Annamaria Tosini, follie di carta e ricordi
Non guarderò più a un semplice vassoietto come a un semplice vassoietto, inerte e asettico. Intendo quelli di cartone pressato, tutti dorati, che la domenica ci si fa riempire in pasticceria di prelibati cioccolatini, bignè e trionfi vari di crema, panna o zabaione. Finiti i dolcetti rimane solo il vassoio da buttare, ormai fattosi testimone inutile e sporco di palati soddisfatti. Attorno a quel vassoio, tuttavia, in Sicilia vi si può leggere un mondo intero. Da quei doni zuccherati frutto di esagerazioni barocche emergono racconti che parlano di gesti di cortesia, relazioni famigliari e momenti di vicinanza. Non può mancare incontro cordiale, festa elegante, visita in ospedale senza immancabili paste di mandorla, frutta martorana o altri pensieri dolciari. Il vassoio pieno equivale a una promessa di condivisione, quello vuoto registra il lasso di tempo trascorso assieme.
Colpisce che proprio da quei vassoietti nascano le delicate opere di carta realizzate da Annamaria Tosini. Li serbava assieme agli incarti dalle giornate di visita nella struttura assistenziale in cui si ritrovò confinata ormai settantenne per le disgrazie che talvolta colpiscono nella vita. Si trattava di materiali di risulta, chiaramente, scarti recuperati con avidità creativa per impegnare la sua mente affaticata e le sue mani febbrili. L’artista palermitana soleva popolare i suoi vassoi di delicate figurine ricavate dalla carta, ora arrotolata, ora sfrangiata, nonché da qualunque cosa le capitasse tra le mani. Veline, tovaglioli, stagnola, fazzoletti, mutande, plastica, piume, foglie e bucce. Prendevano così forma Madonne e sante martiri, figure orientali e divinità antiche, mascherine e ventagli, crocifissi e cappelli. Il suo talento plastico, con qualche tocco di tempera, le consentiva di ricreare esili ballerine che parevano rendere materico il tratto fugace degli impressionisti. Oppure Madri di Dio col Gesù Bambino che trasformavano la pittura barocca in bassorilievi policromi. Oppure ancora cupe Crocifissioni medievali in cui la drammaticità dell’evento si coagulava attorno a stridenti volumi espressionisti. L’abilità e l’immaginazione portava Tosini ad allestire autentici carri trionfali e articolati gruppi scultorei che ricordano gli stucchi di Giacomo Serpotta, ma anche vere e proprie scenografie teatrali in miniatura, ispirate ai suoi ascolti musicali nelle lunghe ore di solitudine. Ovunque si guardi, il vero protagonista cromatico è l’oro che a partire dal vassoio di base domina l’esperienza visiva delle sue opere come in un gioco barocco racchiuso tra stucchi e cornici dorate.
A stupire non sono solamente i materiali, i colori e le forme, lo sono anche il repertorio di soggetti e iconografie che parlano di una donna permeata dalle arti, una donna che aveva assorbito osmoticamente quei miti, quei personaggi, quelle storie. In lei potevano parimenti ingenerare angoscia e confusione, oppure ridonarle sollievo e struttura. Rievocava così le cose che aveva amato e valorizzato nella sua vita prima del tracollo, quale protagonista dell’alta società a Palermo. Figlia di un industriale veneto della carta – guarda caso, materiale a cui ritornò –, quindi moglie di un affermato costruttore, infine caduta in disgrazia a seguito dello schianto del rampante sviluppo edilizio panormita. Annamaria Tosini era nota a tutti in città. Appassionata mecenate musicale, amica di étoile e star della classica, organizzatrice di ricevimenti raffinatissimi nella propria residenza, creatrice di un dedalo verde nella villa di famiglia a Casteldaccia. Il volo è lungo quanto più alta è la caduta. Chi poteva immaginare che Annamaria Tosini si riscoprisse artista in cattività dopo quel salto? Anzi no, come spesso capita a Palermo, tutti sapevano, altrettanti dicevano, ma nessuno veramente parlava con contezza di quell’anziana signora che si adornava di coloratissimi cappelli di carta, che alcuni scambiavano per i proverbiali berretti a sonagli. Le straordinarie, esuberanti, barocche e opulente scene di vita e tragedia, musica e Oriente che emergono dai vassoietti e dalle guantiere recuperate da Tosini materializzano un piccolo mondo che esplode all’improvviso, gioiosamente e malinconicamente, deflagrando ogni più intimo interstizio dell’anima. Vi si ritrovano la sofferenza e la passione, l’angoscia e l’ebrezza non tanto per il fare arte, ma soprattutto per la vita, le relazioni e tutte quelle cose che rendono il nostro passaggio su questa terra unico e