Speciale
Le belle e le bestie: Piuarch e Ticozzi
Al giorno d’oggi l’architettura è diventata oggetto dell’interesse di molte persone. Non che negli ultimi tempi sia considerevolmente aumentato il numero degli appassionati o degli esperti. Piuttosto è cresciuta la nostra attenzione nei confronti dell’ambiente in cui viviamo. E con sempre maggiore frequenza il nostro habitat “naturale” è l’ambiente urbano, costituito essenzialmente di edifici.
Gli edifici che ci circondano nella maggior parte dei casi ci lasciano indifferenti; in qualche occasione riescono a entusiasmarci; in molte altre hanno la capacità di ferire la nostra sensibilità. Con una forza che solo l’architettura – in quanto “arte” sociale e spaziale – possiede, essa è in grado di comunicarci un senso di esaltazione e di pienezza, ma anche di disturbarci, se non addirittura di urtarci letteralmente, di rovinarci la vita. Se alla prima categoria di edifici appartengono rari ma preziosi splendori, la seconda è invece pullulante di insopportabili orrori.
Al di là di ciò ch’è immediatamente intuibile, gli uni sono quegli edifici che, alla bellezza formale, sanno unire l’appropriatezza, la pertinenza, la capacità di non assolvere semplicemente alle proprie funzioni ma anche di “arricchire” i luoghi in cui sorgono, e di conseguenza anche noi; gli altri si distinguono invece per l’invadenza dimensionale, la mancanza di grazia, la volgarità, la banalità, l’erroneità, la stupidità, in una sola parola per la profonda inutilità, che ai nostri occhi costituisce uno sfregio del buon senso e uno spreco di risorse.
Dopo la comune battaglia condotta contro il pessimo progetto sull’area ex Enel a Milano, doppiozero e gizmoweb (autore collettivo del volume MMX Architettura zona critica, Zandonai 2010) propongono ora la rubrica “Le belle e le bestie”. Suo intento è quello di segnalare gli splendori e gli orrori presenti nelle nostre città e nei nostri paesi. Edifici meravigliosi ed edifici mostruosi; edifici amabili ed edifici detestabili; edifici provvidenziali ed edifici malefici. Edifici che non si cesserebbe mai di guardare ed edifici che si vorrebbe soltanto veder scomparire.
Una cosa semplice
Non ho nessuna simpatia per Dolce&Gabbana. Non mi piace la loro moda, e non mi piace l’estetica che si lega al loro marchio. Tuttavia la sede dei loro uffici e del loro showroom, tra le vie Broggi, Zambeletti e Redi, nelle vicinanze di corso Buenos Aires, a Milano, realizzata nel 2006 da Piuarch (Francesco Fresa, Germàn Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Triario) è sorprendente nella sua capacità di attribuire al nome e all’immagine di Dolce&Gabbana concetti altrimenti ad essi alieni come sobrietà ed eleganza. Ed è una dimostrazione di come in architettura – nella buona architettura – siano (quasi) sempre sufficienti pochi elementi per ottenere risultati eccellenti: ovvero – più in generale – di come ne bastino piuttosto di meno che di più (e ciò, nonostante il nome che si sono voluti dare gli architetti). Avvolto in una candida scatola di acciaio, vetro e pietra bianca di Namibia, il D&G Headquarters dà la consolante (benché certamente illusoria) sensazione che l’architettura, ancora ai nostri giorni, possa essere una cosa semplice.
Marco Biraghi
Che cos’è il trash?
Secondo Tommaso Labranca il trash può essere definito attraverso una semplice formula matematica:
kS - R = T
dove:
k= è una costante (intenzione, povertà di mezzi, incapacità, contaminazione, incongruità, massimalismo, ritardo ecc.) che altera lo scopo
S = è lo scopo, cioè l’emulazione di un modello
R = è il risultato, ciò che si ottiene
T = trash
Proviamo ad applicare questa formula a Milano, specificatamente all’area di Porta Vittoria:
S = Scopo del progetto planivolumetrico definito dal Piano Integrato di Intervento approvato dal Comune di Milano nel 2001 è quello di creare un luogo urbano di grande vitalità attraverso l’instaurarsi di un articolato sistema di relazioni pensate secondo una strategia comune tra il progetto della Grande Biblioteca Europea di Informazione e di Cultura (Beic) elaborato dagli studi Bolles + Wilson e Alterstudio Partners e gli interventi privati che occupano il settore settentrionale dell’area di intervento affidati allo Studio Nonis e allo Studio Ticozzi.
k = la variabile k a Porta Vittoria assume significati e accenti molto diversificati tra loro.
Di natura finanziaria, perché nel corso del tempo sono venuti meno quei finanziamenti privati e quell’interesse del governo nazionale e dell’amministrazione comunale necessari per la realizzazione della Beic.
Di natura strutturale, perché si è assistito all’alternarsi di committenti ben poco illuminati: nel 2001 la proprietà delle aree viene ceduta a Risanamento Spa (Gruppo Zunino), nel 2005 a Ipi Spa (Gruppo Coppola) e nel 2009 a Tikal Spa.
Di natura temporale, perché i lavori di realizzazione hanno subito innumerevoli interruzioni per i cambiamenti di proprietà e per innumerevoli “terremoti” finanziari (tra cui nel 2005 quello determinato dall’arresto di Danilo Coppola per appropriazione indebita e riciclaggio).
R = Qual è stato il risultato raggiunto? Che nel giugno 2007 iniziano i lavori di costruzione degli interventi privati, mentre la realizzazione della Beic viene esclusa a causa della mancanza di finanziamenti e di un reale interesse pubblico. Vengono meno dunque quei presupposti progettuali per cui l’intera area di Porta Vittoria era stata pensata come un unico intervento caratterizzato da una spina centrale pubblica volta a mettere in connessione urbana edifici pubblici e privati.
T = L’aspetto trash di Porta Vittoria è visibile percorrendo oggi viale Mugello da cui, accanto alle gru abbandonate e agli scavi già effettuati per realizzare le fondamenta della Beic, è possibile ammirare gli edifici residenziali progettati dallo Studio Ticozzi. Edifici che possono essere considerati una perfetta dimostrazione di quegli assunti portanti che, come ricorda sempre Labranca, sono peculiari del trash. La libertà di espressione di un gusto prettamente soggettivo e antintellettuale è ben rintracciabile in quei pannelli rivestiti da un mosaico “effetto piscina” che fungono da schermi per “mascherare” le stanze di servizio degli appartamenti, ossia le cucine; il massimalismo è individuabile nell’uso di materiali pregiati e finiture di pregio intesi come essenza del lusso; mentre la contaminazione e l’incongruenza sono rintracciabili nei piani terra degli edifici, costituiti, come si legge nella relazione di progetto, “da piani pilotis seminterrati”.
Ma attenzione: il trashista non sa di essere trash perché la sua è una qualità innata, è una condizione originaria che non si acquisisce con il tempo o con l’esperienza! Basta guardare ciò che lo Studio Ticozzi inserisce ormai da anni “a completamento” dei suoi edifici: una meridiana che, a Porta Vittoria, simboleggia la sensibilità per le energie rinnovabili derivanti dal sole. Beh, in effetti, l’edificio di Porta Vittoria è classificato energeticamente come “B”.
Gabriella Lo Ricco
Studio Ticozzi, Residenze a Porta Vittoria, Milano.