L'India vista da un velle
Mi è stato chiesto se riesco a spiegare, partendo da una visione dal basso, quotidiana, cos’è l’India del nuovo Premier nell’attuale situazione sociale e politica: dov’è finito il gigante-India che era considerato una delle grandi potenze del XXI secolo? La domanda sottintende che l’India non sia più così promettente. Forse a causa della perdita di terreno della rupia, di un rallentamento nella crescita in rapporto alle previsioni, o anche perché un nazionalista indù ha vinto le elezioni presidenziali.
Partendo dal basso, da ciò che sento dire da mio suocero indiano a colazione, dai miei studenti all’Università, dai giovani imprenditori, intellettuali, giornalisti e scrittori che mi capita di frequentare, l’impressione che in questa fase storica l’India sia invece ancora destinata a prendere il suo spazio nel palcoscenico mondiale è stata rianimata e non spenta dall’attuale Premier, per quanto quest’uomo sia distante da identità e principi di persone laiche, moderne, razionali. E nonostante la sua politica annunci il lento disfacimento di un welfare state oggettivamente non ben gestito.
Prima ancora del ruolo di Modi nell’India attuale, apriamo un tema infiammabile: i marò accusati di omicidio in Kerala. Solo una vera potenza asiatica poteva resistere alle forti pressioni di quella che, per quanto in evidente declino, è pur sempre una potenza europea, l’Italia. Così, il fatto che l’India non abbia trovato una soluzione rapida o anche accettabilmente lenta al caso dei marò, per quanto ingiusto e in violazione dei diritti civili, da alcuni indiani viene vissuto con segreto orgoglio. E adesso che l’intera Europa spinge e fa pressioni grazie a un Ministro italiano, l’India resiste lo stesso. Anzi, nel frattempo il suo Premier è tutto un abbracciarsi e un citare a vicenda frasi di Hollywood e di Bollywood con il presidente americano Barack Obama.
Come a dire: piccola Europa degli affari, piccola Italia delle scaramucce con i francesi per venderci gli elicotteri (facendosi condannare per aver distribuito mazzette), qui si lavora a cose più serie, alla grande battaglia globale in cui l’India si avvicina all’America per aiutarla a far da contrappeso a Russia e Cina. Questo il risultato del recente viaggio di Obama a Delhi.
Torniamo al basso, alla vita quotidiana tra il traffico automobilistico peggiore d’India: quello di Chennai, quarta metropoli indiana con quasi 5 milioni di abitanti (26 mila 553 persone per km quadrato!). Il primato del traffico peggiore era di Mumbai, poi di Delhi. Confermo per esperienza personale che Chennai vince su tutti in quello che è uno dei problemi centrali della modernità, come già preannunciato da Federico Fellini nei primi fotogrammi di “8 e 1/2”: l’ingorgo.
L’ingorgo è il simbolo spiralidoso dell’India, un convergere caotico verso un centro, oppure, a seconda della prospettiva, un generativo espandersi nell’universo. Un po’ come quella svastica della cultura induista, stuprata per sempre dall’immaginario nazista. Se ti ci ritrovi in mezzo, a quell’antico convergere o espandersi costante, è meglio che impari in fretta le sue regole. In ogni città sono leggermente diverse, ma hanno una base comune, anche se non percepibile immediatamente. E già questo fa capire quanto approssimativo sia dire “India”. Un miliardo e 200 milioni di abitanti. Dozzine di lingue diverse. Certo, agli occhi di qualche europeo o americano “sono tutti uguali”. Non sorprendetevi se ai loro occhi americani, francesi, spagnoli, greci, serbi, russi o belgi possano apparire proprio così: tutti uguali. Velle, si dice in Tamil: bianco. Tutti uguali, di lontano.
Da vicino, la miriade di diversità dell’India è ancor più frammentata da una pletora di caste che hanno diverse declinazioni anche a seconda del luogo. Il tentativo di aggregazione nato con l’Indipendenza è ancora in atto. Ma l’hindi come lingua comune non passa e non passerà qui al sud, e già in passato ci fu rivolta violenta contro quest’imposizione. Così com’è in atto il tentativo di unire sul piano religioso, facendo crescere il culto della Trimurti e cercando di contenere il più tradizionale, complesso e antico culto degli idoli locali, è stato messo in moto anche un tentativo di unificazione del paese sul piano politico e culturale. Ma incontra qualche difficoltà.
Sul piano politico, nonostante la vittoria elettorale senza precedenti del partito nazionalista indù di Modi, il BJP, restano sempre forti i partiti locali in alcuni stati: come ad esempio quelli nel Tamil Nadu che nascono entrambi dal partito fondato da MGR, una star-idolo del cinema, e si sono dicotomizzati ferocemente tra il suo ex sceneggiatore e l’attuale governatrice incriminata Jayalalitha, ex attrice ed ex amante della suddetta defunta star.