irripetibile, nonostante tutto. Sono opere che trasmettono la vitalità di una donna che ha sempre inseguito la libertà e, assieme a essa, la propria autodeterminazione. Paradossalmente – ma forse non troppo, nella terra di Pirandello – seppe trovarle solamente in tarda età, quando in sostanza ne era totalmente priva, eppure si era anche finalmente spogliata delle superfetazioni che la incatenavano alla società delle apparenze. Nella sua stanza condivisa al centro assistenziale ritrovò in se stessa la libertà, nella sua anima e nelle sue mani, non nella propria immagine d’un tempo. Discostatasi dal mondo della finzione che subiamo inconsapevolmente tutti i giorni, a quel punto la sua immaginazione riuscì a sprigionarsi per non fermarsi che con l’esalazione dell’ultimo respiro. Di quell’incessante lavoro durato una dozzina d’anni, di quell’accumulo ingombrante, solo sollievo nel disagio fisico e mentale più profondo, non restano oggi che uno scarno centinaio di opere, salvate dall’amore di un figlio, l’attore e produttore Marco Gambino, e conservate dalla dolcezza di un’amica, la curatrice e storica dell’arte Eva Di Stefano.
Le spoglie pareti di pietra della Cappella dell’Incoronazione a Palermo accolgono questo lascito in una mostra antologica che il Riso, Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea della Sicilia, dedica finalmente all’artista a un decennio dalla sua scomparsa. Non si tratta per fortuna della loro prima esposizione in un contesto museale, poiché negli ultimi anni una selezione di opere di Tosini ha girato in mostra da Parma a Cles, da Milano a Gibellina, fino alla fondamentale tappa al Musée Visionnaire di Zurigo. Qui hanno colto la sensibilità e l’obiettivo del fotografo Urs Bosshard che in una serie incentrata sulle fragili sculture di Tosini ne immortala e ingrandisce i dettagli. Gli scatti del fotografo elvetico accompagnano la mostra del Riso, nella cripta della cappella, fungendo da corredo ideale per gustare ancor più la cifra materica di Tosini. Pur omaggiandole, queste visioni al microscopio invertono tuttavia quel carattere di mondo miniaturizzato che costituisce la vera forza delle creazioni dell’artista palermitana. Non consentono più di abbracciarle con un solo sguardo, di contemplarle con attenzione devota e riconoscervi tutti gli elementi compositivi. Le opere di Tosini richiedono la concentrazione assorta e il confronto individuale suggeriti dal luogo di preghiera in cui il delicato allestimento di Eva Di Stefano le ha collocate. Restano così impresse come degli ex-voto, degli altarini votivi che raccontano la storia e le storie di Annamaria Tosini, donna e artista.
Merito di questa riscoperta va senz’altro alla tenacia e delicatezza del lavoro di Eva Di Stefano, da tempo impegnata sull’Outsider Art, entro il cui perimetro è stato corretto muoversi inizialmente per tutelare l’esperienza creativa di Tosini. A partire dall’Art Brut di Jean Dubuffet, che valorizzava quali autentiche espressioni artistiche le creazioni di persone affette da disturbi psichici, il concetto di arte incentrato sull’intenzionalità e professionalità dell’artista è stato messo sempre più in discussione. L’uguaglianza tra arte e vita, nonché la definitiva sprofessionalizzazione della figura dell’artista furono poi i capisaldi del movimento Fluxus che, nonostante l’esoterismo strisciante del suo fondatore George Maciunas, si dimostrò fondamentale nel guardare senza sovrastrutture alla creatività di ciascun individuo. A fronte di tali esperienze e rivendicazioni, si può oggi ancora definire artista soltanto chi abbia avuto una formazione ad hoc oppure chi abbia scientemente sviluppato una carriera nel ristretto recinto del sistema dell’arte fin dai suoi primi passi? Una signora giunta solamente in tarda età ad esprimere il suo estro creativo, pur avendo vissuto sempre attorniata dalla cultura, per giunta spinta da un’urgenza esistenziale anziché dal carrierismo, non può essere definita compiutamente artista se le sue opere risultano risolte, complete, autonome, necessarie? Certo è corretto parlare ancora di Outsider Art, individuando con tale termine le espressioni artistiche di soggetti posti ai margini della società, i quali trovano sovente nell’attività creativa ragione di sollievo, realizzazione personale e contatto con l’esterno. Tuttavia, rispetto all’arte, outsider spesso lo si è, semplicemente perché non integrati dal punto di vista professionale in un sistema che si ritiene egemone e autosufficiente nel giudicare e legittimare la creatività umana.
