Rosy
Una cosa che non capisco dei pomeriggi televisivi è Rosy, di Maria De Filippi. Qui già so che vi domanderete come mai la Policastro guardi Maria De Filippi. In verità la guardo perché viene dopo Centovetrine, qualche minuto solo, poi vado di là. Di là è un luogo che non so precisare: può essere il Simply, oppure la cucina, oppure la scrivania. Ma sempre più raramente. Leggo a letto, lavoro sul tavolo di cucina, che, non so perché, mi induce di meno alle distrazioni dell’internet. Sul tavolo di cucina, quando ancora ero in casa coi miei, mi addormentavo guardando Non è la rai prima di studiare per l’indomani. Mia madre mi rimproverava, ma io continuavo imperterrita a perdere tempo.
Insomma, il pomeriggio per me è devoluto alla dépense. E quindi ogni giorno, o qualche giorno a settimana, o una volta ogni tanto, mi imbatto in Rosy di Maria De Filippi. Alcuni di voi non sanno come funziona, oppure fingono, in società, quando si parla dell’ultimo film di Cronenberg e del perché sia meglio del romanzo da cui è tratto. Io vorrei invece introdurre l’argomento Rosy di Maria De Filippi. Come funziona, dunque. Ci sono i tronisti, quelli ormai li sanno tutti, credo siano entrati pure nel De Mauro, perciò anche gli intellettuali ne sono al corrente. Sedute in semicerchio ci sono le signore fisse, più un tale Alfonso: insieme ad altri figuranti occasionali costituiscono il pubblico parlante, quello che di tanto in tanto prende il microfono e comincia a inveire contro i tronisti, soprattutto le donne. Lo schema è sempre lo stesso: «Io sono giovane e bella», si difende la tronista, «tu mi attacchi per questo».
Rosy, di solito, in verità attacca con dei motivi, delle ragioni che espresse diversamente, con un tono distaccato e in un italiano appena più articolato, sarebbero anche valide. Tipo: «Ma tu, ragazza bella, come li vuoi ’sti corteggiatori?». Il senso è che se gli uomini sono insistenti alla ragazza non va bene perché si sentono già fidanzati, se non la filano (magari proprio per rendersi più interessanti) nemmeno, perché allora sono lì per le telecamere. «Come li vuoi, te, come li vuoi?», insiste Rosy. A questo punto Maria De Filippi, che è sempre lì accovacciata, annoiata dalle sue stesse trovate se non infastidita dal primo minuto all’ultimo, che non interrompe, non interviene se non per annunciare qualcosa di peraltro consueto («facciamo entrare Tizio», «facciamo entrare Caio»: ed ecco lo stuolo degli spasimanti, identicamente sorridenti e muscolari) oppure, più di rado, per creare la situazione imprevista («mettiamo un’altra seduta, Piero»), prende la parola in difesa delle sue creature, ai danni dell’anonima Rosy. Sì, certo che non è anonima, se si chiama Rosy. Ma è proprio questo che sembra infastidire Maria, che il burattino le sfugga di mano, che questa signora becera e attempata imbrocchi delle massime di buon senso, che hanno una logica, un contenuto, sia pur espresso in modo rozzo e semplificante («io, storto o morto, un marito l’ho trovato»): ciò stride con una trasmissione in cui, nell’intervallo tra un corteggiamento e un altro, Tina Cipollari, la cosiddetta opinionista, esegue in favore del tronista di volta in volta prediletto degli obbrobriosi balletti travestita da qualunque cosa o litiga con Gianni Sperti, un ex bello riconvertito a sua volta in opinionista o bastian contrario.
Qui io metto i cognomi apposta, per far dispetto a Maria De Filippi. Ma lì, in trasmissione, si chiamano tutti solo per nome, e diventano icone per questo. Maria. Gianni. Tina. Ma chi siete, fuori dallo studio di Maria De Filippi? Cosa fate ogni giorno? Di cosa parlate quando non siete lì? E cosa pensate veramente del pubblico-che-vi-segue-da-casa? Che poi, diciamolo, di mio non sono avversa all’intrattenimento. Mi piace che si parli d’amore, che si facciano incontrare le genti per conoscersi, che si litighi per una stessa donna, che si corteggi uno stesso uomo in venti.
Quello che trovo acusticamente intollerabile è che tutto questo repertorio da feuilleton diventi immancabilmente sceneggiata merolesca, non solo con dinamiche seriali (e urlate), da una puntata all’altra, da un’edizione all’altra, da ormai quindici anni, ma proprio con le identiche formule che diventano (urlatissimi) stereotipi: «Tizio è stato visto corteggiare fuori!», «Caio è qui per le telecamere!», come se i pesci agonizzanti si rinfacciassero l’un l’altro di essere abboccati all’amo. Rosy è perciò la signora che guasta la festa a Maria: è lì a ricordare che lei fuori lavora, che non ha tempo per andarsi a cercare un corteggiatore figuriamoci tanti, che il marito oltretutto le basta, stanno insieme da trent’anni e gestiscono una pizzeria sempre piena.
In una puntata sono arrivati a pesarla («facciamo entrare la bilancia»), perché lei, l’ineffabile Rosy, pretendeva di gareggiare in magrezza con la Sharon di turno. Rosy è odiata da tutti, in studio, e Maria De Filippi la tratta con disprezzo o sufficienza. Ecco chi è Rosy, capite? il capro espiatorio, serve al programma perché al pubblico di Maria De Filippi piace che la gente, almeno una volta a puntata, si accapigli. Scarica. Che le donne s’insultino. Che le giovani vengano difese da alcune vecchie. Che altre vecchie se ne stiano in disparte a rodersi.
Un pubblico di casalinghe, disoccupate o ragazzine o ex tali che godono nel vedere la tronista prediletta trionfare su Rosy. Su Rosy che ha osato rompere la finzione, che ha messo in discussione «la favola» (dice proprio così, Maria De Filippi). Rosy calza tacchi e paillettes e dice al marito: «Vado da Maria». E il marito sa che a sera, quando tornerà a servire ai tavoli col grembiule bianco, sarà contenta, stanca e probabilmente solo un po’ amareggiata. Però la gente che affolla la pizzeria la riconosce, alcuni ci vanno per questo. Sei Rosy di Maria De Filippi. E val la pena anche prendersi gli insulti, per un finale così.