Scene d’estate / Cirque Bidon: fiaba felliniana o utopia “anarchista”?
L’arte del teatro è universale: la si potrebbe rappresentare come una carovana in viaggio, nel tempo e nello spazio, perché se fosse un’entità statica, ferma nel punto in cui è stata creata, non avrebbe la possibilità di sbocciare e di evolvere.
In effetti, questa carovana non è solo una metafora, poiché si è manifestata concretamente proprio durante l’estate: è il Cirque Bidon! Una compagnia circense francese capeggiata dal suo fondatore François Rauline e composta da un patchwork di artisti (giocolieri, clown, musicisti, acrobati) di diversa nazionalità (Francia, Spagna, Italia), che viaggia in carovana, su carrozzoni di legno trainati da cavalli. Lentamente, a ritmo di 20 km al giorno. Gli ultimi a spostarsi così.
Si erano fatti desiderare per ben quindici anni in Italia, dal loro ultimo passaggio e sono tornati nel 2016, facendosi perdonare con una tournée di tre mesi. Hanno attraversato Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, partecipando ai più significativi festival di arte circense e teatro di strada, principali promotori del loro grande ritorno. Dal festival La Strada di Brescia al Mirabilia di Fossano, per giungere, quasi al termine della loro tournée, a Tutti matti per Colorno. Hanno superato ogni aspettativa, realizzando il tutto esaurito ogni sera: ovvero, seicento spettatori a ogni replica e circa un centinaio di persone che non potevano entrare e rimanevano fuori. Numeri da record: “Sono il primo stupefatto!” afferma orgogliosamente il direttore François Rauline. “Ogni sera non vedevo la fine della fila. In Italia abbiamo sempre avuto il circo pieno, ma rifiutare della gente, così tanta…!”. E aggiunge: “Tutti mi dicono che dopo quindici anni di assenza, avevano voglia di rivedere il Cirque Bidon e mi chiedono di non aspettare altri quindici anni per tornare. Strano, eh? Non è che facciamo dei numeri fantastici o che ci sono chissà quali tecnologie…”. Nel 2016 hanno portato in Italia lo spettacolo Bulle de rêve e hanno mantenuto la promessa, tornando nel 2018, con il nuovo Entrez dans la danse, entrambi creazioni collettive, sotto la direzione di François. Una tournée completamente emiliano-romagnola quella di quest’anno, che li ha visti partire dal Festival di Pennabilli agli inizi di giugno, per concludere a Bologna (parco di Villa Angeletti), dove stanno rappresentando proprio in questi giorni. L’evento è stato prodotto grazie alla collaborazione del Festival Tutti matti per Colorno, di Teatro necessario e di Ater.
Perché raccontare questo mondo?
Senza dubbio, si tratta del fascino di questa compagnia, che si muove in modo antico, quasi secolare. In realtà, è come se loro avessero regalato un gioiello al pubblico, anzi alla popolazione intera, che ha seguito il loro passaggio in carovana, a cavallo. Non hanno realizzato soltanto uno spettacolo, ma sono riusciti a fare vedere quale sia l'essenza di un artista. Un incentivo che serve a tutti gli artisti che si domandano se il pubblico può ancora essere interessato a questo tipo di proposta, oppure se è vero che si va solo a teatro d'inverno.
La tournée del Cirque Bidon conferma la vittoria di un altro modo di fare teatro. Il messaggio è chiaro sia per chi si occupa di teatro, sia per il pubblico titubante, ma che sceglie di mettersi in gioco.
Cosa significa oggi questo tipo di compagnia nel contesto di vita attuale, dove le persone hanno un legame quasi simbiotico con cellulare, pc, televisione? Il teatro ha perso il contatto diretto con il pubblico? In generale, come reagiscono le persone a una proposta simile?
C'è il timore che il pubblico non vada ad assistere alle rappresentazioni, perché teoricamente si pensa che non sia interessato. Invece, la sorprendente risposta positiva ottenuta dal Cirque Bidon ci mostra che il pubblico ha voglia di questo.
Se la compagnia si propone in un modo diverso da quello in cui viviamo e ha successo, significa che lo spazio c'è. Ci possiamo ancora mettere in gioco con un teatro di questo tipo, perché il pubblico ne ha bisogno, ha voglia di uscire dagli schemi quotidiani.
Il Cirque Bidon lascia al pubblico una speranza che dice: "Se lo posso sognare, lo posso anche fare" (cit. dallo spettacolo Bulle de Rêve).
SUR LA ROUTE!
Lo spettacolo inizia dal viaggio. Il loro passaggio da un paese all’altro, percorrendo le strade statali, ha strabiliato le persone in transito, a volte generando qualche problema di traffico, lunghe code. L’incanto suscitato dalla carovana è stato in grado di rallentare i tempi frenetici del procedere dei veicoli e della vita odierna, avvolgendo le persone con la sua poeticità. Un viaggio con una triplice valenza: transito per il raggiungimento della mèta; trasmissione di un messaggio poetico oltre la dimensione tecnologica delle nostre vite da ventunesimo secolo; genuino strumento di autopromozione.
