Pintori: la grafica ai tempi della Olivetti
Non è difficile individuare i bersagli che il giovane Renato Solmi indicava, senza fare i nomi, nell'incandescente introduzione ai Minima Moralia di Adorno (Einaudi 1954), ora ristampata da Quodlibet. "Lo snobismo dei gruppi che si danno convegno – anno per anno – in un'isola selvaggia e fuori mano, fieri della differenza e della propria scoperta, ė di cattiva lega come lo humour di certi bohémiens attardati che si distinguono dai borghesi solo perché sanno fare loro il verso".
Bocca di Magra, tra La Spezia e la Versilia, non è un'isola selvaggia ma, negli anni Cinquanta, quando Solmi scrive queste pagine, diventa luogo di ritrovo di una borghesia intellettuale stufa della Versilia e che vagheggia un ritorna alla natura, o almeno, a una vita semplice per un mese all'anno. È "il posto di vacanza" di Vittorio Sereni, di Elio Vittorini, di Giulio Einaudi, editore dei Minima Moralia, di Giancarlo de Carlo, di Franco Fortini, di Nicola Chiaromonte che ospita Mary McCarthy e Dwight McDonald. Nelle tante fotografie di corpi magri al sole, si ritrova anche il volto scuro e gentile di Giovanni Pintori. Era un gruppo di persone, eredi dello ‘snobismo liberale’ di cui ha scritto Elena Croce, accomunate da un senso estetico 'per sottrazione', da un'eleganza trasmessa attraverso dettagli (di arredo, ma anche di abbigliamento), ancora minoritaria negli anni Cinquanta, ma che dal decennio successivo diverrà un comune denominatore di uno 'stile italiano' che andrà a vicino a conquistare un’“egemonia culturale” negli anni Settanta, per poi cominciare a declinare nel decennio successivo. Per risalire alle fonti del nostro made in Italy è molto utile leggere e guardare la bellissima monografia che Marta Sironi, storica della grafica e della illustrazione, ha dedicato a Pintori (Moleskine, 49 euro).
Giovanni Pintori è uno dei tre sardi, insieme a Costantino Nivola e Francesco Fancello, che lasciano l’isola ancora immersa nell’arretratezza culturale ma non priva di importanti tradizioni artigiane, per frequentare l'ISIA di Monza, quanto di più simile alla Bauhaus l'Italia potesse offrire negli anni Trenta. Una scuola che si affrancava dalla Scuola d'Arte del Castello Sforzesco, baluardo di un liberty ormai monumentale che poggiava su un credo positivista. All'ISIA il pane modernista è spezzato da docenti come Edoardo Persico, Giovanni Pagano e Marcello Nizzoli che già collabora con la Olivetti. Pintori arriva alla Olivetti collaborando alle tavole del Piano Regolatore della Valle d'Aosta (1936), primo esempio di programmazione urbanistica in Italia e che vede, al fianco di Adriano Olivetti, i BBPR, Piero Bottoni, Marcello Nizzoli e il gruppo di interni dell'ufficio propaganda della Olivetti che ha sede in via Palermo a Milano. Quando, nel 1938, Olivetti recluta l'ingegnere-poeta Leonardo Sinisgalli per dirigere l’Ufficio tecnico di pubblicità dell’azienda di Ivrea, Pintori è sollecitato a rendere la pubblicità un’arte. “Il demone dell’analogia ci suggeriva uno spunto ogni giorno”, scrisse poi Sinisgalli rievocando quel periodo in cui le vetrine del negozio Olivetti in Galleria Vittorio Emanuele diventano un appuntamento fisso per i milanesi curiosi di conoscere i risultati della collaborazione tra letterati come Elio Vittorini e artisti come Lucio Fontana, Pintori e i suoi compagni di lavoro. Simbolo di quella stagione è la pubblicità con la rosa nel calamaio, a significare l’avvento della macchina da scrivere. Problema generale dell’industria è inserirsi nella vita di ogni giorno senza provocare traumi. Se l’ufficio è il luogo della modernità, della civiltà delle macchine, più difficile risulta inserire una macchina da scrivere portatile, come ad esempio la Olivetti Studio 42, nel paesaggio domestico. Da qui la necessità della metafora (nel caso di Pintori la mano, i fiori, gli uccelli o altri elementi del mondo naturale vegetale e animale), o dell’analogia, per allontanare il senso di minaccia che il nuovo porta sempre con sé. Una risposta ai problemi, teorici e pratici, della collaborazione tra arte e industria è la Mostra delle invenzioni italiane che si tenne in Triennale nel 1939, dove si affiancano gli stand delle industrie italiane ad esempi tratti dalla nostra storia dell’arte. Nelle recensioni alla mostra di Carlo Emilio Gadda, dello stesso Sinisgalli, il punto centrale è che l’arte può rappresentare la tecnica, anzi che arte e tecnica sono una cosa sola. È, naturalmente, l’idea rinascimentale di unioni delle arti, ma che ora si può trasferire alle diverse componenti di un’industria – in questo caso la Olivetti – che produce macchine, le commercializza, le promuove, che si pone problemi di crescita culturale e civile di quelli che ancora non si chiamano consumatori.
Pintori è folgorato dalle macchine di Leonardo, dallo svelamento dei meccanismi che presiedono il funzionamento di una macchina, e li trasferisce, utilizzando soprattutto la ruota meccanica, la ‘corona’ nel caso della macchina da scrivere, nelle pubblicità olivettiane. Pintori tornerà ad utilizzare per tutta la sua lunga carriera in Olivetti che si concluderà nel 1967 con una personale a Tokio. Retrospettivamente l’epoca più felice di Pintori coincide con quella della Olivetti: gli anni Cinquanta, quando si definisce uno ‘Stile Olivetti’ a cui contribuiscono anche Marcello Nizzoli, Paul Rand e Leo Lionni. Nelle pubblicità, fa notare Marta Sironi, spicca l’uso del bianco, dei colori primari, delle geometrie (mi pare che Klee e Braque siano le fonti d’ispirazione più dirette, artisti che si ritrovano nelle copertine dei volumi Einaudi coevi), a definire un’immagine di grande pulizia formale che spazza via decenni di tradizione illustrativa (la stessa Olivetti aveva utilizzato a lungo Marcello Dudovich). Il risultato più compiuto è che dalla fine del decennio (la pubblicità della Tetractys), e poi negli anni Sessanta, si rinuncia a mostrare il prodotto rimandando a forme astratte con un uso insistito del colore in una cornice di bianco, ma che immediatamente alludono al nome Olivetti. Pintori collabora, dopo la pensione, con altre aziende come Merzario e si darà poi alla pittura, ma non è più in grado di inventare veramente, né gli esiti artistici raggiungono i risultati dell’arte applicata. Questo libro rende giustizia a uno degli artefici del nostro made in Italy e a una scuola grafica tra le più importanti del secondo Novecento.