Mommy fino all'ultimo respiro
Il film “Mommy” (2013) di Xavier Dolan è uscito in Francia l’8 ottobre 2014; il titolo di “film de la rentrée” (“film del rientro”, letteralmente, dalla pausa estiva), attribuitogli all’unanimità dalla carta stampata e il battage mediatico, inedito per quanto riguarda il regista québécois, avevano nondimeno già portato il film a Parigi anche al di fuori delle sale cinematografiche. Durante tutto il mese di settembre, gli incontri-dibattito attorno al film, ai quali hanno presenziato lo stesso Dolan e il cast del film, come anche le presentazioni in anteprima hanno registrato rapidamente il tutto esaurito, com’è normale, del resto, per un film per il quale si è creata attesa, che è stato mediatizzato e in parte già mostrato prima ancora dell’uscita effettiva nelle sale.
Dalla presse alle affiches nelle stazioni del métro, Dolan è arrivato a Parigi da più di un mese, e in modo chiassoso: per nessun altro film “evento”, neanche per l’atteso “Saint-Laurent” di Bertrand Bonello, pure supportato da una retrospettiva al Centre Pompidou, c’è stato tanto clamore. Dolan è ovunque: dalle riviste specializzate (dai più letterari Cahiers du cinéma e Transfuge a Trois couleurs, la rivista gratuita distribuita nelle sale) ai quotidiani (a Dolan, l’iconico Libération ha dedicato due bellissime prime pagine: v. i n. del 23 maggio e dell’8 ottobre 2014), fino ai vari Les Inrockuptibles, Première, Télérama, Tétu, ecc.
La creazione di un evento del genere non è sorprendente: Dolan non è alla prima prova da regista ma alla quinta, ed è un habitué del festival di Cannes; inoltre, è bravo e decisamente consapevole di esserlo. Questa volta, però, il giovanissimo cineasta (1989) possiede un lasciapassare francese di non poco conto: il premio della giuria ricevuto a Cannes ex aequo con Jean-Luc Godard. È la consacrazione: Cannes ha fatto di Dolan, fortissimamente québécois di Montréal, un eroe nazionale, Davide che è riuscito a posizionarsi accanto a Golia; il nuovo e la storia del cinema.
Godard ha presentato a Cannes un film contemporaneo secondo i registri delle nuove tecnologie (“Adieu au langage”), girato in 3D con degli smartphones e camere da presa Go pro, sperimentale nei salti di narrazione, colore e immagine. Il film di Dolan, a confronto, è un classico: un discorso imbastito in maniera organica, dove i dialoghi tra i personaggi sono importanti, dei botta e risposta dal tenore teatrale in cui non ci sono salti e ogni dialogo è saturo di conseguenze. L’intera narrazione ha luogo all’interno di un riquadro strettissimo, quello del formato 1:1 e gli attori, che vediamo a volte con fatica in quella che sembra una casa di bambole, sembrano esibirsi in vere e proprie gare di bravura barocche e virtuose.
Quello che colpisce è come un film parlatissimo, difficile e per alcuni versi faticoso continui a registrare il tutto esaurito nelle sale e una curiosità dilagante tra gli spettatori. Dolan è the brand new, e fa quasi sorridere vedere nelle librerie specializzate il merchandising legato al film e il lancio di un cofanetto che racchiude l’intera produzione del regista, quattro lungometraggi in tutto (“J’ai tué ma mère”, 2009; “Les amours imaginaires”, 2010; “Laurence anyways”, 2012; “Tom à la ferme”, 2013).
“Mommy” è un film faticoso, dove i personaggi non smettono un attimo di parlare, saturando la scena. L’intreccio è tutto sommato semplice, e permette lo sviluppo di dialoghi che descrivono la personalità e i problemi dei protagonisti. All’inizio del film una didascalia informa lo spettatore che in un futuro non troppo lontano ma non precisato, in Québec una legge consente ai genitori di minori affetti da disturbi gravi del comportamento di rinunciare alla loro tutela affidandoli ad istituzioni psichiatriche statali.
I protagonisti di quello che si preannuncia come un dramma sono una vedova giovane ed energica, Diane (Anne Dorval), il figlio Steve (Antoine Olivier-Pilon), affetto dalla sindrome di TDHA (deficit dell’attenzione con sindrome di iperattività), appena espulso da un centro di rieducazione per atti vandalici e la loro vicina di casa Kyla (Suzanne Clément), una professoressa in congedo sabbatico resa quasi muta da una forma di depressione profonda. Le difficoltà della vita quotidiana fanno presto emergere la violenza di Steve e questo, attraverso una serie di immagini splendide, una vera e propria carrellata di colori e di luce caldissima ed autunnale che contrastano, insieme alla colonna sonora pop, con la drammaticità dei fatti.
