Berlinesi
Vive in tre stanze della vecchia Milano un’antica signora, alta, diafana e bella, profilo di cammeo e figura sottile. È tedesca di Berlino, ma dal 1945 si rifiuta, come mite vendetta, di parlare la sua lingua natale, pur conservando in questi lunghissimi anni una spiccata cadenza berlinese. È inflessibile, non racconta mai le sue esperienze e non vuole neppure sentir parlare della sua antica Patria. Un giorno mi fece questo strano racconto:
«Mi trovavo in villeggiatura al mare, credo fosse all’isola del Giglio, oh! Che bellissimo posto! E prendevo i pasti di fronte a un’immensa specchiera con la cornice dorata che rifletteva, inclinata, la grande sala piena di sole e signori allegri e spensierati. Ach! Purtroppo anche turisti tedeschi. Quattro di loro, credo padre, madre e due figlie grandicelle, quasi signorine, forse carine ma non so, sedevano proprio accanto al mio tavolo solitario.
Parlavano fitto fitto e allegri nel loro dialetto berlinese che tu, per fortuna, non conoscerai mai, ogni tanto guardavano me sola al tavolo perché, mistero delle lingue e della psiche umana, capivano che capivo. E io invece ero muta e paralizzata come una sfinge, atteggiamento che non mi è difficile, come sai bene anche tu…
Più passavano i giorni, più mi osservavano incuriositi: uno diceva una battuta nella loro orribile parlata e poi subito tutti e quattro, coltello e forchetta in mano e boccone mezzo in bocca, mezzo no, guardavano me. E io gli facevo Hammurabi. Di pietra.
Siamo andati così splendidamente fino al decimo giorno, quando loro dovevano ripartire per la loro maledetta città, e in quel momento – era cena mi ricordo, le tende che volavano per la dolce brezza del mare – si sono alzati tutti e quattro d’improvviso e sono venuti davanti me: alla fine è successo! Dovevo aspettarmelo!
Non chiedermi di raccontare il mio atteggiamento in quell’incidente, perché non ho parole per lo spavento e ho ancora il batticuore.
Sono venuti al mio tavolo con due passi, perché tanti ne bastavano, mi hanno circondata, e il capo di quella famigliuola (famigliuola, hai visto come mi migliora l’italiano?) mi ha detto sorridendo – sorridevano tutti e quattro sai? – in dialetto berlinese: ‘Ma infine ce lo confessi, signora, ce lo confessi, ci dica chi è. Le ragazze affermano che lei è la principessa Anastasia. Ci dica: hanno ragione loro?’.
Senza alzare mio sguardo dal piatto, ho risposto nel loro insopportabile dialetto: ‘Non sono principessa, non sono Anastasia, sono berlinese come voi, ma anche di Terezin, Auschwitz e Bergen Belsen. Prego, tornate al vostro tavolo’.
E quando per forza ho alzato gli occhi e li ho visti tutti seduti, mi sono accorta con orrore di una cosa spaventosa: lo sai cosa facevano quelli là? Neppure puoi immaginare. Quegli infami piangevano.»
Dello stesso autore:
Aldo Zargani, In bilico.
Aldo Zargani, Profumo di lago.
Aldo Zargani, Nostalgia.
ebook:
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