Speciale
Occhio rotondo 37. Bambini
Chi l’ha detto che a Gabriele Basilico non interessano le persone? Ci sono dei ritratti davvero splendidi, fotografie prese a Glasgow in quello che è stato il suo esordio di fotografo nel 1969. Lo ricorda Giovanna Calvenzi in un libro pubblicato qualche tempo fa da Humboldt. Alla periferia della città scozzese in un tardo pomeriggio d’estate Gabriele scatta un rullino. Le fotografie includono gli spazi vuoti che l’interessano da sempre, le vecchie fabbriche dismesse, ma anche i gruppi di bambini e bambine che gli si parano davanti nel corso della sua passeggiata. Tornato in Italia mostra gli scatti a Lanfranco Colombo che li espone alla galleria milanese “Il Diaframma”. È la prima mostra di Gabriele. Sono ragazzini che s’esibiscono davanti all’obiettivo del fotografo: allegri, sbarazzini e anche un poco discoli. Gli ricordano probabilmente qualcosa di sé; c’è però anche la lezione di Cartier-Bresson e quella di Bill Brandt. Nel 1973 Gabriele comincia a frequentare le periferie di Milano. S’è iscritto ad architettura nel 1963 e ha iniziato a fotografare per la rivista “Urbanistica Milano” di Marco Romano. Siamo nel periodo delle battaglie politiche per la casa di gruppi come “Lotta Continua”. Gira per i nuovi e vecchi quartieri della città, così gli capita davanti un gruppo di sette ragazzi. Li fotografa con lo sfondo delle case costruite da poco, alti casermoni in fila, uno dietro l’altro: sono un paesaggio consueto a Quarto Oggiaro. I ragazzini si ritrovano in quei terreni abbandonati che non sono più campagna e neppure città. Forse Gabriele ha detto loro di mettersi in gruppo, oppure sono loro ad essersi disposti così. Guardano in macchina. Probabilmente è estate: indossano canottiere, calzoni corti, magliette. Uno ha un cappello in testa con la visiera, su cui ha scritto. Un altro, incurante dell’obiettivo fotografico, ha visto qualcosa per terra e ha teso l’elastico della fionda. Sta per lanciare il sasso. Non è l’unico con la frombola. Sono un gruppo di amici che si ritrova tra quei terrains vagues, come accade in altre periferie di città italiane ed europee. Sorridono, sono allegri, ma possiedono anche la serietà di chi si confronta con l’obiettivo fotografico, manifestano qualche timidezza, non come quelli di Glasgow. Basilico ha ritratto questi ragazzi in almeno un paio di immagini che ora sono esposte al Monastero di Astino nella bella mostra curata da Corrado Benigni, Gabriele Basilico. Ambiente urbano. 1970-1980 (con uno scritto di Benigni e uno di Fulvio Irace, Archeologia di Basilico). Sono le immagini che precedono Milano. Ritratti di fabbrica del 1981, e molte contengono persone, passanti, gruppi di bambini, adulti, anziani, operai, lavoratori, motociclette e anche auto. La città è viva anche nella desolazione degli spazi vuoti e delle strade semideserte. Alcuni scatti ricordano quelli di quattro anni prima a Glasgow, ma hanno anche qualcosa di diverso: sono meno estetiche, meno “belle”, non richiamano direttamente opere di altri fotografi. La città, Milano, appare come un grande interstizio dove Gabriele s’è inserito e lì nello spazio intermedio, non definito, ha trovato persone che rinviano a immagini interiori, a memorie d’infanzia o d’adolescenza della Milano post-bellica, tra le macerie della guerra. Quando passerà a ritrarre solo gli edifici la domenica nel silenzio inoperoso della città, Basilico si ricorderà dei bambini di Quarto Oggiaro? I suoi opifici sono ritratti come è indicato nel titolo del libro, che ne stabilisce lo statuto di grande fotografo. “Ritratto” è l’immagine di una specifica persona, è qualcosa d’individuabile. Nel suo significato originario significa: “figura ricavata dal naturale”, secondo Filippo Baldinucci (1681). Vuol dire “presa dal vero”. Mentre ritrae le sue fabbriche, gli stabilimenti, i magazzini, le manifatture, gli impianti disseminati nelle zone meno centrali della città, Gabriele userà il medesimo sguardo che utilizza qui per questi bambini: attento, rispettoso, allegro e anche innocente. Ha perfettamente ragione Corrado Benigni quando nella sua introduzione, La città e il volto, scrive che Gabriele Basilico “è uno di quei fotografi di cui si vede l’occhio che guarda”. I bambini e le fabbriche sono la medesima cosa. Meglio: le fabbriche somigliano ai bambini. Hanno anche loro un volto, come questi ritratti a Quarto Oggiaro. Gli opifici possiedono dei volti, sono unici e insieme diversi, singolari e al tempo stesso molteplici. Li guarda con la medesima intensità. Nessuna freddezza, ma curiosità, la stessa che un fotografo di ritratti utilizza per inquadrare con la macchina fotografica i propri soggetti. Le fabbriche della periferia sono guardate con la medesima empatia con cui è ritratto il gruppo dei sette ragazzini. Cosa cerca in entrambi Basilico? Qualcosa che gli appartiene intimamente, qualcosa che è prossimo a lui stesso. È naturalmente la faccia di Milano, la sua città, che ritrova ovunque, seppure diversa, eppure sempre la medesima dappertutto. Questo è anche il volto di Gabriele? È la sua fisionomia di bambino, che ha giocato in quegli spazi vuoti e abbandonati, nei terreni vaghi, sulle macerie della guerra? Sono stati questi luoghi la chiave d’accesso ai magnifici e assoluti ritratti di città che scatterà da quel momento in poi. È stato anche lui un bambino, e in qualche modo ha continuato a esserlo da studente di architettura e anche da fotografo.
Gabriele Basilico, Milano, Quarto Oggiaro, 1971, © Gabriele Basilico
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