Ringraziare gli ignoti e i noti

18 Ottobre 2012

I stagione

 

Capita talvolta di incrociare la bellezza nel mondo. Avevo scritto del mondo, ma era sbagliato: la bellezza non del mondo in generale, ma di qualche suo dettaglio o aspetto: la bellezza di ciò che fa il mondo. La cogliamo e tanti saluti, senza sapere chi ringraziare. Invece rendere grazie è una buona cosa. A me piace farlo. Non solo è giusto, tanto più verso chi si eclissa prima di riceverle, ma fa star bene. A me succede così, almeno. E allora grazie a tutti i benefattori anonimi.

 

Oggi voglio rendere omaggio a un giardiniere di cui ignoro il nome. Chi passeggia sulla strada sterrata che costeggia il naviglio da Groppello a Vaprio d’Adda, se a un certo punto, sulla riva spoglia, incontra un bellissimo cespuglio di rose canine, stupito che resista e cresca così rigoglioso, deve ringraziare lui.

 

Me lo descrivono come un signore sui settant’anni, di media altezza, robusto, con un che di atletico: ancora un bell’uomo. Ha lavorato tutta la vita alla manutenzione del canale alle dipendenze del Consorzio del Naviglio, e continua a farlo per conto suo ora che è in pensione. Conosce la zona palmo a palmo, i sentieri, la flora e la fauna, le sue vicende e le controversie sulla gestione e la preservazione. Una memoria storica che a nessuno interessa preservare e che lui non scriverà mai. Io lo starei volentieri a sentire, ma non ho mai avuto occasione di incontrarlo. Si prende cura del cespuglio come se fosse cosa sua. E lo è.

 

Quando è la stagione prende la bicicletta e percorre le rive con i suoi pochi attrezzi in uno zainetto, pota i cespugli, li circoscrive con paletti e nastri a strisce bianche e rosse perché i nuovi operai del Consorzio non taglino o facciano altri danni, pulisce dalle erbacce e dissoda la terra circostante, raccoglie in un sacco di iuta i rifiuti e se ne torna a casa. Ogni giorno, se il tempo non è troppo inclemente, provvede a un segmento di riva. Tra Vaprio e Concesa ha curato e preservato una splendida buddleia, per esempio. Se necessario, anche quando inclemente il tempo lo è.

 

Finito con la riva, si dedica ai cespugli che, grazie alla disseminazione, sono cresciuti sull’altro lato della strada, quello boschivo, limitandosi alla vegetazione dei margini, dato che il bosco non può essere toccato. Qui non c’è bisogno di paletti e nastri, perché il Consorzio si occupa solo del canale e delle sue sponde e quindi nessuno si prenderà l’iniziativa di andarli a tagliare. Figuriamoci!

 

Fa tutto questo perché non si fida dei nuovi operai, che cambiano prima di fare in tempo ad affezionarsi al Naviglio, ammesso che ne siano capaci, e tantomeno al lavoro. A volte, sistemata la riva, scende anche alla spiaggetta ai bordi dell’Adda e dà qualche ritocco qua e là. Poi, immagino contento, se ne va. Lo siamo anche noi, grazie a lui.

 

 

II stagione

 

Se è bello ringraziare chi non si conosce, lo è ancora di più farlo al diretto interessato quando un caso fortunato ti porta a conoscerlo.

La storia di prima me l’ha raccontata Alberto B., di Treviglio ma cittadino onorario di Fara, che ogni tanto mi accompagna in queste passeggiate. Grazie anche a Alberto.

 

L’anno scorso, a metà luglio, e precisamente il giorno dopo il mio compleanno, quando di pessimo umore (gli anni cominciano a essere tanti) ho fatto la mia solita passeggiata ho avuto la più che pessima (chiedo scusa dell’esagerazione) sorpresa di non trovare più il cespuglio. Ne ho sofferto. Il giusto. Ci sono tragedie peggiori a questo mondo, lo so, ma hanno le loro agenzie specializzate a divulgarle (e spiegarle), e io certo non le sottovaluto né trascuro (sia detto una volta per tutte), ma qui mi piace limitarmi alle piccole storie di cronaca bianca, alcune condite con radici e erbe amare, che a qualcuno, lo so per certo, piace leggere o ascoltare. Pochi o tanti non importa: basterebbe uno. Contano anche loro: le piccole storie e i pochi lettori.

 

Qualche giorno dopo, c’era anche A., abbiamo incrociato un signore che tagliava i rovi e le erbacce in un altro punto della riva. Un cosiddetto operatore ecologico comunale, categoria onorevolissima peraltro (il titolo di giardiniere sarebbe eccessivo). Gli abbiamo chiesto se era stato lui a occuparsi anche di quelle dell’alzaia, e, ricevuta risposta affermativa, gli abbiamo chiesto se costava così tanto fare una piccola deviazione come quella che avrebbe risparmiato il cespuglio delle rose canine. O gli avevano ordinato di rasare a zero tutto? Tanto ricresce ancora, è stata la risposta. Grazie e complimenti, gli abbiamo detto. (Morale: le deviazioni costano).

