Mediterraneo come attitudine all’innovazione sociale
Il Mediterraneus, mare in mezzo alle terre che i romani chiamavano mare nostrum, è di colore bianco sulle labbra degli arabi: al-Baḥr al-Abyaḍ al-Mutawassiṭ, Mar Bianco di Mezzo. Mare di mezzo, Hayam Hatikhon per la parola ebraica, ilel Agrakal per i berberi. Mare in mezzo alle terre, Chichūkai per i giapponesi e deti mesdhe per gli albanesi.
"Fatta" l'Europa, si è posto il problema di mettere in cornice questo specchio che rifrange popoli, idiomi, politiche. L'appartenenza comune alle sue acque, impone che le terre da esse lambite non siano escluse dallo sviluppo ivi possibile e al tempo stesso che si stabilisca un certo ordine.
L'importanza della cooperazione, che L'Unione Europea ha espresso nella programmazione 2000/2006 e rilanciato con strumenti finanziari successivi, è confermata dalle nuove forme giuridiche di governo tra territori internazionali, ma già nel 2010 Il filologo Mahmoud Salem Elsheikh, nel corso del convegno La tutela del patrimonio culturale nelle aree a rischio di conflitto. Il ruolo dei tecnici, presso l’Abbazia di Santa Maria di Canneto a Roccavivara, ci chiedeva: «si potrà ancora parlare di solidarietà mediterranea? [...] Il discorso sul Mediterraneo esisterà solo nella misura in cui i Paesi dell’Europa meridionale saranno in grado di garantire una sopravvivenza della loro identità e della loro cultura mediterranea. Sarà possibile? [...] Con la sua posizione “baricentrica”, l’Italia ha una grande responsabilità: deve centrare la sua attenzione non solo sulla cooperazione politica ed economica, ma soprattutto su quella culturale, attivando progetti capaci di avvicinare le due sponde del Mediterraneo attraverso la valorizzazione delle diverse identità culturali».
Le città del Mezzogiorno d'Italia sono agli ultimi posti per qualità della vita, hanno difficoltà a spendere i fondi, hanno difficoltà a progettare. È difficile credere che una società civile priva di riferimenti, con capacità di iniziative economiche deboli, possa esprimere politiche di relazione serene e coerenti.
Si possono concretizzare politiche di dialogo e di cooperazione in presenza del Muos, dei droni, dei radar anti-migranti? (cfr. Antonio Mazzeo, Il MUOStro di Niscemi. Per le guerre globali del XXI secolo, Ed.it ). Si può avviare il dialogo e la cooperazione tra terre messe sotto scorta e terre al vaglio delle sentinelle?
Quando si discute di Mediterraneo, si tenta di favorire un'immagine geopolitica che conviene a una serie di interessi e di poteri, ma che non rende giustizia alla base valoriale che il Mediterraneo, anche nelle sue rivolte, sta cercando di affermare.
Leila Roumani e Yomna Nassar hanno lanciato il progetto pilota SenseTour Mediterraneo, un viaggio attraverso 16 paesi allo scopo di aiutare gli imprenditori a incrementare la sostenibilità dell'impatto sociale delle loro imprese. Il tour consiste in laboratori creativi di progetti di innovazione sociale con la finalità di incoraggiare la collaborazione tra interessi paralleli e di collegare gli imprenditori sociali. Le tappe del viaggio, documentate sul tumblr Meditarranean MakeSense tour, permettono di comprendere come fattori culturali, politici ed economici possano influenzare e stimolare iniziative di impatto sociale anche in un momento critico per la crescita e lo sviluppo.
Il Mediterraneo d'altro canto non è a sud dell'Europa, è al centro, in mezzo a un mondo di culture e di rapporti, la cui identità va considerata in quanto bene culturale. Se le questioni all'ordine del dialogo sono così urgenti, sarebbe sensato definirle dal cuore delle terre in mezzo alle quali si estende il grande Mar Bianco e per le quali la reciproca collaborazione è una necessità civile storicamente interiorizzata. In casa nostra, ad esempio, è presente negli statuti delle regioni meridionali quando il riferimento alla identità e al Mediterraneo è espresso in quanto vocazione e prospettiva. È presente nei mosaici delle nostre chiese. Nella cattedrale di Otranto la simbologia del mosaico pavimentale fu concepita in modo tale che, da qualunque parte del Mediterraneo venisse, chi ne contemplava la bellezza poteva trovare simboli della propria cultura.