Per quanto riguarda la cultura: calano le vendite dei quotidiani in lingua inglese (unificante) , mentre aumentano le vendite dei quotidiani in lingua locale (Hindi, Tamil, Telegu). Così come nei cinema diminuisce la distribuzione dei film in inglese, mentre Bollywood (Hindi), Kollywood (Tamil) e il cinema d’autore in lingua Maharati e quello più pop in Telegu si espandono.
Nella spirale vince il più forte.
Torniamo al basso, a quel traffico stradale rivelatore di codici di trasformazione. Contrariamente alla strade ben separate da muretti tra un ordine di senso e l’altro di Mumbai, o alle stradone imperiali di Delhi capitale, o alle sopraelevate di Calcutta immobilizzate poi tra semafori e risciò, a Chennai le strade sono ancora strette e abbudellate. Richiedono quindi una costante mediazione per capire se procedere e di quanto. Vince naturalmente l’automezzo più grande: Tir, Autobus, pullman, pulmini, SUV e via discendendo.
È una sfida per vedere chi frena prima, un OK Corral permanente. Se solo si concede un metro tra il proprio paraurti anteriore o quello posteriore della vettura di fronte a noi, ecco che s‘infilano lì in mezzo quattro motorini, due biciclette e un carretto-bicicletta. Tutti con il loro dharma da portare sulle spalle, sotto un sole spesso schiacciante, mentre te ne stai con l’aria condizionata e la radio a crearti al tua bolla di non-attaccamento al dolore altrui pur conservando la compassione.
Tutto ciò serve a capire la forma mentis della vita quotidiana. Questo balzare ad ogni occasione, questa allerta pronta alle opportunità, questo non-attaccamento interiore dal caos attorno è ciò che si nasconde sotto l’occhio placido e la testa dondolante del languore Tamil, che trova a suo modo declinazioni diverse negli altri stati indiani.
Ed è questa “fame,” passatemi il termine e scusate il contesto, che fa sì che anche i meno sospettabili, anche i più tiepidi nei confronti di Modi si stiano per il momento ricredendo. Almeno superficialmente. Questo perché, per ora, il Premier non sembra aver fatto errori evidenti. Per ora. E questa “fame” è una forza propulsiva che chiede solo un’amministrazione capace di gestirla in maniera più efficiente. Sarà quella di Modi a riuscirci?
“Any compliments?”
Ma per restare in basso, vi ho promesso un aneddoto su una bustarella. Confesso che ho già preso tre multe per eccesso di velocità. Andavo a 55 km all’ora in un rettilineo a doppia corsia dove bisognava andare a 40 km. Odio contestare l’evidenza e so riconoscere i miei errori. Vedere poi che la multa equivaleva a 6 euro mi ha aiutato ad accettare il destino cinico e baro. Per tre volte l’ufficiale in carica si è comportato sempre con gran gentilezza e ha insistito, una volta anche bussando con le nocche sull’auto che stava già ripartendo, per farmi avere con onesto orgoglio la ricevuto stampata da un modernissimo registratore di cassa portatile, di quelli che usano per farti pagare con carta di credito al tavolo nei ristoranti. Ma in una quarta occasione mi è capitato invece il baffuto poliziotto dal sorriso sornione e scarsa padronanza dell’inglese. Il suo superiore, nonostante fossi di nuovo chiaramente nel torto, sembrava quasi volesse lasciarmi andare. Forse vedendo un velle che guidava non voleva doversi sforzare con un inglese imperfetto e, per me, incomprensibile. Il sottoposto invece si è appoggiato con entrambi gli avambracci al finestrino aperto e guardandomi con il consueto ghigno mi ha chiesto: “Any compliments?” (Qualche complimento?)
Ho capito che voleva una mancia e gli ho detto: “Ha dei baffi veramente bellissimi”. E sono partito.
La corruzione è onnipresente. In alcuni uffici pubblici, in alcune anagrafi, a volte in Comune, ovunque sia necessario saltare una fila, accorciare l’attesa, sbrigarsi, assicurarsi che qualcosa non vada storto, è normale vedere qualche banconota passare di mano in mano con un sorriso complice e silenzioso. Succede apertamente. In un ufficio qui a Chennai ho visto una funzionaria che teneva un cassetto per i pagamenti ufficiali di bolli e tasse e tassucole alla sua sinistra e poi un cassetto alla sua destra per i pagamenti “personali”. Infilava banconote in una e nell’altra con medesima indifferenza, sormontata dalla sacra immagine della dea della ricchezza, Lakshmi.