 

Poi il cespuglio è davvero ricresciuto in fretta, ma certo non con quell’unico grosso fusto che ne faceva l’arbusto meraviglioso che tutti ammiravamo. Persino coloro che lo avevano visto solo nelle mie improvvisate foto documentarie. Anche se bisogna ammettere che la ricrescita vertiginosa di singoli rami ha creato composizioni a ventaglio di singolare bellezza, specie d’inverno, con la neve o la brina.

 

 

Così mi sono affezionato anche al nuovo cespuglio, alla cui evoluzione avevo dedicato un secondo album di fotografie, che hanno procurato estimatori pure a lui. (Non era bello che si sentisse derelitto). Questo fino alla fioritura primaverile, splendida a dispetto delle erbacce che circondavano sempre più folte il nuovo cespuglio, che a sua volta cresceva in modo sempre più disordinato.

 

Finché un giorno non l’ho visto più, confuso con l’erba altissima e senza i rami che sporgevano sulla carreggiata. Poi, con grande sollievo, da vicino ho notato che qualcuno aveva intrecciato i rami sporgenti con quelli nascosti tra le erbacce. Molto bene! Solo che ora aumentava il rischio che alla prossima pulitura delle rive i nuovi rami, ora indistinguibili, fossero tagliati assieme a tutto il resto. Tanto più che il tempo passava, le erbacce, i rovi e le pianticelle infestanti, in particolare intere colonie del pestilenziale ailanto alte giù due metri, crescevano rigogliose e fittissime, e il cespuglio era diventato davvero invisibile.

 

 

III stagione

 

Finalmente il 16 agosto, al ritorno dalla passeggiata ho visto che avevano iniziato a ripulire le rive. Non sono andato subito a verificare che fine aveva fatto il cespuglio, un po’ perché avevo fretta e più ancora perché non volevo guastarmi il buon umore che l’aria ancora fresca del primo mattino mi aveva procurato. Avevo paura.

 

Il giorno dopo invece, armato di macchinetta per documentare il sicuro scempio, mi sono fatto forza e ho deviato per l’alzaia. Entrambi i bordi della strada erano tagliati in modo brutale. Solo alcune erbe che sporgevano verso l’acqua erano state risparmiate. Io camminavo trepidante, ispezionando il ciglio.

 

 

Lungo il percorso ho incontrato un trattore con un grosso braccio meccanico che stava tagliando il margine verso il bosco. L’ho superato di corsa, con la scusa di non ingoiare la polvere sollevata, ma in realtà perché ormai faticavo a reggere l’ansia. Cosa non fa l’autosuggestione! (Con le anime delicate, poi!).

 

Invece, appena superata la curva l’ho visto! Intatto, ancora avvolto tra le erbacce che lo reggevano come una corona il diadema, si ergeva splendido e solitario. Come un diadema, appunto. Non mi dilungo sulla gioia perché il lirismo è troppo facile. (Fa niente: che gioia! Chiusa la parentesi lirica). Gli ho girato attorno, me lo sono cullato in lungo e in largo e l’ho fotografato da ogni punto di vista (escluso quello dall’acqua).

 

 

Al ritorno, quando sono giunto all’altezza del trattore, non ho resistito, ho aspettato che si fermasse per una pausa e ho bussato al finestrino. Il conducente ha spento il motore e aperto la portiera. Il vetro della cabina e gli occhiali che portava mi avevano fatto credere che fosse un uomo di mezza età. Invece era poco più di un ragazzo. Gli ho chiesto se era stato lui a tagliare la vegetazione anche lungo la riva. E alla sua risposta affermativa gli ho chiesto come mai aveva risparmiato il cespuglio di rose canine. L’ho visto e mi è parso bello, mi ha risposto, e allora gli ho girato attorno. Sì, ho pensato, ha guardato e ha visto e gli è sembrato bello. Ha saputo vederlo in mezzo alla sterpaglia che lo avvolgeva e soffocava.

 

Grazie, gli ho detto. Anche a nome di tutti coloro che passano di qui e gli sono affezionati. Gli ho chiesto come si chiamava e se potevo fargli una foto. Ho in mente di scrivere qualcosa anche su di te e voglio mettere la foto, se non ti dispiace. Si figuri!, mi ha risposto. È sceso a terra, si è tolto gli occhiali e ha sorriso. Eccolo qui. Che bella faccia! Grazie Roberto!

(Morale numero due: a farle bene e al momento giusto, le deviazioni rendono).

 

 

(E già che ci sono, ringrazio la signora che ogni volta che le è possibile, con sacchetti della spazzatura e guanti, ripulisce dei tratti di bordo strada e margini dei prati circostanti. E grazie al mio amico T. che con un temperino taglia l’edera che soffoca gli alberi più belli lungo il fiume, uno alla volta, quando non c’è nessuno in giro. Grazie anche alle signorine e signore che ogni inverno preparano gli addobbi con i quali alla festa del patrono decorano la via in cui abitano, inclusi gli alberi e le case di chi non è in grado di farlo in prima persona. E un grazie postumo, infine, al mio defunto vicino, che passava le giornate con la scopa in mano a spazzare meticolosamente la strada che confina con la sua casa, attento a non tralasciare nemmeno un sassolino, una cicca, o un singolo filo d’erba. Terminato il giro, metteva in un sacco nero le poche cose che aveva ramazzato e riprendeva da capo. Era la forma che aveva preso, in lui, la demenza senile. Una forma civica. Ognuno tragga le conclusioni che vuole).

 

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