Speciale
Occhio rotondo 36. Etna
Lassù nella luce, l’Etna fuma con il suo pennacchio appena colorato di rosso. Qui giù la casa e l’albero sono immersi nel buio: soli tre punti luminosi, a fianco il palo con i fili elettrici che attraversano la campagna. Una fotografia di luce e di ombra, un momento liminare tra il giorno e la notte, del già-e-non-ancora. La foto scattata da Stefano Graziani ha qualcosa di deciso e insieme d’incerto. Ha ragione Nadia Terranova nel racconto che accompagna questo album fotografico Etna. La lingua di fuoco (Humboldt Books) a sostenere che questo vulcano è femmina, così come Stromboli è senza dubbio maschile. Appartengono a due forme diverse di vulcani: Stromboli, Iddu, è esplosivo, con il suo cratere in alto; Etna, la strega, come viene chiamata da quelle parti, è invece effusiva, lascia uscire lava da varie aperture. Terranova e Graziani hanno circumnavigato con il treno la base del vulcano da Catania a Giarre. Un viaggio sulla Littorina, come è designato il treno spinto dalla corrente elettrica, invenzione umana che gareggia in qualche modo con il potere di quel conoide. L’Etna è spuntata 500.000 anni fa dal mare; il suo diametro misura 40 chilometri e l’altezza, cresciuta anno dopo anno con le eruzioni, raggiunge i 3200 metri. Gli dei abitano dentro i vulcani, entità magiche e misteriose, dotate d’un proprio singolare carattere, montagne che amano e odiano, invidiano ed esprimono gelosie, proprio come gli esseri viventi. Di più: in modo assoluto, perché i vulcani sono gli esseri più viventi della Terra, collegati direttamente alle sue viscere.
Graziani mostra un ossequioso rispetto per la Strega. Se ne tiene al riparo, la ritrae con il suo sbuffo, ma si guarda bene di camminare incontro al fuoco che ne esce. Sono fumi che salgono verso il cielo, simili a nubi sbucate dal terreno: vapore e fuliggine, bianco e grigio, e il nero a tratti rossastro della campagna. Così Nadia Terranova gira intorno al cono con la forza del proprio ricordo e l’energia che le deriva dal passato, dove ogni sconfitta si trasforma in forza di volontà, e le rivalse si compiono in piccole e grandi vittorie. Una lotta che non ha mai termine, sia che si tratti di affrontarla con la parola, come fa la scrittrice, sia che ci si proponga di fissare l’Etna con la macchina fotografica, come accade all’artista. ‘A montagna provoca timore ma anche confidenza: la confidenza che deriva dal conoscere il proprio timore, come sa bene la scrittrice, o invece il timore del fotografo d’essere troppo in confidenza con la bocca che arde lassù. Ciascuno stia al proprio posto, sembra voler dire questo connubio di parola e immagine.
Ognuno di loro ha il proprio Virgilio che l’accompagna nel viaggio. Franco Battiato, per la scrittrice, che imbastisce il suo confronto con l’Etna attraverso i versi delle sue canzoni; mentre è la fotografia di strada per l’artista, che pare più a suo agio nelle vie delle cittadine toccate dalla Circumetnea piuttosto che dinanzi alla Strega che domina l’intero paesaggio. La casa, quasi indecifrabile dentro il cupo colore della sera, non è dunque un’abitazione, e neppure un rifugio. E come mai potrebbe esserlo, se lassù incombe il camino dell’Etna? Vivere sotto il vulcano non è cosa per tutti, ci spiega Nadia Terranova. Com’è indicato nella quarta di copertina, l’occhio di vetro di Graziani funge qui da spettatore. Il suo sguardo è estraneo al luogo e alle stesse persone ritratte. Che lo sbuffo della Strega sia la vera essenza del vulcano, la sua manifestazione più tangibile? È il mese di novembre del 2019 quando arrivano lì e la vera eruzione deve ancora accadere, ma nessuno dei due lo sa, a nessuno in generale è noto il destino che ci attende.
L’occhio di Stefano Graziani è un occhio contemplativo, a proprio agio con il mondo degli oggetti, che esplora con l’acume del collezionista, un occhio che controlla e include, che accetta la diversità dentro uno spazio in cui l’emozione sta sui bordi come una cornice. Al contrario, ogni singola frase di Nadia Terranova emana emozione e passione. Sembra che lei scriva per dare una forma a entrambe; il fotografo invece si tiene a debita distanza. Un viaggio convergente e divergente allo stesso tempo, se non fosse per questa immagine così inquieta e instabile della sera. I Vulcani sono l’altro da noi; così anche la Terra, se solo la conoscessimo davvero, se solo potessimo entrare nelle sue viscere, cosa che per fortuna non ci è concessa, se non a poche e sparute persone scomparse nel crudele confronto con la macchina geologica che macina i secoli e i millenni, come se fossero i minuti sassolini nella tasca di Pollicino. Quale casa? Chi c’è dentro quella abitazione misteriosa? Niente lo dice. Possiamo immaginare quello che vogliamo. Così è, se ci pare.
Etna. La lingua del fuoco. © 2019 Stefano Graziani
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