“Ho sempre viaggiato con le carrozze e i cavalli, non riesco a vedere il mio circo diversamente”, afferma François Rauline, ricordando i primi tempi del Cirque Bidon, nato nel 1976, quando si spostavano da un luogo all’altro senza acqua né corrente elettrica, al massimo una sola lampadina; non utilizzavano amplificazioni, era tutto acustico. Ora la loro vita è confortevole, però il ritmo è sempre lo stesso: non più di 25 km al giorno.
Questo vincolo impone un’accurata selezione dei luoghi, molto tempo prima dell’inizio della tournée, quando si organizza il percorso della carovana. “Il posto più bello per noi è semplicemente quello dove il circo viene visto dalla gente”, poco importa che sia “carino” o che coincida con il centro cittadino. Si deve trovare in un luogo di passaggio: così, durante il giorno, la gente lo vedrà e incuriosita dall’allestimento, andrà a vedere lo spettacolo la sera.
Come nasce uno spettacolo?
François ammette di scrivere poco, di avere alcune idee, soprattutto immagini. Come quella che ha dato vita a Bulle de rêve: la notte, qualche volta, quando era finito lo spettacolo, si trovava con gli amici e al ritorno, si fermava a osservare il suo circo, tutto illuminato. Si diceva, spontaneamente, “che bello!”. Lo faceva pensare a una “bolla di sogno” e si riprometteva di fare uno spettacolo con questo tema, un giorno. Non era facile, l’idea era un po’ vaga, ma era poetica, evocativa e ha funzionato.
L’intenzione è quella di proporre temi che nessuno si aspetta, per sorprendere il pubblico. Quando Rauline decide di creare uno spettacolo, ancora non sa quali numeri ci saranno. Prova, si aggiusta. Per il nuovo spettacolo, Entrez dans la danse, ha pensato che “tutto balla nell’universo” e che il circo di per sé comprende molti elementi circolari: la pista, il cerchio dell’acrobata... così è nato anche il numero del meteo Bidon, a partire dal pianeta Terra.
Quando ha un’idea, la propone alla troupe, poi “si lavora tutti insieme, ognuno mette la sua parte”. Ammette di essere un autodidatta, che tutto ciò che ha imparato del circo, l’ha raggiunto facendolo e basta. Una volta comunicato il tema agli artisti, dona loro qualche semplice consiglio. Per le canzoni, si rivolge a Frédérique Zagato, da sette anni nella compagnia: lei ne compone alcune sulla base delle indicazioni che François suggerisce. Il risultato del lavoro della compagnia è una creazione collettiva, con la direzione del regista.
L’aspetto più importante della creazione è che non ci siano “buchi” tra un numero e l’altro. Lo spettacolo segue un ritmo continuo, non c’è mai una fermata, inizia già mentre il pubblico sta terminando di prendere posto attorno alla pista e lo sguardo dello spettatore è attirato in tutte le direzioni. François afferma che questa particolare struttura dello spettacolo è il risultato dell’esperienza di trent’anni di lavoro nel teatro di strada: non si possono lasciare tempi vuoti tra un numero e l’altro, così come non si possono fare numeri di giocoleria troppo lunghi, altrimenti la gente si annoia e se ne va. Questo assolutamente non deve succedere. Dunque, l’assenza di buchi serve per sopravvivere, per guadagnare il pane. “Si deve fare uno spettacolo che aggancia la gente e quando è presa, non parte più”.
Dunque, niente a che vedere con i circhi tradizionali e le presentazioni sullo stampo “Ed ecco a voi... i giocolieri!”. Il Bidon è sempre stato diverso dagli altri circhi: inizialmente, gli artisti facevano quello che sapevano fare, senza preparazione tecnica, “un po’ alla buona”, dice. Nonostante ciò, funzionava e la gente tornava a vedere i loro spettacoli. Allora come oggi. Ricorda, ad esempio, lo storico numero delle galline, sempre presente in ogni spettacolo: “Avevamo solo quel numero a mano, ma accompagnato da musicisti dal vivo, prendeva una direzione e subito la gente rideva, veramente tanto, anche se il numero in sé non aveva nessuna tecnica. Non c’erano cose forti, però piaceva lo stesso”.
Assistere a uno spettacolo del Bidon significa trascorrere un paio d’ore in un’atmosfera di leggerezza, avendo l’impressione che gli artisti stiano improvvisando. In realtà, ogni gesto è studiato veramente al dettaglio. “Non ho mai visto uno spettacolo così!”, oppure “Da quando ero bambino, non vedevo un vero circo!”: questi alcuni dei commenti scaturiti tra gli spettatori al termine di una rappresentazione.
