Paolo di Paolo. Dove eravate tutti

3 Novembre 2011

Cos’è successo negli ultimi vent’anni? L’Italia dov’era mentre Berlusconi faceva sognare gli ingenui e inorridire gli increduli? Gli italiani che quest’anno si celebrano con il tricolore sbiadito ai balconi, dov’erano? Dove eravamo tutti? E dove siamo oggi che lasciamo che cancellino il 25 aprile e il 1° maggio dal calendario festivo? Qui, o poco più in là, oltre i confini nazionali. Ma pur sempre stravaccati su un divano a guardare la tv, o appena più composti a un tavolo di amici a discutere del Cavalier Pirata, o ad un caffè la mattina a scorrere le pagine nazionali tra cornetto e cappuccino. Eravamo tutti qua. Gli anni passavano e il Cavaliere restava “il capo e la coda di ogni discorso, l’infinita colla che teneva insieme le nostre parole” e le nostre vite. Dove eravate tutti è il titolo del romanzo d’esordio di Paolo di Paolo (Feltrinelli, pp. 219, €15), ed è questa l’Italia che ci regala, un paese mancante, attonito o, ancor peggio, assopito.

 

Il protagonista, che si chiama non a caso Italo, è uno studente universitario, uno di quelli che non si schiodano. La tesi che vorrebbe scrivere su Berlusconi “non funziona”, perché il professore è impigrito dalla lunga carriera, mentre l’assistente futuro candidato Pd non vuole avere fra i piedi inutili complicazioni. Non solo, Italo si ritrova con un padre ex insegnante al primo anno di pensionamento che parla poco ma traffica molto (tenta di mettere sotto con l’auto Marangoni Thomas, suo ex alunno; cerca di farsi pubblicare a pagamento un misterioso libro) e una madre casalinga che abbandona la noia e la fatica quotidiana e se ne scappa a Berlino, senza troppa convinzione; e con una sorella adolescente che s’innamora proprio dell’unico essere umano che il padre non può soffrire, per l’appunto Marangoni Thomas. Infine, ci sono le Ragazze Sbagliate di Italo.

 

Il quadro nel romanzo è desolante, la cronologia personale di Italo s’intreccia con quella dell’Italia, pagine dei quotidiani riprodotte nel testo s’alternano con disegni e grafici del protagonista, l’oggetto sempre lo stesso: il troppo vuoto sì, ma pure il troppo pieno italiano, perché il berlusconismo ci avrà anche svuotato (di forze e speranze) ma ci ha pur sempre riempito: di immondizia che ora non sappiamo più dove nascondere. E così questo romanzo, subissato da tutto il male del nostro recente passato, avanza in bei capitoli a sé stanti, che però sottraggono qualcosa alla costruzione complessiva, troppo disgregata e sincopata. Eppure il libro di Paolo di Paolo cattura lo stesso grazie a una scrittura efficace ed elegante, con buona pace di tutti i discorsi sulla morte dello stile e della lingua.

 

Con una bella metafora, l’autore ci vede tutti su una nave da crociera. Ci siamo saliti negli anni Ottanta, al ritmo di balere, discoteche e Colpo grosso. Abbiamo preso il largo e siamo rimasti a bordo per vent’anni, “le vacanze erano finite, veniva da piangere, come in una pubblicità. Però qualcuno deve aver detto che si poteva restare. Si poteva non scendere più. Lui avrebbe continuato ad intrattenere, a sorridere, a cantare”. L’Italia, l’ultima Italia, non l’ha fatta Berlusconi, l’abbiamo fatta noi, con i nostri taciti assensi, con le nostre pigrizie, e per molti con aspettative infine disilluse. Ma la nave da crociera galleggia ancora, è là su un orizzonte incerto, e noi siamo ancora tutti sopra. E se sarà naufragio, gli spettatori non saremo noi.

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