Porno mainstream/porno alternativo
Negli ultimi anni la pornosfera ha notevolmente espanso i propri confini penetrando prepotentemente nei formati e nell'immaginario della cultura pop, secondo quel fenomeno che Brian McNair ha chiamato pornification of the mainstream: una produzione culturale che utilizza diffusamente le rappresentazioni visualmente affini al porno. Si tratta di un fenomeno in continua definizione che trova una solida riconfigurazione nel netporn, il consumo di pornografia online presso le grandi piattaforme come YouPorn, PornHub, Xvideos, ecc. Il netporn ha aperto nuovi orizzonti critici all'interno degli studi sulla pornografia: nuovi media, cultura convergente, pubblici frammentati, modalità di fruizione e modelli economici sono i fenomeni che prendono forma in rappresentazioni che differiscono, sia spontaneamente sia programmaticamente, dallo straight porn, ovvero il porno mainstream, quello principalmente eterosessuale e maschile popolato da corpi femminili e performance standardizzate, che ad esempio Pietro Adamo ha chiamato in un libro “porno di massa” (Il porno di massa. Percorsi dell'hard contemporaneo, 2004).
Quella di massa è una pornografia che predilige corpi giovani, biondi, abbronzati, depilati e siliconati che guardano in macchina mentre eseguono perfomance spesso estreme e che richiamano prestazioni agonistiche, dove il piacere diventa continuo alla resistenza fisica di una penetrazione doppia o anche tripla, e in cui, per Stephen Maddison, ad esempio, è possibile leggere tra i vari livelli di significazione che includono anche le strategie del neoliberismo. La pornosfera contemporanea necessita di una ridefinizione rispetto alle posizioni consolidate nel passato, soprattutto quando, come ha scritto Linda Williams nell'introduzione di Porn Studies (2004), siamo in un contesto in cui proliferano diverse tipologie di pornografie (proliferating pornographies). Una posizione, quella di Williams, già autrice del seminale Hard-Core: Power Pleasure and “the Frenzy of the Visible”(1989), a partire dalla quale si è assistito a un incremento di studi accademici sulle relazioni tra cultura, media e pornografia: Pornification: Sex and Sexuality in Media Culture (2007) di Susanna Paasonen, Mainstreaming Sex: The Sexualisation of Western Culture (2009) e Porn.com: Making Sense of Online Pornography (2010) entrambi curati da Feona Attwood, testi che riflettono sui modi, le tecnologie e i linguaggi della pornosfera contemporanea per comprendere, usando strumenti transdisciplinari, un fenomeno in continua evoluzione che illustra i processi attraverso i quali la nostra cultura rappresenta le sessualità.
Sarà capitato a molti di imbattersi in uno dei documentari del ciclo The Body of Sex in onda su Cielo, o a qualche abbonato Sky di ritrovarsi a guardare il backstage di un film porno, magari di Debbie Does Dallas... Again (2007) (ennesimo sequel dello storico Debbie Does Dallas del 1978), di assistere involontariamente alla svolta “soft porn” di tante giovani pop star (Miley Cyrus, Rihanna, Nicki Minaj, ecc.), di trovare sulla bacheca di Facebook i post sulla campagna di crowdfunding su Indegogo del collettivo “Le ragazze del porno” per produrre la versione italiana del progetto Dirty Diaries della regista svedese Mia Engberg, o quella di PornHub per finanziare un porno nello spazio, di guardare incuriositi le immagini di Droneboning, un porno girato usando la “visione verticale” del drone, o un porno per la Realtà Virtuale (ne parlo in un precedente articolo su doppiozero) o di canticchiare il tormentone Pop porno del duo musicale Il Genio.
Il porno contemporaneo ha cominciato a parlare di sé come non aveva mai fatto prima, mostrandosi nudo, nelle sue progettualità, in fieri, reinventandosi in una dimensione squisitamente autoreferenziale ma anche partecipativa, diventando un fenomeno “mainstream” che raccoglie quotidianamente milioni di visualizzazioni online e le cui logiche di consumo richiedono pertanto di essere analizzate attentamente, proprio come ha provato a fare recentemente la rivista “Wired” dedicando uno speciale sui big data del consumo di porno in Rete (nel 2013, 14mld di visitatori hanno visto 63mld di video).