Una componente fondamentale del Cirque Bidon, che non può mai mancare a un suo spettacolo, è quella di donare delle emozioni, mai provate fino a quel momento. Infatti, la gente rimane colpita, perché vede qualcosa che non è artificiale. “Non è facile da spiegare…”. La generosità degli artisti di questa compagnia, il darsi fino in fondo, nonostante la fatica di quest’avventura, affascina persone di tutte le età: tutti accorrono al loro arrivo nelle città, come se fossero una gara di ciclisti! Non hanno bisogno di pubblicità, è sufficiente il viaggio in carovana.
In passato, però, non sempre questa troupe è stata accolta favorevolmente dalle amministrazioni comunali: considerati saltimbanchi o addirittura zingari, in alcune occasioni, gli artisti del Bidon non ricevevano il permesso per l’allestimento scenico. Allora, François aveva escogitato una strategia: arrivava all’alba presso un paese, montava le scene in un paio d’ore, così la mattina, quando arrivavano i poliziotti, era tutto pronto. Seguivano discussioni che si protraevano per l’intera giornata: l’obiettivo era quello di realizzare una prima rappresentazione. Alla sera, se arrivava pubblico, era tutto sistemato e il Comune permetteva loro di proseguire la tournée. In effetti, vedendo la confusione che facevano i poliziotti, le persone erano ancor più incuriosite e voilà, ecco arrivare un pubblico numeroso allo spettacolo.
In altre occasioni critiche, François ha avuto l’impressione di aver ricevuto la protezione di Fellini. I due registi non si sono mai incontrati, o forse Fellini è passato da Fregene mentre il Bidon faceva tappa lì; ma Rauline non lo ha riconosciuto, anche se desiderava tanto incontrarlo. Successivamente, quando la troupe ha avuto problemi con le autorità su suolo romagnolo, la situazione si è sempre sistemata, senza capire in quale modo fosse accaduto. Perciò si pensa all’intervento benevolo del regista riminese.
Dichiarandosi apertamente “un vecchio anarchista”, François ricorda una frase di Mao Tse Tung: “Per fare la rivoluzione, il rivoluzionario deve essere come un pesce dentro l’acqua, tra il popolo”. Lui aveva poi trasformato questa frase per renderla calzante alla sua realtà: “Per fare il circo come noi, dobbiamo essere come un pesce dentro l’acqua, tra il popolo” perché, grazie al sostegno del pubblico, è sempre andato tutto bene. Bandiere rosso/nere sventolano ai fianchi della cabina di regia e del palco dei musicisti, a ricordare il credo politico del regista…
Tutto ha un senso profondo al Bidon: gli spettacoli contengono sempre un messaggio politico o sociale, ma ciò non significa che siano selettivi o destinati a una cerchia di intellettuali. “Volevo fare spettacoli accessibili a tutti, così che tutti li capissero: operai, contadini…”, spiega François. È il caso di Vite! Ralentir (2012) e Attention, rire fragile! (2010): il primo una denuncia della società consumistica a confronto con il lento procedere a cavallo del Cirque Bidon; il secondo, un monito ad aprire gli occhi di fronte alle ingiustizie sociali, in particolar modo alla situazione dei migranti. Senza alcuna intenzione di dare lezioni alle persone in modo pesante, ma divertente.
LA TROUPE
Una quindicina di persone, tra artisti di varia formazione (attori, clown, giocolieri, acrobati), musicisti e tecnici, che arrivano al Bidon soprattutto tramite un passaparola di conoscenze, alcuni candidandosi autonomamente e presentandosi alle audizioni invernali.
François vuole offrire ai giovani artisti l’opportunità di imparare qualcosa, per poi prendere la propria strada. Non tutti sono idonei a questa esperienza, sicuramente chi viene scelto ha qualcosa in particolare, un carisma.
Gli artisti scelgono di venire a lavorare al Bidon perché è un sogno per loro poter fare questa esperienza con le carrozze e i cavalli, però a nessuno François nasconde quanto sia faticoso. “La strada fa parte dello spettacolo”. Molti vengono perché conoscono la storia del Cirque Bidon e li fa sognare lavorare qui; altri perché non è una storia comune, ma è una storia particolare, un’avventura, che li attrae.
Al Bidon, gli artisti sono in regola e ricevono l’“intermittence”, una sorta di disoccupazione: molto utile per un artista, difficile riuscire ad ottenerla altrove.
GLI ANIMALI
Una dozzina di cavalli, un mulo, cinque galline, un’oca. Gli animali fanno parte integrante della vita del Cirque Bidon e insieme agli artisti, concorrono alla realizzazione della produzione di questa poetica avventura. Senza di loro, questo circo non sarebbe lo stesso. Sono costantemente accuditi da tutti i membri della troupe e non viaggiano mai più di 25 km al giorno. Di fronte alla preoccupazione di alcuni animalisti, François ricorda che tutta la civiltà occidentale è cresciuta con la trazione animale. I loro cavalli mangiano bene e sono in ottima forma, così pure le galline e gli altri animali al loro seguito.
Il Cirque Bidon si può vedere in Italia ancora fino al 5 settembre a Villa Angeletti a Bologna.
Tutte le foto sono dell’autrice, Lara Bell’Astri.