Edgar Morin: Svegliamoci!

12 Ottobre 2022

«Direi che la rivoluzione che semplifica la realtà, che semplifica il nemico, che semplifica il modello, che semplifica la lotta, che semplifica il problema del bene e del male, non è la rivoluzione, è la reazione. Vorrei far parte di coloro che scoprono l’errore, che svelano l’errore e non di coloro che si credono proprietari della verità». Sono le parole rilasciate in una intervista televisiva del 1971, con cui Edgar Morin suggella lo stile singolare e anticonformista del suo engagement. Dal 1956 Morin è già uscito dalle fila del Partito comunista francese, il più stalinista d’Europa, ha riflettuto criticamente su quell’esperienza, è diventato “compagno di strada” e ispiratore di una sinistra non totalitaria, senza militare più in un partito, e, soprattutto, si è prefisso di ripensare la politica, da un lato, e dall’altro di lottare contro l’errore, l’illusione, l’isteria politica che porta con sé sempre possessione e allucinazione.

Comincia a integrare i problemi politici in uno sguardo universale, in un orizzonte planetario, oltre i confini dell’esagono francese, una volta che si è disintossicato dell’universalismo astratto e delirante del marxismo dogmatico. Man mano che affina e collauda la cassetta degli attrezzi del suo pensiero complesso, attento a contestualizzare fenomeni e problemi e a setacciare ambivalenze e contraddizioni, Morin arriva a descrivere la fine del secolo scorso come il punto di confluenza di enormi problemi dell’era planetaria dell’umanità, tutti interdipendenti tra loro: lo squilibrio economico internazionale, quello demografico mondiale, il degrado della biosfera, la crisi e le tragedie dello sviluppo, il duplice processo di unificazione e di “balcanizzazione” del pianeta, la crisi riguardo al futuro diffusa ovunque, i nuovi mali della civiltà, lo sviluppo incontrollato e cieco della tecnoscienza, la crisi e i regressi della democrazia, il ritorno di antiche barbarie e il loro intrecciarsi con la barbarie tecno-burocratica.

Ecco perché, con questa presa di coscienza, agli occhi di Morin non esercita più alcuna seduzione il senso salvifico o messianico di una “lotta finale” o di un compimento della storia, tipico delle ideologie tradizionali del socialismo, allorquando vede più coerente parlare di una “lotta iniziale”, non ancora cominciata, per resistere alle forze di barbarie e alle catastrofi che minacciano l’umanità. 

La pandemia ha rivelato drammaticamente le interdipendenze e le incertezze del nostro mondo complesso e ha reso evidente la condizione paradossale di un’umanità resa solidale dai pericoli comuni e globali, ma, incosciente fino in fondo di questa realtà, ancora divisa e tentata da chiusure regressive e aggressive, nel vortice di una mondializzazione ambivalente, che non sappiamo ancora se sia l’ultima occasione per l’umanità o la sua definitiva condanna. Certamente è una sfida e la pandemia il pungolo per risvegliarsi e cambiare rotta: scriveva Morin nei mesi del confinamento e delle restrizioni della socialità che hanno riguardato tutto il mondo. 

Ma, ora che la minaccia sorvola la terra con l’arma termonucleare, l’avvolge con il surriscaldamento e il degrado della biosfera, la invade con virus che, vincendo l’immunologia umana, imperversano immediatamente nei cinque continenti; ora che, di fronte a ciò, permangono il sonnambulismo e la cecità e nei confronti elettorali prevale la miopia dei manicheismi contrapposti, Morin è spinto a rilanciare l’allarme e a ridefinire la posta in gioco (non più la salvezza sulla terra dallo sfruttamento, dall’infelicità, dalla povertà, ma la salvezza della terra, dell’umanità, della civiltà…) in un nuovo breve pamphlet, che reca un titolo-esortazione: Svegliamoci!, edito da poche settimane in Italia da Mimesis, nella collana “La sfida della complessità” diretta da Mauro Ceruti.

Mai come adesso, infatti, il corso antinomico della mondializzazione sta per giungere, secondo Morin, nell’imbuto di una collisione e oscillazione tra metamorfosi e abisso, solidarietà e barbarie, catastrofe e rigenerazione: «Ora siamo nel cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità». E come ha scritto telegraficamente di recente su Twitter: “Regressione generale sul pianeta e l’Europa, la sinistra non ha saputo ripensarsi, rigenerarsi. Il capitalismo ha vinto e la sua vittoria fa affondare l’umanità”.

