Orizzonti a Chiusi
Un bambino osserva il padre costruire un racconto per lui. Parole e musica sono scarpe veloci e fiato lungo per saltare in braccio alla fantasia. Ma da sole non bastano, rimangono segni inanimati su un pezzo di carta. È la presenza del figlio sul palco che dà ad Ascanio Celestini il coraggio di credere a Pierino e il lupo di Prokof'ev davanti a una piazza intera, è quell’attenzione ferma e schietta che guida la sua voce nella serata conclusiva del Festival Orizzonti di Chiusi (provincia di Siena) tra Pierino, il nonno, l’uccellino, l’anatra, il gatto, il lupo, i cacciatori e i fucili dell’Orchestra da Camera del Maggio Musicale Fiorentino, diretta dal Maestro Sergio Alapont.
L’affetto più grande ha ispirato e reso vincente il debutto da narratore ‘classico’ di Celestini, Premio Orizzonti alla carriera artistica. Allo stesso modo, la XII edizione del Festival (1-10 agosto) sarebbe rimasta un’ambizione velleitaria se non ci fosse stata una città comprensiva, attenta e partecipe del progetto di Andrea Cigni, al primo dei tre anni da direttore artistico: una manifestazione di tutti e per tutti, otto ambiti performativi, teatro, danza, lirica, concerti, e ancora mostre, presentazioni, laboratori e proiezioni, per riscoprire “la meraviglia e la magia dell’incontro tra Teatro e Pubblico”. Le maiuscole non sono un refuso: sono la firma autografa della direzione.
Cigni, del resto, sa cosa significhi misurarsi con tutti: l’organizzatore del Festival, la Fondazione Orizzonti d’Arte di Chiusi (ente a partecipazione pubblico-privata nato nel 2012 per volontà del Comune), l’ha scelto tra i 41 candidati che, da tutta Italia, hanno risposto al bando di concorso promosso lo scorso anno per fare del borgo toscano un punto di riferimento nel panorama delle arti dal vivo. Qui gli Amministratori, a cominciare dal Sindaco Scaramelli, considerano la cultura un “motore propulsivo per sviluppi di benessere e crescita individuale e collettiva, turistica ed economica”.
40 anni, toscano, laurea al Dams di Bologna, apprezzato regista di lirica, Andrea Cigni ha convinto la Fondazione principalmente per la sua forte motivazione, per aver puntato a coinvolgere le risorse del territorio e per l’idea di produrre o coprodurre spettacoli per portare Chiusi e il Festival in giro per l’Italia. Così, Orizzonti 2014 ha fatto proprio l’auspicio di Manfredi Rutelli, ideatore e direttore artistico per undici anni consecutivi (“un Festival che si affermi esso stesso quale Spazio in cui agire e in cui aprire lo sguardo su orizzonti sconfinati”) e l’ha realizzato “Tra mito e favola”, tra legami con il passato e proiezioni nel futuro, tra “ciò che riconosciamo come fantastico e onirico e ciò che si fa concreto lasciandoci un messaggio, una morale”.
Il mito quindi come Storia fondativa. Paolo Panaro, attore e narratore, ha condotto Enea nel Museo Civico, Ulisse nel Museo Nazionale Etrusco e Orlando sul lago di Chiusi con le barche dei remaioli, VisitAzioni per declamare che l’aldilà è il sogno bugiardo dell’anima del mondo, che ogni cosa ha una fiammella cosmica, ma ricorda di essere parte del tutto soltanto quando le viene raccontato. Panaro ha Virgilio, Omero, Esiodo, Ovidio e Ariosto in testa, negli occhi e nelle mani, che dettano i tempi della narrazione come bacchette del direttore d’orchestra, dove lui è tutti gli strumenti. Mani di danzatore, precise, vigorose, mani che fanno spazio alle profondità della voce, burattini di un Prospero che mette in scena la realtà. Le VisitAzioni di Paolo Panaro sono state viaggi mitici che nel respiro di luoghi simbolo sono diventati storiografia, occasione di lasciare le radici delle proprie convinzioni e metterne altre, altrove.