Nell'attuale contesto di ridefinizione ed estensione dei Porn Studies un ruolo decisivo lo svolgono le pornografie alternative, le cui rappresentazioni si differenziano esteticamente da quelle mainstream. Con l'aggettivo “alternativo” si fa riferimento a una pornografia variegata e stratificata, usata per illustrare ideologie e questioni politiche (es. il Post Porn Modern Manifesto di Annie Sprinkle e al cinema porno queer di Bruce LaBruce), le sessualità queer, il porno in chiave femminile, le produzioni amatoriali e le pratiche DIY (Do it Yourself) che trovano nella Rete un'eccellente risorsa per ottenere visibilità; in altre parole, una pornografia le cui scelte estetiche, produttive e un pubblico frammentato descrivono esperienze di resistenza e opposizione al concetto di “mainstream”.
Questo scenario multiforme e in continuo aggiornamento richiede una mappatura. Ed è proprio questa l'intenzione alla base di Porn After Porn. Contemporary Alternative Pornographies (Mimesis International 2014), curato da Enrico Biasin, Giovanna Maina e Federico Zecca. I tre studiosi precedentemente hanno curato il volume Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media (Mimesis 2012) portando lo stimolante dibattito contemporaneo dei Porn Studies in Italia. Porn After Porn è la prima pubblicazione di un'interessante “book series”, Mapping Pornographies: Histories, Geographies, Cultures, un ampio progetto concepito nell'ambito della sezione “Porn Studies” dell'International Film Studies Spring School of Gorizia – Magis. Il libro è composto dai contributi di studiosi, attivisti, artisti e registi nazionali e internazionali i cui approcci restituiscono il senso dello sfondamento di confini dei Porn Studies contemporanei. Gli argomenti riguardano l'impatto delle tecnologie digitali e dei social media, i modelli produttivi e distributivi che oscillano tra mainstream e grassroots, le estetiche politiche che danno spazio ai piacere visivi di sottoculture e identità storicamente marginali nel porno, come le donne, le soggettività queer e gli individui con menomazioni fisiche (pornograhy of disability), definendo una pornografia che in prima istanza riconosciamo perché mette al centro delle sua performance corpi “non normati”, “bizzari” e ai limiti della freakery, che sfuggono a facili categorizzazioni. Una pornografia che legittima l'imperfezione invece della perfezione standardizzata di corpi omologati, arricchendo così il catalogo delle forme del desiderio contemporaneo svincolando quest'ultimo dalla sovrastruttura politica dello sguardo di uno spettatore tradizionalmente maschile (male gaze).
Come scrivono i curatori nell'introduzione, quello alternativo è un “sur-porno” (termine che fa riferimento al termine “sur-western” usato da André Bazin): «un porno che rifiuta di essere “semplicemente porno” e trova significati diversi e nuove raison d'être “fuori” se stesso» (tr. mia). Tuttavia, se una delle prime cifre dell'alternative porn è la sua differenza rispetto al canone eterosessuale e maschile, il rapporto tra mainstream e alternative non è facilmente inquadrabile in una netta dicotomia: infatti, come scrive Giovanna Maina, «il paesaggio del porno contemporaneo è troppo complesso e stratificato per tracciare confini definiti e insormontabili tra le due sfere, e credo che sia più produttivo indagarne le sovrapposizioni e gli scambi» (tr. mia).
Le evoluzioni morfologiche del porno sono diverse e stratificate, coinvolgono le subculture punk e goth che trovano in piattaforme web come SuicideGirls e IndiePornRevolution una ricca catalogazione: corpi tatuati, “skinny” o “curvy”, con i piercing e i capelli colorati, che si sostituiscono all'immagine di una performer prevedibilmente siliconata e posticcia tipica di tanto porno di massa. Ma nel momento in cui le sottoculture provano a ridefinire i codici del porno partendo dall'istanza corporea, emergono una serie di problematicità che vengono analizzate puntualmente dagli autori dei saggi: la stabilità stessa del concetto di “mainstream”, i limiti tra provocazione artistica e mera pornografia, la validità della distinzione tra porno maschile e porno femminile, la visibilità del queer porn attraverso la viralità di contenuti estremi (es. il fist fucking) sui social media, l'obsolescenza di una certa critica femminista anti-sex nella profilazione di uno spettatore maschile passivo e la conseguente nascita di generi “webnativi”, come il realcore, l'emoporn e l'amateur pro-am, basati sul concetto di realness veicolato dagli usi sociali della Rete e, nel caso dell'amateur pro-am (gli user generated content del porno), dalla proprietà dei mezzi rappresentativi da parte degli stessi performer non professionisti.
Il libro non solo fornisce una mappatura del contesto contemporaneo, quello del porno dopo il porno così come lo conoscevamo, ma permette altresì l'orientamento del fruitore nell'oceano di immagini, video, generi, stili, corpi e performance sessuali che popolano gli attuali spazi mediali, fornendo così nuove tag che allargano le maglie dei piaceri visivi con cui possiamo comprendere la nostra identità sessuale e quella degli altri.