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In quest’ultimo volumetto, Morin riparte dalla crisi politica della Francia per arrivare alle dimensioni molteplici, intrecciate, globali della crisi, per farne l’una lo specchio dell’altra. Tutta la storia moderna post-rivoluzionaria francese è descritta come lo scontro tra una Francia “umanista” e una Francia “reazionaria”, che, oggi, sull’onda della paura, dell’angoscia e del risentimento prodotti dalla crisi, sembra prendere il sopravvento con la destra nazionalista lepenista e di Éric Zemmour, e alla cui intolleranza e «disumanità tranquilla, implicita e a tratti forsennata» non rimane che contrapporre una “politica umanista”.

Un appello erga omnes che però Morin rivolge in primis a quei partiti di sinistra europei che, nel solco di questa politica umanista, possono riprendere le aspirazioni e le finalità originarie del socialismo, aspirazioni libertarie e fraternizzanti allo stesso tempo, aspirazioni alla fioritura umana e a una società migliore. Ma, a condizione di modificarne i termini e di declinarli nel quadro delle nuove finalità urgenti: civilizzare la terra, solidarizzare, confederare l’umanità, rispettando le culture e le patrie, trasformare la specie umana in umanità. 

Ecco perché, passando dal caso francese al nostro, può essere fuorviante, soprattutto all’indomani di una sconfitta elettorale nel confronto con la politica reazionaria delle destre sovraniste e nazionaliste, indulgere nell’invocare una sinistra più moderna, più progressista, più socialdemocratica... Fuorviante perché c’è una crisi della modernità, c’è una crisi del progresso, c’è una crisi della democrazia, che trascinano con sé la crisi dei partiti di sinistra. Senza una riflessione preliminare e profonda di tali crisi diventa difficile aderire al senso della politica umanista, indicata da Morin per umanizzare la modernità, umanizzare il progresso, umanizzare la tecnologia, umanizzare lo “Stato sociale”, umanizzare gli apparati burocratici, umanizzare le periferie urbane, umanizzare le frontiere… 

La sfida della globalizzazione, la sfida ecologica, la sfida di un’Europa più integrata, la sfida dei nuovi disagi e delle nuove diseguaglianze si riconducono per Morin alla sfida della complessità del mondo attuale. E quest’ultima impone di accettare la sfida a pensare in un modo diverso, senza il quale le altre sfide non possono essere raccolte o affrontate adeguatamente. Scrive, infatti, Morin: «Non è solo la crisi dei partiti in rovina, né soltanto la crisi della democrazia che imperversa in tutto il mondo, né la crisi di uno Stato iperburocratizzato e appesantito dalle lobby, né ancora soltanto la crisi di una società dominata dal potere onnipresente del profitto, né infine solo una crisi della civiltà o dell’umanesimo, si tratta di una crisi più radicale e nascosta: una crisi del pensiero».

Al socialismo è accaduto ciò che più in generale è accaduto al pensiero, che con i suoi principi di spiegazione, consustanziali a un paradigma semplificante e analitico, ci ha reso ciechi di fronte a ciò che succede nel mondo e alla sua complessità. Da tempo ormai si consuma la crisi dei fondamenti cognitivi del pensiero socialista, non più adeguati a comprendere il mondo, l’uomo, la società.

E la proposta di una politica umanista da parte di Morin non serve solo a rilanciare l’agenda e l’identità dei partiti di sinistra, ma più in generale a far uscire il mondo dalla morsa di un’alleanza tra le due barbarie, quella arcaica, violenta, che si ripropone oggi col volto tragico della guerra, e la nuova barbarie delle “macchine” gelide del profitto, delle piazze finanziarie e delle tecnoburocrazie. Ad abitare diversamente nel contesto di un mondo complesso, in cui la crisi del progresso e le incertezze del futuro, per il momento, o riducono il vivere alle strategie della sopravvivenza dell’“io minimo”, annunciato tempo fa da Christopher Lasch, o trasformano la volontà di riscatto in nazionalismi chiusi e in fondamentalismi.

A rafforzare la presa di coscienza, prima che lo facciano solo tragedie come la pandemia, che viviamo in una totalità ecologica e umana, estremamente reattiva, sensibile, imprevedibile che ci riunisce saldamente in un destino condiviso, al di là dei confini nazionali. Per Morin l’azione coerente con questa politica umanista può confidare nella speranza dell’improbabile, persino laddove si faccia più probabile la catastrofe, e richiede la morale del coraggio e della fraternità, che nelle parole di un suo compatriota, esponente di spicco e combattente della “Francia umanista”, in un altro momento storico di cupo trionfo della “Francia reazionaria”, quello dell’Impero di Napoleone III che affossò la seconda Repubblica, risuona così: “Ama e non disperare.

A questi demoni dell’inimicizia opponi la tua dolcezza serena. E restituisci loro in pietà tutto ciò che ti hanno vomitato di odio. L’odio, è l’inverno del cuore. Compatiscili! Ma conserva il tuo coraggio. Conserva il tuo sorriso vincente”. Le parole di Victor Hugo.

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