Orizzonti ha chiesto perciò al pubblico di lasciare se stesso alle spalle ed entrare in teatro, ovunque si facesse spettacolo. Una strada di equilibrio che le Incursioni del Progetto Dedalo [Performance Urbane], giovani performer provenienti dalle principali scuole italiane di danza e acrobatica, hanno tracciato nello scorrere quotidiano della vita di Chiusi: figure appese, striscianti, aggrappate al silenzio strappato alle chiacchiere all’ora dell’aperitivo, figure che hanno urlato o sussurrato che non esiste libertà se non nell’unione di ciò che ci divide, che l’altro è il punto di appoggio per uscire dai labirinti concentrici della nostra indecisione.
Incursioni. Progetto Dedalo (ph. Matteo Brighenti)
Fisicità e volontà di incontro che ritroviamo in Enter Lady Macbeth – Ispirato alla Tragedia Macbeth di Shakespeare della Compagnia Simona Bucci, in prima nazionale al Festival. Il senso del dramma è il trasferimento dal piano magico e fatale a quello psicologico e umano: la Lady diventa creatura della notte, terra e aria come le streghe, il corpo nudo, tribale, Amazzone animalesca e furiosa con lunghi capelli nero corvino. Una figlia che ha scelto di essere madre di ambizioni, colpe, rimorsi e follia.
Enter Lady Macbeth. photo Gabriele Termine
È il fascino oscuro di ciò che desideriamo conoscere, ma è troppo lontano per poterlo raggiungere. Fortebraccio Teatro l’ha espresso con grande inquietudine lynchiana nella prima nazionale de I giganti della montagna – Atto I, diretto e interpretato da Roberto Latini, con Federica Fracassi (già al festival InEquilibrio di Castiglioncello, ma con il solo Latini in scena). Se Pirandello s’interrompe sulle parole “io ho paura! ho paura!” di Diamante, una della Compagnia degli Scalognati, al passaggio dei giganti della montagna, qui la paura e l’oppressione senza sfoghi sono la regola. La villa è una distesa di spighe, un pasto cerebrale, fermento della mente che solo la morte potrà mietere: l’attore è un grano infestato dai corvi.
Latini e Fracassi sono attraversati da tutti i personaggi, velati e svelati da due tulle neri, cieli di un Truman Show gotico contro cui si infrange lo scontro realtà/finzione. Effetti, muscoli fisici e vocali per un teatro che però non riesce a svelare il proprio mistero, sembrando piuttosto il pretesto per riaffermare la libertà dell’artista di dire ciò che vuole e come vuole, anche a costo di una comunicazione escludente, criptica, per iniziati. Una scelta lontana dallo spirito di Orizzonti 2014, centrato sul rapporto schietto con il pubblico. Deve essersi reso conto di stare andando fuori dal seminato, Roberto Latini, perché alla seconda replica I giganti della montagna erano più ‘aperti’ agli spettatori, pur non perdendo nulla quanto a impatto e atmosfere: si capiva che gli attori della Compagnia della Contessa eravamo noi. La platea come prosecuzione della scena con altre immaginazioni.
Giganti della montagna. Photo Simone Cecchetti
Chi invece ha tirato dritto sulla strada dell’incomunicabilità è stato Jackie e le altre – un altro pezzo dedicato a elfriede jelinek di Teatri di Vita, ancora una prima nazionale in coproduzione con il Festival Orizzonti come Enter Lady Macbeth e I giganti della montagna. L’abito di moglie per la Jackie Kennedy Onassis di Jelinek è un punto vita che cuce la libertà di essere se stessa. Quando voleva scappare non poteva e allora, almeno, si scopriva le gambe con vestiti corti. Andrea Adriatico, nel mettere in scena il testo del Premio Nobel 2004 per la letteratura, un processo alle intenzioni in contumacia, immagina una litania ingessata che si riverbera monotona, fissa, senza alcuna variazione da Anna Amadori a Olga Durano a Eva Robin’s a Selvaggia Tegon Giacoppo.
