Milena Agus. Sottosopra
Sottosopra (Milena Agus, Nottetempo, 2012) è l’unico titolo possibile per questo romanzo-clessidra, che nei continui capovolgimenti dei piani spaziali confonde i sensi e le cronologie.
Il punto fermo intorno cui ruotare è la voce di una giovane universitaria che si fa narratrice delle vicende dei vicini di casa intrecciate alle sue memorie private.
L’infanzia della protagonista è raggomitolata nelle giornate spese con la madre ad aspettare ospiti che non si presentano, a vestirsi bene per fare visita a parenti che non si fanno mai trovare in casa.
Così le vane attese e gli inviti a vuoto finiscono nella quieta follia materna, che si preoccupa delle bibite da offrire agli ospiti venuti per le condoglianze, come se il cadavere del marito fedifrago e suicida non fosse ancora caldo e penzolante dal soffitto e la gente avesse semplicemente ricominciato a frequentare la loro casa dopo prolungate assenze.
Per scampare al contagio di un’Ofelia disperata, la ragazza è spedita dalla zia e rimarrà lì, nella Cagliari delle vacanze, in un appartamento della Marina in cui trascorre i mesi universitari.
Qui prende vita la vera storia del romanzo, sul pianerottolo di un palazzotto nobile in un quartiere povero, con l’odore di aglio fritto e di piscio che impregna i vestiti. La narratrice è il filtro attraverso cui scopriamo le pieghe di una tragicommedia quotidiana, impastata di dialetto e fantasie romanzate.
Il sotto e il sopra sono le due dimensioni; il punto d’osservazione è nel mezzo, nello sguardo smaliziato di Alice, il cui nome, che scopriamo inspiegabilmente solo verso la fine, lascia intendere un vago rimando alle porte varcate dalla ben più avventurosa Alice di Carroll.
Il Sopra è la luce che allaga le stanze dalla terrazza sul mare, il mare dentro le finestre con la festa delle navi che arrivano; è l’appartamento signorile del signor Johnson, violinista americano eccentrico e romantico e della moglie ricca e intransigente.
Il Sotto è quasi una cantina, è buio, cianfrusaglie e odore di cucina; è l’appartamento sulla scala di servizio della signora Anna e della figlia Natascia.
E se la donna delle pulizie è un’inguaribile sentimentale che si innalza per amore della musica luminosa del signore di sopra, il violinista incompiuto scende le scale alla ricerca della genuina autenticità delle cose semplici.
Gli altri personaggi si spostano come pedine in verticale, un po’ sfocati, come se li guardassimo dallo spioncino: il padre gay e il nipotino prodigio si limitano salire e scendere anche loro, in funzione dei due anziani innamorati.
La prosa rispetta le attese, aderisce alla quotidianità di cui ostinatamente ricalca i toni e procede piana senza troppo indugiare sulle profondità della materia. Della città più bella del mondo, la “Cagliari col mare dentro”, solo qualche sbirciata dalla finestra vista mare, il profumo del basilico e dense macchie di saggezza isolana.
Il romanzo come riscatto, teorizzato dall’autrice, trova qui un campo di prova: Alice, aspirante letterata, si propone di riscrivere la storia d’amore dell’amica Anna e del signor Johnson con un artificiale e consolatorio lieto fine, e così il romanzo stesso, che ne rispetta i propositi, si chiude in una prevedibile incertezza.