Nel caso di Annamaria Tosini ritengo giusto e rispettoso che il primo avvicinamento della sua opera al mondo dell’arte sia avvenuto mediante la tutela fornita dall’etichetta Outsider Art, soprattutto per proteggere la memoria e la dignità di una donna che ha riversato la sua biografia e il proprio disagio in quelle delicate creazioni di carta. Con la mostra per il Riso allestita da Eva Di Stefano si compie infine il passaggio verso il riconoscimento definitivo di questa esperienza creativa come arte a tutti gli effetti, non solo per la immaginifica capacità plastica di Tosini, ma anche per il ricco corollario di scritti, appunti e racconti raccolti in un sorprendente quaderno che accompagna la mostra. Ne emerge il quadro di una donna che per tutta la vita è stata in vario modo artista – o, per meglio dire, che ha vissuto diverse fasi creative nel corso della propria esistenza. Ecco che i ricevimenti eleganti nella sua dimora di città o l’intricato giardino della villa al mare emergono come precoci dispositivi in cui Tosini aveva riversato il suo pensiero artistico con la massima indipendenza creativa. Essi si riconnettono alle tarde opere di carta e ai racconti manoscritti per un tratto comune: sono tutti frutto della più autentica espressione di libertà dell’animo dalle costrizioni materiali e sociali del mondo. Per recuperare un termine caro alla storia dell’arte, l’opera di Annamaria Tosini può essere convenientemente descritta nei termini di una follia, parafrasando con ciò il concetto di folly dall’architettura del paesaggio inglese. Tale definizione nel Settecento identificava proprio quelle costruzioni nei giardini aristocratici che spiccavano per stravaganza. Erano edifici improbabili, stupefacenti e – si riteneva – insensatamente costosi, poiché fondamentalmente inutili a fini pratici e pertanto senza alcun senso nella nascente mentalità utilitaristica della prima rivoluzione industriale, se non quello di un mero capriccio estetico. Pure quest’ultimo termine si sposa bene col caso di Annamaria Tosini, ricollegandolo sempre a una tradizione tardo barocca e premoderna, quella dei Capricci di Giandomenico Tiepolo o dei Caprichos di Francisco Goya. Parimenti ai follies, i capricci sono espressione di libertà assoluta e, almeno in teoria, completamente svincolati dai rigidi dettami dei generi artistici e della morale sociale.
Soltanto un folle può essere veramente libero. Le opere dell’artista Annamaria Tosini rappresentano delicate follie di carta e memorie, frutto della sua ultima, febbrile e febbricitante fase creativa. Vi si intravede la leggerezza dell’anima, quella dell’artista e di ciascun individuo, quando si libera in aria distaccandosi dal peso del mondo che grava su di essa. L’atlante ancora tutto in divenire dell’arte contemporanea in Sicilia conservi caramente questo nome e queste creazioni dolcemente adagiate su un vassoietto dorato.
Annamaria Tosini. Carte dell’anima
a cura di Eva Di Stefano
6 ottobre – 15 novembre 2023
Riso Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea e Fondazione Orestiadi
Cappella dell’Incoronazione, Via dell’Incoronazione 13, Palermo
In copertina, Annamaria Tosini, opera in mostra alla Cappella dell’Incoronazione, Museo Riso Palermo.