Mafia 3 / La salvezza della democrazia: Lincoln Clay
Chi teme gravi pericoli per la democrazia mondiale dopo la vittoria elettorale di Donald Trump dall'altra parte dell'Oceano potrebbe sentirsi rassicurato dalle gesta poco eroiche ma molto legittime di Lincoln Clay, protagonista di Mafia 3, un videogame di caratura criminale ambientato nel 1968 a New Bordeaux, una versione fittizia di New Orleans. Lincoln è un reduce dal Vietnam, suo padre è bianco (forse italiano) e sua mamma di colore, come Obama ma al contrario, abbandonato da piccolo in un orfanotrofio e affidato alle cure di padre James. A differenza dell'ormai ex presidente USA non appartiene alla classe privilegiata degli afroamericani, le scuole in cui si è formato sono prima la strada e poi le risaie del sud-est asiatico. Lincoln è il figlioccio del padrino di colore Sammy, al suo ritorno in patria ha intenzione di annunciargli il suo trasferimento in California per intraprendere un'attività commerciale con un ex commilitone.
La trama si complica fin da subito, con l'ultima rapina di Lincoln per Sammy a un furgone portavalori in combutta con la famiglia mafiosa italoamericana dei Marcano, capeggiata dal vecchio e feroce Sal e dal figlio Georgie, inetto ma ancora più feroce del padre (forse proprio perché inetto). Al momento di spartire il bottino, i Marcano fanno una strage e sparano in testa anche a Lincoln. Come ogni buona storia di vendetta, Clay sopravvive (grazie al provvidenziale intervento di padre James) e una volta tornato in forze mette in azione il suo piano: partire dalla base per sfasciare l'organizzazione dei Marcano, ovviamente trucidandoli tutti. Lincoln ha un vantaggio rispetto ai suoi avversari: sono convinti che sia morto, anche se considerata l'entità della violenza con cui si vendica non passa molto tempo prima che si accorgano del contrario. Per mandare a carte quarantotto il clan Marcano, Lincoln si affida all'aiuto esterno di John Donovan, suo vecchio compagno d'armi nel 'Nam e agente della Cia.
Donovan, il classico americano wasp, pianifica la strategia e le mosse di Lincoln per attuare il suo vendicativo piano: per arrivare a Sal si rendono conto che è necessario partire dai pesci più piccoli della catena alimentare mafiosa, stanare i capi locali nei vari quartieri in cui è suddivisa New Bordeaux e infine colpire il vecchio padrino dopo averlo privato di finanziamenti e picciotti. Sebbene Lincoln sia il protagonista indiscusso, tutta l'esperienza di Mafia 3 è pensata e sviluppata come un racconto corale, un finto documentario ambientato in epoca moderna, con interviste ai protagonisti della vicenda ormai invecchiati che rievocano quella stagione di sangue tra estate e autunno del 1968, rivolgendosi direttamente alla telecamera e con tanto di filtri per simulare la pellicola d'epoca nei finti filmati di repertorio. Soprattutto, ed è questa la ragione per cui ne parliamo qui, Mafia 3 rappresenta come pochi altri titoli – e paradossalmente più di Grand Theft Auto V che ne resta l'archetipo – le sfaccettature, idiosincrasie o contraddizioni (ciascuno le chiami come vuole) della cultura americana. Prima di iniziare la partita, durante la schermata di caricamento appare un cartello firmato da Hangar 13, lo sviluppatore californiano del titolo, in cui si avvisa il giocatore che la presenza di personaggi e dialoghi aberranti nel gioco è stata necessaria per rendere un periodo molto turbolento della storia americana (e mondiale per esteso) come la fine degli anni Sessanta, il Vietnam, i problemi razziali mai risolti né sopiti persino con un afroamericano alla Casa Bianca, e nonostante i ragazzi di Hangar 13 siano consapevoli del fastidio che certe situazioni nel gioco possano creare hanno insistito per mantenerle tutte.
Nel gioco, aggirandosi per il mondo aperto di New Bordeaux e del Bayou (le paludi infestate di alligatori e centro del traffico di armi e droga delle fazioni criminali del gioco) a volte si accendono dei segnalatori rossi che indicano la presenza di “cattivi” da fare fuori; le situazioni in cui ci si imbatte sono sempre le stesse (certo, il titolo soffre un po' di eccessiva ripetitività nelle meccaniche di gioco, ma d'altronde ogni gioco si fonda sul principio della ripetizione) e di solito ci troviamo a intervenire contro un gruppo di bifolchi della Dixie Mafia, i nazisti dell'Illinois di John Belushi, con la bandiera sudista sulla fiancata dei loro furgoni e intenti a vessare uomini e donne di colore, sia verbalmente sia fisicamente.