Da cosa dovrebbe partire il nostro comune parlare?
Esistono risorse che l’economia finanziaria non può valorizzare, mentre può farlo l’economia reale. Lo fa chi immagina in modo nuovo la valorizzazione della dieta mediterranea, chi intraprende un tipo di turismo che si allontana dalla nozione consumistica di intrattenimento e recupera il valore culturale del viaggio, chi decide in favore di tecnologie che attuano processi democratici nello sfruttamento delle energie. Lo fanno i "movimenti dal basso" che in Sardegna, per citare un caso, hanno impedito l'installazione delle antenne per i radar anti-migranti.
L'artista curdo iracheno Hiwa K lavora sperimentando pratiche educazionali basate sull'esperienza della quotidianità, mettendo alla prova il ruolo dell'arte e della cultura nelle dinamiche sociali contemporanee.
Nell'estate del 2006, presso l'Accademia d'Arte a Mainz, in Germania, ha organizzato gruppi di cucina seguendo le ricette che la madre curda trasmetteva in diretta video dal Kurdistan. Mentre l'artista si interrogava sulla distanza tra sé e la madre, contemporaneamente verificava che la tecnologia permette la traduzione di una realtà tradizionale ed affettiva in una pratica educativa di conoscenza. Nel cucinare insieme, in una scuola d'arte tedesca, preposta a un tipo di formazione finalizzata all'occupabilità, Hiwa K ha avanzato una necessità diversa, trasformando il tavolo della cucina in un tavolo del colloquio, integrando concetti di patria distanti, una rappresentata dalla scuola d'arte, l'altra dalla conoscenza orale della cultura materna.
L'esperienza culturale di Cooking With Mama nella sua evidente semplicità porta il nostro ragionamento a uno dei luoghi relazionali più caratterizzanti delle civiltà mediterranee. In fondo, cosa è accaduto nella cucina dell'Accademia di Mainz? L'ospite curdo iracheno, ospite in quanto straniero, ha cucinato per i suoi ospitanti che, così, sono diventati suoi ospiti: Hiwa k ci ha mostrato che «l’ospitalità ha, di fronte a sé, l’ospitalità» (cfr. Edmond Jabès, Le Livre de l’Hospitalité). L’ospitalità è fatta da persone, poste le une di fronte alle altre, entrambe sedute su una soglia: «tu sei quello straniero che sono io».
Le pratiche artistiche e comunitarie di innovazione sociale spesso assumono con radicalità dell'etica dell'ospitalità e offrono allo straniero la possibilità di avere luogo come "altro" perché l'ospitalità nel Mediterraneo è un patto e, pertanto, sacro.
Lasciarsi abitare dallo straniero lascia un impagabile dono: l'esperienza dell'unione, momento collettivo di identità e riconoscimento, di reciprocità e comunicazione, soprattutto di elaborazione. Lo vediamo con l'accoglimento dello straniero, dello straniero e dei suoi lutti, nelle vicende da cui è nato il "Museo delle Migrazioni" di Lampedusa, archivio in progress di fatti quotidiani, rigetti di storia, omettere i quali avrebbe significato defraudare la collettività lampedusana della propria storia. Per impulso dell'associazione Askavusa, all'interno dell'isola, si intraprende un viaggio comunitario: dal recupero in discarica degli oggetti appartenuti ai migranti si giunge a un'elaborazione collettiva dalla forza rituale e simbolica: i migranti collaborano nel lavoro di identificazione e traduzione degli oggetti rinvenuti, gli artisti sono chiamati a dare voce agli oggetti, gli abitanti ricevono un materiale vivo, sul quale possono intervenire a loro volta e che genera narrazioni, fotografie, memorie.
I fatti di Lampedusa non sono una notizia del telegiornale. I lampedusani e gli stranieri venuti nella loro terra sono dentro una medesima storia, che scompagina gli orizzonti e ha necessità di fissarne di nuovi.Dove? È la domanda dell'uomo in cammino, dell'uomo che arriva, dell'uomo che cerca. Dove è il Mediterraneo. È il mare bianco in mezzo alle terre? Come debba essere questo luogo di mare e di terra, è la domanda dell'uomo che costruisce, crea, conosce.
@AgostinoRiitano