Perplessi dal coro di laudatio / Pannella e il suo cupio dissolvi
Lascia perplessi il coro unanime di laudatio alla morte di Marco Pannella.
La memoria del nostro spirito pubblico è, come da lunga e triste tradizione, molto labile. Ricordare Pannella significa invece mettere al centro la sua capacità “divisiva”, il suo creare conflitti e scontri. Perché era un democratico liberale – e libertario – fino in fondo. Perché sapeva che senza conflitto non ci sono né libertà né democrazia. L’unanimismo, le “ammucchiate” come amava dire, gli facevano orrore. Solo nel confronto aperto, diretto, violento a parole quanto disarmato nei gesti, poteva emergere un incontro tra posizioni diverse. Certo, le sue, quelle dei radicali, non ammettevano incrinature dall’impostazione originale. Cocciuto come un mulo molisano (uno dei suoi tanti modi di definirsi) Pannella trascinava se stesso e i suoi in uno scontro a testa bassa, contro tutto e tutti senza arretrare di un millimetro. Questa nettezza nei giudizi e nelle scelte gli è valsa una valanga di nemici, soprattutto a sinistra. Il disprezzo sarcastico e supponente fino ad espressioni di purissimo odio con cui veniva trattato dai comunisti degli anni del compromesso storico era frutto di una incompatibilità antropologica prima che politica. Il perbenismo soffocante della (doppia) morale togliattiana – leggere e rileggere Il Comunista di Morselli serve più di cento ponderosi saggi! –, unito alla mitologia dell’incontro delle grandi masse popolari, non poteva accettare un irregolare che irrideva alla rivoluzione proletaria e agli irraggiungibili paradisi per i lavoratori indicando invece il pragmatismo delle buone leggi. Un trucco della borghesia per distrarre il popolo dalle sue lotte, dicevano i dirigenti del PCI berlingueriano.
L’incomunicabilità con la sinistra di classe – con quella gruppettara qualche spiraglio si aprì, in particolare con Lotta Continua post-77 – era bilanciato da una certa disponibilità, a volte strumentale, a volte sincera, del nuovo corso del Psi di Craxi e Martelli, in nome di un socialismo democratico e riformatore. Una illusione di breve periodo, però, naufragata nell’orgia del potere craxiana. Per il resto il vuoto assoluto di connessioni e alleanze.
Pannella e il Pr continuarono da soli la loro marcia nel deserto. Però le oasi lussureggianti degli anni settanta e primi anni ottanta non si sono più trovate. Dopo la grande stagione dei diritti civili, la concentrazione ossessiva su un problema troppo grande anche per Pannella – la fame del mondo – e una visione catastrofista del sistema politico italiano che legava le mani e inibiva ogni progettazione, hanno rallentato la corsa radicale. Si apriva ancora uno spazio nel 1992, quando tutta la classe politica italiana andò all’inferno. Ma, incomprensibilmente, Pannella non si fece paladino del rinnovamento morale della politica, lui che era l’unico a poter vantare un’adamantina onestà. Ha preferito, con quel filo di cupio dissolvi che lo ha sempre accompagnato, dedicarsi ad altro, perdendo così l’ultima occasione.
Ma anche se la storia bella è lontana di decenni, non solo rimangono quelle “conquiste di civiltà”, ma resiste l’idea di una politica onesta, non-violenta, fatta in prima persona, e consapevole di rischiare qualcosa per affermare le proprie convinzioni attraverso la disubbidienza civile a leggi incivili. Una politica che oggi nessuno pratica più.