È uno spettacolo disturbante, certo, ma il fatto che Lincoln un secondo dopo mandi questi ceffi al creatore con una coltellata alla gola (si può anche scegliere dalle opzioni di usare eliminazioni “non letali”, ma che gusto c'è?) oppure fare irruzione in un magazzino per bruciare opuscoli e scorte dei suprematisti bianchi con Aretha Franklin che canta Respect in sottofondo ripaga di tutti gli insulti gratuiti e ignoranti rivolti contro le minoranze e i “deboli” presenti nel mondo di gioco.
Non solo. Per arrivare in cima alla piramide criminale di Sal Marcano, il nostro antieroe Clay non può solo fare affidamento sull'amico della Cia, ma è costretto a stringere alleanze con tre “boss” molto diversi l'uno dall'altro: c'è la haitiana Cassandra che gestisce il traffico d'erba e armi dal suo negozio di voodoo, poi l'irlandese sbevazzone Burke che di tanto in tanto chiede un favore a Lincoln per accontentare i suoi amici dell'IRA, e poi il “nostro” Vito Scaletta, una specie di Bob DeNiro-Jimmy Conway di Quei bravi ragazzi, brizzolato e scontento perché sa di essere in scadenza di fiducia e vita presso i Marcano. Ciascuno di questi tre personaggi accetta di aiutare Clay in cambio dei quartieri della città strappati al vecchio capomafia, e la distribuzione dei traffici è un compito affidato al giocatore (che deve essere pronto a crudeli rimostranze e tradimenti in caso decida poi di non mantenere le promesse, un po' come succede dopo ogni campagna elettorale). Non avendolo ancora terminato, e con l'intenzione di assaporare ogni ora di gioco rimasta, preferisco non sbilanciarmi con una recensione che peraltro non è nemmeno la caratteristica di questa rubrica. Si parla di videogiochi cercando di considerarli, come sono, uno dei tanti riflessi del mondo che ci circonda, con una dignità e una responsabilità pari a quella di libri, film e opere dell'ingegno, senza mai dimenticare che ormai ogni cosa è un prodotto. Ma cosa c'entra Donald Trump con Lincoln Clay e Mafia 3? C'entra eccome, credo. Dopo quattro anni di sviluppo, il gioco è uscito all'inizio di ottobre, un mese circa prima delle elezioni Usa, elezioni che mai come quest'anno pare abbiano infiammato media e opinione pubblica per la “pochezza” dei due candidati e l'enormità di certe sparate, con più tifo su giornali e social che durante un derby tra le squadre del cuore.
Certo, le note di pericolo sono tutte per Trump e il suo sessismo-razzismo dichiarato o mascherato oppure solo esagerato a fini propagandistici, anche se dopo Bush padre e figlio sembra difficile pensare che sarà proprio lui a premere il famigerato bottone rosso per la “bomba fine di mondo”. Gli Stati Uniti storicamente sono fatti così, vige il principio dell'alternanza, che possiamo definire o coraggio o incoscienza a seconda dello spirito partigiano di chiunque segua la cronaca del presente. Certo, un Paese dove nel 1957 Eisenhower mandava la Guardia Nazionale a Little Rock in Arkansas per garantire l'incolumità a nove studenti di colore in nome del diritto allo studio, e che mezzo secolo dopo accoglieva alla presidenza un afroamericano è solo encomiabile: chapeau, verrebbe da dire.
Allo stesso modo risulta poco credibile che quella stessa cultura (ma forse è il pendolo della Storia che oscilla un po' di qui e un po' di lì, e adesso ci tocca vivere questa epoca di populismo destrorso e sfrenato) portasse una donna alla guida della nazione, per di più democratica, dopo due mandati di Obama e soprattutto legata a una dinastia politica di stampo elitario in un momento di antipolitica assoluta. Per questa ragione, il fatto che Mafia 3 abbia venduto quattro milioni e mezzo di copie dopo una settimana dall'uscita e ancora adesso (scriviamo a fine novembre) sia nella top ten dei più venduti è rassicurante: se lo stesso Paese che elegge un razzista-sessista come presidente è lo stesso che produce un gioco in cui si fanno fuori razzisti e sessisti per mano di un protagonista afroamericano, credo che la democrazia non sia così in pericolo come molti additano.