L'ospedale sull’albero di Renzo Piano
Nel giorno dell’inaugurazione dell'Hospice Pediatrico fortemente voluto e finanziato da Isabella Seràgnoli sulle colline bolognesi, Renzo Piano lo ha definito il suo progetto più difficile. Nel meraviglioso film di Wenders Perfect days c'è una scena che si ripete e che per noi è quasi incomprensibile ed è quella che svela il significato della parola giapponese “Komorebi”, che non esiste in nessun’altra lingua e che significa l'effetto della luce che filtra attraverso gli alberi. Nel film il protagonista, il grande attore Koji Yakusho, alza lo sguardo, vede questa luce e sorride.
È questa la sensazione che guida Renzo Piano a far piantare tanti alberi attorno a questo ospedale sospeso su palafitte, immerso nel verde, pieno di finestre, che permette a tutti di guardare fuori e di vedere gli alberi e la luce che filtra attraverso di essi. Questo forse deve essere, insieme ai fantastici disegni di Altan sulle pareti e nel soffitto l'ultima visione che rimane in un bambino che sta per morire. Sì, perché tutta questa bellezza Renzo Piano l’ha disegnata per bambini senza speranza, per famiglie distrutte, per una sofferenza senza fine che non trova mai pace e che spesso porta queste famiglie a girovagare alla ricerca di qualcuno che li aiuti, li ascolti e li assista in questo passaggio delicato tra la vita e la morte. Non c'è questa cultura in Italia, o quantomeno laddove se ne rilevino tracce, è molto recente. Ne è piena la letteratura e la poesia ma non c’è traccia nella formazione di un medico.
Sandro Spinsanti sostiene che un professionista della salute debba attraversare la strada delle cure palliative prima di iniziare il suo lavoro, spesso tecnicamente ineccepibile. Nessuno insegna ai medici comportamenti e tecniche per accompagnare le persone dopo l'ultima curva, in quei momenti, giorni così preziosi che rimangono alla vita e che devono assumere un significato ancora più alto, se possibile. Certo, bisogna togliere il dolore, anche quello delle famiglie laddove sia possibile, ma anche aiutare le persone a dare un senso e un valore a questo momento così importante della loro vita. Ci stanno provando anche alcune società scientifiche; fin dall'inizio ci ha provato la Medicina Narrativa così come è stata concepita da Rita Charon all'Università di Columbia a New York. Dare voce ai pazienti e alle loro famiglie, rispettare l'ultimo respiro, imparare ascoltando. Per fare tutto questo ci vogliono certamente professionisti molto preparati e di nuovo chiamo in causa l'Università e il Corso di Laurea in Medicina perché inizi finalmente a lavorare in questa direzione. Ma è anche indispensabile lavorare in team, cioè tutte le figure professionali devono essere coinvolte, perché ognuno può dare un contributo diverso e ognuno può raggiungere a modo suo il cuore della sofferenza. Nei piani di formazione dell'Università di Columbia esistono workshop multiprofessionali e pluridisciplinari che orientano alla buona cura.
Ma mai avevamo assistito alla realizzazione di un progetto concreto, di una architettura vera e propria, di un ospedale che rende visibili e concreti tutti i principi sociologici, psicologici, filosofici, legati al momento di cura. Avevamo visto un ospedale che insegna ma mai, in modo così evidente, un ospedale che cura con le sue vetrate, con i suoi disegni, con i suoi spazi, con le zone adibite a residenza per famiglie distrutte dalla presenza di un figlio che soffre. Ecco allora l'idea del rifugio tra gli alberi come una specie di arca, sospeso nel verde dice Renzo Piano che tenta di spiegare che cosa ha provato a fare per interpretare “il poco che capisco di un bambino che arriva qui con una malattia inguaribile, sospeso, come una lettera che non ha il destinatario, sul lembo del mondo”. Dice ancora “E allora gli abbiamo costruito la casa sugli alberi che finalmente dà una forma moderna alla pietà; ci sono pareti di vetro per vedere i rami e le foglie da cui gocciola la luce e anche un buco sul soffitto perché quando un bambino è sfinito non riesce nemmeno ad alzare la testa e dal suo letto può vedere il cielo catturare l'azzurro e cogliere il passaggio delle bianche nuvole veloci.”
Questo ospedale è un modello futuro che sarà di riferimento per molti, non solo in Italia, ed è stato fatto per gente che non ha futuro. Un modello coraggioso e visionario, l’ha definito un politico attento alle strategie sanitarie. Un'ansia di bellezza e solidarietà umana dice lui, l'architetto per antonomasia, una eccellenza italiana vera nel mondo che non smette mai di pensare e progettare nonostante l'età. Lui che ha 86 anni,uno stimolo costante per i più giovani, per i professionisti, per i cultori delle linee guida e dei protocolli, per i tecnici, per tutti coloro che si muovono senza fantasia in un mondo ormai dominato da regolamenti e standard di cura redatti da esperti, oltre che dalle politiche di risparmio. Francesco Merlo definisce gli artefici di questo vero e proprio miracolo “i quattro moschettieri” al servizio dei bambini e definisce Isabella Seràgnoli il D'Artagnan di Bologna.
Tutti sanno che la signora usa i soldi per riparare i torti proprio come D'Artagnan usava la spada o come altri usano la penna. Questa eroina che costruisce e finanzia musei, ospedali per rimediare ai buchi della sanità pubblica, dona consapevolmente controllando ogni momento della costruzione pratica di un'idea apparentemente visionaria. Non ama apparire, non parla mai in pubblico, e racconta: “avevo chiesto a due bravissime architette che hanno provato a disegnarlo, ma alla fine hanno detto non so se lo sappiamo fare!” e allora sei anni fa va a Genova, parla con Renzo Piano che dice “mi ha detto solo otto parole: Renzo, disegneresti per me un Hospice pediatrico a Bologna? E poi quando le ho spiegato la casa sugli alberi la sua risposta è stata ancora più breve, con due parole: bella idea!” E in tutti questi anni lei si è adoperata perché ogni dettaglio venisse realizzato e ha pagato tutto di tasca sua. Alla fine questo ospedale è costato meno di tante strutture sanitarie che vedono la luce dopo anni e anni di ripensamenti e di finanziamenti mancati.
La grande bellezza voluta da Isabella Seràgnoli ha trovato una sua evidente manifestazione anche il giorno dell'inaugurazione. Per un po' di musica Nicola Piovani al pianoforte, Gabriele Salvatores a leggere passi del Barone Rampante di Italo Calvino (che ha convissuto a Parigi con Renzo Piano mentre progettava il Beaubourg). Chi se non Altan, il padre della Pimpa, a decorare gli interni? Perché nei nostri ospedali non si deve mai dare spazio alla bellezza? Qui ce n'è, è tanta e chiude il cerchio del senso più vero della parola cura. Quale miracolo doveva accadere perché la cura del dolore fosse anche attenzione alla persona e alla sua famiglia e si potesse manifestare attraverso un simile patrimonio di bellezza?