La solidarietà che si instaura tra i tre loosers protagonisti della vicenda regala certo allo spettatore delle pause di grazia rispetto alle crisi d’ira dell’adolescente protagonista; piccoli momenti di quiete prima o dopo la tempesta a cui si succedono scene di violenza, sangue e amore esasperato. Steve urla a sua madre di amarla dalla prima all’ultima scena del film (“tu es ma priorité”, sei la mia priorità), fino ad arrivare a baciarla dopo l’ennesimo episodio di crisi. Una storia del genere non ha uno happy end né un senso universale: se tutte le famiglie felici si somigliano, quelle infelici lo sono tutte a modo loro.
Quello che è certo, è che il film di Xavier Dolan è un’opera di poco riposo, difficile e faticosa, piena di energia dalla prima all’ultima inquadratura. Tutto è gridato e c’è poco spazio (letteralmente) per immaginare alcunché: Diane/Anne Dorval incarna uno stereotipo femminile dove energia e coraggio rimano con un look too much e un linguaggio adeguato, sboccato e inarrestabile; Kyla/Suzanne Clément balbuziente e quasi muta è intensissima, capace di domare Steve attraverso le lezioni che gli impartisce door to door; Steve/Antoine Olivier-Pilon, è una supernova, lo vediamo saltare sulle macchine, attraversare la città di Montréal (perennemente filmata in una luce pomeridiana, aranciata e mai fredda) sullo skate, urlando, cantando, ballando, fare a pezzi una stanza ma anche dedicare parole dolcissime a sua madre in un karaoke grottesco sulle note di Bocelli. In questo crescendo, che culmina nella sequenza della fantasia di Diane, la quale auspica, per un momento, un avvenire “normale” e banale per sé e per il figlio –, non c’è mai un pianissimo e tutto corre, in qualche maniera, per non arrestarsi mai, per non risolversi mai all’interno del plot.
Xavier Dolan, Cast di Mommy alla premiazione al Festival di Cannes
Una simile doccia di tensione d’autore è il film di Dolan, salutato all’unanimità come un capolavoro, degno anche di paragoni con un’altra gloria nazionale, François Truffaut (nei Cahiers du Cinéma, la narrazione enfatica di Dolan è stata riconosciuta come l’erede dell’élan al cuore dei lungometraggi del regista francese). Quando il film è finalmente uscito nelle sale, si è quasi tirato un sospiro di sollievo per il rilascio della tensione: e a poco a poco, anche Libération ha smesso di dedicare quasi giornalmente uno spazio a questo o quell’aspetto della filmografia di Dolan. Poi, in seguito alla proclamazione dell’ultimo Nobel per la letteratura, che ha avuto quale protagonista lo scrittore francese Modiano, l’attenzione dei media francesi ha presto trovato un nuovo centro di interesse.
Aldilà della qualità del film, è pure notevole come un film come quello di Dolan, non facile, non gradevole, per tanti versi, sia stato così supportato dai media francesi. Certamente questioni di natura commerciale, di produzione (in Francia il film è stato prodotto e distribuito dal circuito MK2) hanno influito non poco sulle sorti del film, come anche il premio della giuria strappato a Cannes, dichiarato eguale a quello di Jean-Luc Godard – che è il sorprendente rovescio di Dolan: tanto Dolan ha civettato con la stampa ed è stato onnipresente per mesi quanto Godard è stato sibillino e parco di dichiarazioni, sempre meno disposto a concedersi al pubblico.
È, quindi, un poco un atto nazionale, il riconoscimento dei talenti di Dolan, unanime e conforme. Ma c’è anche qualcos’altro forse: in un periodo di pessimismo, in cui le sicurezze proprie del mondo francese cominciano a venire meno e una nuova crisi è dichiarata (la letteratura a riguardo è già immensa, da La France au défi di H. Védrine al pamphlet polemico ora in cima alle classifiche, Le suicide français di E. Zemmour), Xavier Dolan è una figura energicamente positiva e di speranza nel suo ottimismo, nel suo essere workaholic, tenace e onnipresente, eccessiva, onnipervasiva; come lo stesso regista ha annunciato a Cannes ritirando il premio, “Tout est possible à qui rêve, travaille, ose et n'abandonne jamais” (“Tutto è possibile a chi sogna, lavora, osa e non molla mai”). Xavier, fais nous rêver!