Giù dal palco, su 4 cubi illuminati le 4 bambole del potere a immagine e somiglianza del ritratto denigrante fatto da Marilyn Monroe su Vogue (tubino e parrucca neri, guanti grigi, rossetto che riprende il foulard fucsia e giri di perle intorno al collo) dicono che Jackie ha cercato di tenere insieme il cranio frantumato di Kennedy come la sua famiglia o che il rosa si ricorda anche se sporco di cervello. La fragilità è una posa inespressiva, la rabbia è un ghigno opaco, in un vuoto interpretativo che si riempie di frasi a effetto come “ci può essere un accento anche nel sottrarsi”. Se però l’intenzione era far risaltare il tormentato bianco e nero delle immagini d’epoca proiettate sul palco e la nostalgia di un tempo “mitico” anche per chi non l’ha vissuto, allora Jackie e le altre è perfettamente riuscito.
La vita non è una favola. Non lo è per una first lady, ma nemmeno per una principessa, una strega cattiva o un principe. Grimm’s Anatomy, l’unico spettacolo prodotto interamente dal Festival Orizzonti, ha misurato la complessità di essere adulti riscrivendo tre fiabe dei fratelli Grimm, Biancaneve, Cenerentola e La bella addormentata.
Tre monologhi, tre registi nati e cresciuti artisticamente sul territorio, la Compagnia del Festival: c’erano tutti i numeri per smascherare il nostro mondo che ruota intorno alla bellezza a tutti i costi, all’emarginazione della diversità, alla meschinità di rinunciare ai sogni per un subaffitto di normalità. È mancato però il totale, come dicono i commercianti della zona mostrando i conti segnati dalla crisi: l’indagine sul presente si è limitata a psicologismi televisivi (nel titolo riecheggia peraltro la serie tv Grey’s Anatomy), moltitudini di pensieri annacquati e battute per parenti e amici stretti (“in Russia i negozi di alimentari si chiamano “dieta”, buffo no?”). Gli attori si sono aggrappati alle macchie scolorite del disegno registico e quindi parlavano perché avevano imparato le battute a memoria, ma non erano presenti a quello che dicevano. Grimm’s Anatomy è teatro minore, con la t minuscola, al limite dell’amatoriale.
L’opposto della qualità maiuscola voluta da Andrea Cigni che per il rilancio nazionale del Festival Orizzonti ha portato a Chiusi anche Virgilio Sieni, la Socìetas Raffaello Sanzio con Chiara Guidi, I Sacchi di Sabbia, il teatro ragazzi della Compagnia Cà Luogo d’Arte, la musica di Maurizio Baglini e Silvia Chiesa, il dittico composto da Pierrot Lunaire di Schöenberg e Gianni Schicchi di Puccini. Lorenzo Cutùli, curatore della mostra Mito e Favola – I costumi della Sartoria Farani ha vinto l’Oscar della Lirica, l’International Opera Awards 2014 per la scenografia.
Ma tutto questo Cigni lo sa. Infatti, durante la presentazione nei giardini del Duomo del futuro Orizzonti, #Mediterranea2015 (31 luglio – 9 agosto 2015), il neo direttore artistico ha confermato la collaborazione con Paolo Panaro e Roberto Latini, ma non ha fatto parola sulla compagnia chiusina. Un Festival deve prendersi l’opportunità anche di sbagliare: è sinonimo di voglia di fare per contribuire a qualcosa di importante. Come lo è presentare la nuova edizione quando non è ancora finita la precedente. Riconoscere i propri errori, d’altra parte, significa crescere. E Orizzonti ha giovinezza, tenacia e intelligenza per diventare grande.