Giovanni Agosti. Le rovine di Milano

5 Dicembre 2011

Oggi alle ore 18.30 alla Galleria d’Arte Moderna, Sala da Ballo, Via Palestro 16, Milano si terrà la presentazione del libro Le rovine di Milano di Giovanni Agosti.

Interverranno Stefano Boeri, Rosellina Archinto, Luca Formenton, Giuseppe Frangi e Lea Vergine, di cui pubblichiamo un contributo.

 


 

Abbiate pazienza se chioso le parole ma sono quelle che aiutano a capirsi. Il libro viene presentato come feuilleton ed io direi che, essendo il feuilleton una appendice a carattere letterario, è invece il caso di parlare di pamphlet, e cioè opuscolo, libello poiché si tratta di uno scritto a carattere polemico, buttato giù in fretta, in questo caso, per Alias, il supplemento culturale de il Manifesto. Così come non parlerei di rovine, piuttosto di macerie, dato che le macerie sono ciò che rimane delle rovine. Per intenderci, a Cartagine si visitano le rovine (quater sass direbbe un milanese), a Pompei le macerie.

 

Dall’essere diversamente milanese di Giovanni Agosti nasce un librino che racconta molte verità delle macerie di Milano, o di Milano in rovina, se preferite; nasce una chiamata a testimonianza dallo stile asciutto, pacato, con qualche ironia inevitabile, ma senza sarcasmo né livore né astio; e proprio per questo, probabilmente, ha funzionato come carica esplosiva. La scrittura di Agosti è, a volte, un po’ falotica, il che aggiunge spezie alla lettura. Ho voluto credere nell’incontro di questa sera perché mi piacerebbe che funzionasse come punto di svolta in una città allagata dal mugugno e, almeno fin’ora, senza più capacità progettuali.

 

Da cosa è mosso il professore universitario noto e stimato (basterebbe la mostra su Mantegna commissionatagli dal Louvre) che volontariamente si è esposto? Da una febbre improvvisa (il caldo atroce della scorsa estate, per alcuni come me peggio dell’asma); dal disagio profondo dovuto all’impotenza del singolo; dalla saturazione subita per la pratica dell’ignoranza della malversazione, dei compromessi stupidi o lucrosi? Cosa ha ispirato questo libretto? Il dilagare della demenza specializzata, l’insensatezza del fare e del non fare? Tutto questo, credo, si ritrova nelle ricostruzioni dei comportamenti e degli avvenimenti degli ultimi venticinque anni a Milano.

 

Cosa denuncia Agosti? Le formule trite, i funzionari sclerati e bolliti, lo svilimento della Pinacoteca Ambrosiana in servizio a pagamento; difetti e inquinamenti della museografia cittadina; l’operato degli assessori alla cultura, il cui unico merito è stato sin qui quello di essere pervenuti a tale ruolo in virtù di notorietà televisive, a cominciare dalle ospitate di tipo berlusconiano e continuando con quelle delle cosiddetta sinistra attuale (badate, parliamo tanto di Sgarbi, ma non va dimenticato che l’assessore Carrubba mise nelle mani dello storico Flavio Caroli Palazzo Reale con esposizioni talmente indimenticabili che fruttarono, su sollecitazione della critica non italiana, una famosa lettera di denuncia firmata dagli storici italiani). Ripeto, cosa denuncia? Le cosiddette società di servizi che mettono insieme “pacchetti di mostre” quando le mostre, possibilmente non impachettate, dovrebbero organizzarle le strutture pubbliche a ciò preposte; la complicità delle Sovraintendenze; le grottesche vicissitudini di Brera; le perizie commissionate a Federico Zeri perché controllasse le attribuzioni dei capolavori della Pinacoteca come se avesse dovuto presentare perizie per divisioni ereditarie. Non vi ho fornito che metà dell’elenco.

 

Troverete tutto con nomi, date e luoghi. Non ha dimenticato, l’autore, lo straordinario lavoro, l’abnegazione e il coraggio di studiose e funzionarie come la mitica Fernanda Wittgens, la superba docente Anna Maria Brizio, l’ottima restauratrice Pinin Brambilla, Mercedes Garberi, direttrice delle raccolte d’arte del Comune e creatrice del PAC e del CIMAC, Garberi, proprio quella che affermò “la transavanguardia a Milano non passa”. Agosti, vien fatto di pensare, leggendo, si è magari lasciato andare a questo libello che spesso strappa sorrisi ma che, altrettanto spesso, si rivela pieno di dolore. Bisogna, basta volerlo, almeno pensare che da tutto questo se ne può uscire, senza ottimismo, ma con l’intenzione di reagire.

 

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