano un’ombra. Si può dire che era ancora tutto molto sintetico, ma si percepiva una crescente intenzione di rappresentazione tridimensionale degli oggetti.
Nei termini della semiotica di C.S. Peirce, si potrebbe considerare che era in corso un passaggio dalla rappresentazione simbolica a quella iconica: mentre nelle prime versioni il rapporto tra le rappresentazioni (segni) con il referente manteneva alcuni tratti salienti ma non era necessariamente similare, nelle versioni più recenti il livello di realismo stava crescendo fino a permettere un riconoscimento diretto dell’oggetto rappresentato. È solo in questo momento che l’icona della scrivania coincide con l’icona semiotica.
Si può fare poi un parallelismo con l’evoluzione della rappresentazione dello spazio nella storia dell’arte occidentale, e considerare che l’OS1 corrispondeva al periodo dell’uso della prospettiva gerarchica nella storia della pittura (medievale), nella quale gli oggetti si rappresentavano secondo la loro importanza e significato, senza cercare di trasmettere un senso realistico dello spazio. L’OS8 invece è più vicino al Rinascimento e all’invenzione della prospettiva lineare da parte di Filippo Brunelleschi (1377-1446) e della sua codifica scientifica da parte di Leone Battista Alberti (1404-1472).
Michelangelo Buonarroti, Cappella Sistina (Ignudi) (1508-1512)
Tuttavia, il perfezionamento di questa tecnica non si è arrestato allora, e dal periodo conosciuto come Alto Rinascimento, e più tardi Manierismo, gli artisti che lavoravano in Italia cercarono di esporre al massimo le loro abilità tecniche, e tramite queste, la rappresentazione di spazi estremi ed impossibili. Si considera che questo periodo cominci con le posture assai complesse degli ignudi della Cappella Sistina dipinta da Michelangelo.
Raffaello Sanzio, Incendio di Borgo (1514). Stanze Vaticane, Roma.
Ma una delle caratteristiche principali del Manierismo, oltre al grande virtuosismo, è lo spostamento dell’azione principale all’interno della composizione in una posizione secondaria in relazione al tema dell’opera, o persino verso il fondo, come per esempio succede nell’Incendio di Borgo (1514) di Raffello Sanzio in una delle Stanze Vaticane.
Bronzino (Agnolo di Cosimo), Allegoria del trionfo di Venere (1540-1545)
Molto spesso, il tema dell’opera era difficile da decifrare, e gli spazi e le figure dipinti erano incoerenti o molto distorti, come ad esempio è il caso di La Madonna dal collo lungo (1534-1540) del Parmigianino, o l’Allegoria del trionfo di Venere (1540-1545) del Bronzino. Perciò, in un certo senso, le rappresentazioni manieriste tendono a spostare l’attenzione dal nucleo più importante, o pertinente, a sezioni confuse, altamente finzionali e distorte della composizione.
Parmigianino (Girolamo Francesco Maria Mazzola), La Madonna dal collo lungo (1534-1540)
Seguendo la linea di pensiero esposta sopra, dal Mac OSX in poi, comincia quello che può facilmente identificarsi come il “periodo manierista dei sistemi operativi”. Se il Manierismo nelle arti visive ebbe le sue ragioni di esistere e certamente non può essere giudicato come giusto o ingiusto, nemmeno è il caso per i sistemi operativi; tuttavia, trattandosi di una interfaccia attraverso la quale potenzialmente tutte le nostre produzioni culturali vengono filtrate oggi – cinema, musica, testi, comunicazione, etc. etc. (Manovich 2001: 75), questa situazione appare meno innocente, e deve sicuramente essere considerata con più attenzione.
Mac OSX Leopard
Uno dei tratti più manieristi, e inutile, che ha introdotto l’ OSX è l’amplificazione e deformazione del “dock” che ha, ancora oggi, una certa “profondità” e “riflette” l’icona dei programmi su di sé. Mentre tutti questi dettagli “digitalmente virtuosi” possono essere più o meno interessanti, o esteticamente piacevoli per ogni individuo – nello stesso modo in cui la Madonna dal collo lungo può sembrare una figura troppo distorta per alcuni, e perfetta per altri – essi certamente distraggono l’attenzione da quanto sta veramente succedendo dietro l’interfaccia.
Mac iOS7
Tuttavia, come propone Henri Focillon nel suo canonico testo Vie des formes (1934), nel iOS7 per iPhone, iPad, etc. c’è ancora un ritorno al simbolismo degli origini. In molte delle sue caratteristiche, il nuovo iOS torna alla interfaccia GUI “modernista” originale: non c’è più un “finto” senso di profondità espresso tramite la proiezione di ombre dei pulsanti, per esempio; ogni icona è schematica e presenta la quantità d’informazione necessaria per riconoscerla; non imita pagine di libri di appunti di colore giallo; se anche le icone sono colorate, la maggior parte delle apps che include il nuovo iOS7 sono quasi completamente monocrome. L’estetica del disegno grafico è estremamente curata, ma in un certo senso le versioni “manieriste” precedenti sono state semplificate e limitate alle loro necessità funzionali. Un ritorno appunto all’estetica e alla logica modernista.
Ciò nonostante la vecchia dicotomia, che è una parte importante delle problematiche presentate in questa sede, rimane: il rapporto tra interfaccia e database. Se l’apparenza dell’interfaccia è stata pulita da una gran parte dei propri dettagli illusionistici e fuorvianti, se non tutti, ed è divenuta più trasparente, c’è comunque ancora una interfaccia che vela quello che veramente sta succedendo nel database, la parte più essenziale della macchina. Come si può risolvere questa tensione? È veramente quella la direzione che i sistemi operativi stanno prendendo? Perché? Sarebbe interessante rispondere a queste domande, ma nemmeno questo sarà sufficiente.