Speciale

La scoperta del mondo

13 Dicembre 2011

Nessuno di noi c’era mai stato a Larche. Larche era in Francia, oltre le montagne. Era il villaggio che solo i ragazzi più grandi avevano visto, raggiungendolo in ore e ore di cammino. Lungo il sentiero si incontravano il lago dei nove colori, il sentiero delle roccette, la mole enorme del Chambeyron, con la sua cima sempre tra le nuvole. Ma nessuno ci portava fin lassù. Mai. Nemmeno sul sentiero della cascata scavato nella roccia.

 

La piccola Chiappera, invece, la conoscevamo bene. C’era il bar di Marta, dove fuggivamo per sfidare i capi e il curato, decine di fontane di pietra tutte scolpite, il piccolo campo da calcio, la chiesetta che odorava di fresco e di legno. Era il villaggio di Heidi dove tutto era perfetto ma a noi non bastava più. Noi eravamo appassionati di alte montagne e di cartine geografiche, ci piaceva calcolare le distanze e le ore di cammino e pur di camminare e far fatica avremmo dato tutti i giochi e gli svaghi del mondo. C’era soltanto la Provenzale bella e slanciata davanti a noi, che appostati sul piazzale delle Casa Alpina, come se si trattasse del cassero di una nave, ci accontentavamo di osservare, con l’aiuto di un binocolo, gli alpinisti domenicali che si muovevano lungo le sue ripide pareti con  gesti lillipuziani.

 

Ma un anno venne la nostra ora. A ferragosto prendemmo armi e bagagli e partimmo. In tre giorni avremmo raggiunto Larche e saremmo tornati a Chiappera passando per  la valle di Saint Paul. Era fatta. Tutto era deciso. Per la prima volta eravamo liberi e ci sembrava di toccare il cielo. Camminammo sotto degli zaini più grandi di noi fino al confine e giocammo a saltare da una parte all’altra della linea immaginaria: “ Ei, guarda com’è facile: qui è la Francia, qui è l’Italia!”. Aria sottile e campi di genzianelle, laghi indaco e cieli blu, sfasciumi di roccia e camosci in fuga, giù con il tacco degli scarponi sui nevai, e poi, su, per toccare per la prima volta i tremila metri! Scendemmo poi per prati immensi, facendoci scivolare sull’erba lucida come ghiaccio, fino a che ad un certo punto, superata una collinetta verde, lo vedemmo, lì sotto ai nostri piedi. Era Larche.

 

Ci guardammo l’un l’atro. Non era bello come pensavamo! I tetti erano di latta, le case non avevano la rustica eleganza di quelle di Chiappera. Le montagne intorno  erano uguali alle nostre, ma meno aguzze e meno slanciate. Non c’erano negozi attorno, né un bar, né ragazze francesi brune e affascinanti. La strada era percorsa da macchine e camion, e a vederceli sfilare sotto il naso ci sentimmo come ingannati. Sedemmo allora su una panchina a mangiare qualcosa e mentre discutevamo  se davvero ne valeva la pena di fare tanta fatica, quando a Larche, ci si arrivava in un paio d’ore, in auto, attraversando il colle della Maddalena.
Dopo un po’ ripartimmo, in silenzio, a testa bassa, Presto però la delusione si trasformò in allegria. Camminavamo con le ginocchia sbucciate e i piedi doloranti, ma eravamo felici. Dormimmo in una casa abbandonata, sotto le stelle, vedemmo per la prima volta i francesi, ci legammo ad una corda per discendere un nevaio, gridammo tutta la nostra gioia alle rocce, che ce la restituirono con la forza di un tuono.

 

Dopo tre giorni, lunghi come un mese, tornammo a casa. Ci sentivamo cambiati, come se durante il viaggio avessimo attraversato una specie di confine interiore. Ma nessuno di noi immaginava lontanamente che la vita, come un’elica, ci avrebbe sparsi per il mondo, e che un giorno non sarebbe rimasta che questa storia a tenerci insieme.

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