L’Italia si ricorda del Sud quando va in vacanza
Mi piacerebbe intervenire nel dibattito tipicamente estivo sul Mezzogiorno d’Italia. Non a caso ci si ricorda che l’Italia ha un Sud quando si va in vacanza, il Sud è la pausa estiva per politici, governanti, giornalisti e opinion makers. Eppure ben venga un’attenzione rinnovata nei confronti di questa metà del paese. Non voglio entrare nel merito delle polemiche. Certamente c’è molta banalità circolante, purtroppo anche in chi ci governa. Il “piagnisteo” di cui viene tacciato chi si preoccupa del Sud fa parte di una maniera elegante di fuggire i problemi trasformandoli in retorica. A me interessa entrare nel merito della posizione particolare in cui si trova oggi il Meridione a partire dalla mia esperienza diretta della Sicilia e dell’enclave palermitano in particolare. Chi mi conosce sa quali emozioni contrastanti mi muovono quando tratto, scrivo, filmo, mi occupo della mia terra e come mi è difficile non solo viverci ma anche tornarci. E però mi sento chiamato in causa quando se ne parla.
Qual è la situazione umana, culturale, civile siciliana e in particolare quella della Sicilia occidentale? Mi preme sottolineare che la Sicilia vanta una specie di primato nel Sud, quello di rappresentarne concentrati tutti i problemi e tutte le cause aggravanti. Non solo: l’idea di Sciascia che la linea della palma sia arrivata fino al nord, intendendo con essa non solo la mafia, ma il malcostume, il cinismo in politica, la corruzione, fa sì che la Sicilia rappresenti il bubbone di cui l’Italia intera è infetta. Non è un caso che a livello politico non cambi nulla tra un governo dichiaratamente reazionario come quello del “cannolaro” Cuffaro o dell’assente sindaco di Palermo forzanuovista Cammarata e gli attuali Crocetta come presidente della Regione e Orlando sindaco del capoluogo. Ciò dovrebbe fare riflettere il caro Renzi prima di parlare di piagnisteo.
La Sicilia è oggi retta da politici che dovrebbero rappresentare il governo e le sue intenzioni riformiste, ma sembra che nulla sia cambiato negli ultimi vent’anni nel disastro della gestione della cosa pubblica, nell’inefficienza e nella corruzione. Uomini nuovi in posti vecchi, un vento di speranza durato qualche mese e poi la solita routine. Si può dire che la classe politica della sinistra siciliana spicchi per alibi retorici: l’essere gay, l’essere progressista, ma persista in vecchi metodi clientelari e di cordate familiari e dei soliti al potere da generazioni. Quando si costituì la nuova giunta regionale nell’onda dell’entusiasmo mi ero offerto di lavorare a titolo gratuito per la stesura di una carta del turismo come risorsa economica e culturale di rilancio della Regione. Le persone allora “in charge” (e lo sono tutt’ora) dopo un retorico interesse hanno completamente ignorato la mia offerta. E il mio lavoro negli ultimi anni è stato comunque “offrire” alla Sicilia una base di mappatura in un campo che è importantissimo, quello dell’archeologia greca e che è trattata in un modo scandaloso (un settore che potrebbe portare un incremento di turismo di un 50% supplementare). Ma sovrintendenze, autorità locali e l’Assessorato al Turismo e Cultura sembrano occupate in tutt’altro. L’ho potuto toccare con mano avendo fatto una rilevazione diretta di buona parte dei siti e dei musei archeologici dell’isola per il mio libro La Sicilia dei Greci uscito quest’anno per i tipi del Mulino. Occorre ricordare, come faccio nel libro, che il principale museo, il Salinas, che ospita capolavori provenienti da Selinunte e altri siti è chiuso da sei anni e non ha ancora annunciato una data di ri-apertura.
Credo che la situazione siciliana si possa riassumere in una paralisi che si trascina da trent’anni e che è rintracciabile in politica, nelle sedi universitarie dove dominano cinque o sei famiglie (che non hanno nemmeno più vergogna a esporre i propri meccanismi ereditari) e nella stasi totale della società civile. In queste condizioni il dato più scandaloso è l’emigrazione della quasi totalità dei laureati e diplomati e la fuga di ogni voce indipendente nel campo della stampa, della cultura, dell’arte. Per lavorare in Sicilia bisogna essere affiliati alle cordate esistenti da trenta, quarant’anni e più, e che non esito a definire un tipo particolare di soft-mafia all’interno di un sistema mafioso più ampio. Chi non ci sta è fuori. L’effetto è la morte di ogni tipo di società civile, di ogni iniziativa autonoma, di ogni segno di opposizione.
In questa paralisi non ci si rende conto che ci sono dei meccanismi che potrebbero essere forzati e a volte violentati per fare entrare un po’ di aria fresca. Vediamo quali sono:
- 1 - Eliminare lo Statuto Autonomo della Regione Siciliana. Questa Costituzione a parte fa sì che in sede delle più importanti decisioni, tra cui la gestione del preziosissimo patrimonio monumentale, paesaggistico, ambientale e culturale sia la Regione ad avere la meglio su ogni altra considerazione. Il Patrimonio dell’Umanità cade sotto logiche particolaristiche quando non di diretta corruzione. L’esperienza dell’Autonomia Siciliana è una delle più tristi vicende politiche nella storia d’Italia dopo la Liberazione. Ed è giunto il momento per intervenirvi pesantemente. Ovviamente è un’utopia, perché nulla come l’autonomia fa il gioco dei politici a Roma, questo enorme serbatoio di interessi personali al Sud. Ma è giunto il momento per dire con forza che non c’è speranza per la Sicilia se non in una gestione diretta dell’isola da parte del Governo Centrale. Ogni altra opzione riprodurrà il disastro in cui si trova l’economia, lo stato dell’ambiente e delle infrastrutture e la miseria umana e sociale in cui versano i suoi abitanti.
- 2 - La seconda mossa dovrebbe essere indirizzata alle Università come centri di potere e di blocco sociale. Fin quando non ne vengono scardinati poteri e privilegi non sarà possibile assistere al nascere di una nuova classe dirigente e di una società civile capace di pensare, lavorare e produrre senza dovere diventare asservita ai baroni locali. Sembra strano, ma mai come in Sicilia il prestigio decaduto dell’Università è il primo deterrente a credere che la cultura possa essere il volano dell’economia isolana.
- 3 - Ovviamente c’è una lotta quotidiana alla criminalità e alla corruzione che deve continuare ed essere sostenuta dai massimi vertici dello stato. Città come Palermo sono diventate più pericolose ora di dieci o vent’anni fa, proprio per l’impoverimento generale della società su cui la mafia fa molta più fatica a lucrare.
- 4 - Infine c’è un quarto elemento, quello della tutela ambientale, che dovrebbe avere un capitolo a parte ed essere sottratto all’autorità locale, che sia regionale, comunale o provinciale (ci sono ancora le province in Sicilia!). Il disastro ambientale dovuto all’indiscriminata e ingiustificata espansione edilizia è affrontabile solo con un commissariamento diretto, gestito da una commissione al di sopra degli interessi “siciliani”.
Chi mi legge avrà capito che io sono contrario ad ogni sorta di “nuovo meridionalismo”, di “retorica della differenza del Sud”, di “sicilianismo” in brodo crocettiano. Se non la finiamo con questo utile separatismo non usciremo mai dalla condizione tragica, atroce e disperata in cui si trova la mia magnifica, profonda, bellissima terra.
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