Questa è la vera sfida per Modi, che si professa onesto e al di sopra della corruzione e della corruttibilità, ripudiando addirittura la moglie sposata da adolescente per convenienza, a riprova della sua mancanza di interessi privati che potrebbero spingerlo alla più piccola svista anti-meritocratica: vedi la famiglia Gandhi del Congress Party per capire l’opposto. E se in Italia invece questa sfida è stata persa (contrariamente, in parte, a quella delle cartacce, cinture di sicurezza e caschi) anche in India è difficile immaginare che si possa estirpare questo male comune così radicato nello svolgimento di ogni affare quotidiano.
A questo vanno aggiunte alcune peculiarità cultural-religiose sempre dilaganti e che influenzano la vita di centinaia di milioni di poveri, che restano la stragrande maggioranza del paese. Il sistema della dote, il dover pagare per far sposare la propria figlia, l’indebitamento eccessivo per pagare fastosi cerimonie matrimoniali, lo scialo senza senso di responsabilità attorno a quella che è la normale unione tra un uomo e una donna per formare una famiglia, creano un ingranaggio di sfruttamento che non è per niente sottile. Quel che succede in gran parte dei casi è che il datore di lavoro concede un prestito al dipendente il quale è costretto poi ad abbassarsi lo stipendio per pagare a rate l’enorme somma e abbassando così, per anni, il proprio tenore di vita. Quando non è costretto ad entrare nel gioco pericolosissimo e molto diffuso dell’usura. A questo va aggiunta la presenza sempre più crescente, grazie al clima “modista”, di una censura che colpisce sia la letteratura, la saggistica che il cinema: si vedano i casi recenti dell’autore Tamil, Perumal Murugan, che a causa della censura ha scritto su FB una nota suicida, in quanto autore; e Wendy Doniger i cui libri sull’induismo sono stati ritirati dal commercio dalla Penguin, la sua casa editrice, per paura di ripercussioni legali dagli estremisti indù.
La nuova India ripartirà?
Questo vuol dire che la Nuova India non può ripartire? Tutt’altro. Come abbiamo imparato negli anni’80 in Italia, la corruttela è integrabile a un sistema industriale avanzato fintantoché la “tassa” non eccede una certa percentuale oltre la quale non è più sostenibile economicamente e spinge il sistema al disfacimento dall’interno. Vedi il famoso puff pieno di banconote di italica memoria. Ma cosa può far ripartire il sogno indiano?
La percezione e convinzione stessa che questo può accedere non è sufficiente. Ma il viaggio recente del presidente Obama è servito (come previsto dal suo ruolo di PR delle multinazionali USA) per chiudere un accordo sulla costruzione di centrali nucleari in India, promettendo 4 miliardi di dollari in investimenti (che sfigurano in confronto ai 35 miliardi promessi dal Giappone), ma anche a dare un segnale geopolitico chiaro a Cina e Russia. Gli Stati Uniti hanno proposto la loro amicizia speciale anche per garantire legalità nelle acque attorno all’India (dove incrociano interessi e navi cinesi): hanno teso la mano. È stata un’apertura su cui è prevedibile si costruirà molto e in tempi brevi. Anche se la furbizia di Modi fa presagire che saprà giocarsi questo capitale politico quando e se necessario.
Il Presidente americano ha detto che insisterà affinché l’India entri nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Non è un impegno da poco; per quanto quest’istituzione internazionale sia molto indebolita, ha ancora un significato nell’arena globale, ambito in cui l’Italia, ad esempio, ha perso molto terreno e forse solo ora tenta e spera di ricuperare.
All’uomo del ristorante popolare Vishranti di Chennai, dove una deliziosa crêpe alle patate con sugo di verdura e due chutney al cocco, chiamata masala dosa, costa 50 rupie, ovvero 70 centesimi di euro, cosa importa? Gli importa sentirsi un po’ più orgoglioso perché anche se non ci si paga la masala dosa con l’orgoglio, anche se l’orgoglio è la virtù dei deboli, questo aiuta ancora a spingersi oltre i propri limiti, oltreché accettare molti disagi, come quelli elencati in questo testo. E per quanto questo possa riservare brutte sorprese in futuro, per ora il “modismo” sta fornendo a una buona parte dell’India (quella che vuole dimenticare il suo ruolo nel massacro di mussulmani nel 2002, nel Gujarat di cui era governatore, e che chiude gli occhi sulle brigate moralizzatrici), quell’orgoglio necessario a far scattare di nuovo l’ingranaggio di crescita per scavalcare quel 7 per cento che riporterebbe l’India a correre verso il suo ruolo di superpotenza.