Entusiasmo o riflessione? / Berlino, 9/11/19, trent’anni dopo il Muro
Sono già passati trent’anni dalla sera del 9 novembre 1989 quando alle 18,53 il corrispondente ANSA da Berlino Est, Riccardo Ehrman, chiese a Günter Schabowski, ministro della Propaganda della DDR, da quando le nuove Reiseregelungen (regole di viaggio) che avrebbero permesso ai cittadini orientali di varcare il confine con la Germania Federale sarebbero entrate in vigore. Schabowski, preso alla sprovvista e non avendo un’idea precisa, improvvisò: “Per accontentare i nostri alleati, è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco. [...] Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente!” Il simbolo per antonomasia della guerra fredda, il Muro che per 28 anni aveva diviso in due Berlino, costringendo la Germania Ovest a spostare a Bonn la capitale e riempiendo d’orgoglio quella Est per essere rimasta l’unica a vantare Berlino come Haupstadt, lo sbarramento che aveva separato famiglie, amicizie, amori causando vittime tra coloro che avevano ripetutamente cercato di infrangerla, cadeva quasi per caso, come in conseguenza di una risposta azzardata. Il primo sentimento nei cittadini che seguivano in televisione la conferenza stampa, dopo svariate settimane di disordini e proteste, fu di incredulità e spaesamento. Non era realistico che un confine tanto feroce e blindato potesse perdere da un momento all’altro il suo potere e smettere di essere temibile e dannato. Ampiamente note sono le azioni che seguirono, i volti basiti delle impotenti e sconcertate guardie di confine (memorabile resta la scena del film comico Bornholmer Straβe, 2014, in cui le sentinelle di frontiera la fatidica sera del 9 novembre 1989 si trovano alle prese con un tentativo di sconfinamento da parte di un cagnolino), gli assalti, reali e metaforici, alle barriere di cemento armato, le lunghe code di Trabant che si formarono per lasciare la DDR, le entusiastiche accoglienze (con tanto di post-coloniali banane in omaggio) agli Ossis da parte dei Wessis, i “fratelli” occidentali.
Era il simbolo per antonomasia delle carenze nella DDR: la banana. Teoricamente, avrebbe potuto riguardare qualsiasi frutto tropicale, perché anche l’ananas e la pesca erano estremamente scarsi. Tuttavia, proprio la banana, tra tutte le cose, sarebbe diventata uno dei simboli della caduta del muro. Euforia, empatia, solidarietà, eccitazione. Pareva che soltanto di buoni sentimenti fosse colma la Germania in quei giorni. Il violoncellista Mstislav Rostropovič, esiliato dall’URSS nel 1974, improvvisò un concerto al Check Point Charlie, suonando Bach per onorare le vittime cadute durante i tentativi di fuga.
Trent’anni dopo la situazione è assai cambiata. Non è questa la sede per affrontare bilanci politici o sociali. Segnalo doverosamente il fenomeno (ampiamente e debitamente oggetto di approfonditi studi) dell’Ostalgie, nostalgia per l’universo dell’Est, non necessariamente sinonimo di rimpianto per un regime dittatoriale ma piuttosto per un sistema di vita basato su principi e consuetudini socialisti troppo in fretta sradicati e gettati al macero. Simboli e riferimenti culturali che avevano costituito la base di molte esistenze vennero cancellati nel giro di poche ore. La situazione socio-economica del Paese prese una piega inusitata: moltissimi posti di lavoro scomparvero assieme alle aziende rottamate (l’86% della popolazione lavorava in imprese statali), esodi massicci e frenetici svuotarono le città. I cittadini orientali, in seguito all’unificazione delle Germanie (1990) avrebbero progressivamente percepito l’operazione come un’annessione, indiscutibile portatrice di nuove libertà, ma al contempo umiliante e penalizzante per chi ancora oggi si considera tedesco di serie B.
Berlino in questi giorni è pavesata da decine di manifesti e striscioni che annunciano eventi memorabili, delle più diverse portate, per il trentesimo anniversario della caduta del Muro.
Tra i moltissimi, su uno mi soffermerò per verificare, assieme al suo ideatore e realizzatore, Dario Jacopo Laganà, lo stato delle cose in questo 9 novembre 2019, in cui, come scrive Eva Banchelli, la “massiccia appropriazione della storia tedesco-orientale da parte delle politiche ufficiali della memoria ha prodotto un diffuso sentimento di confisca dell’identità cui l’Est si è visto esposto
nella rappresentazione e nel linguaggio prodotti dopo l’unificazione, dominati in gran parte dalla prospettiva occidentale”.
Il 7 novembre si è inaugurata a Berlino nel quartiere di Friedrischshain una mostra fotografica, Laganà è un fotografo italiano che risiede a Berlino dal 2010, che porta un nome curioso: Deutschland Übergestern, come dire Germania “dopoieri”, giocando sulla scomposizione e ricombinazione di parole Übermorgen (dopodomani) e Vorgestern (altroieri), errore tipico dei bambini quando imparano a parlare (oltre che degli stranieri, come per stessa ammissione del fotografo), ma che diventa anche, se si separano le due parole, über Morgen, un più complesso “a proposito del domani”.
Il progetto fotografico (finanziato dalla Fondazione federale per lo studio della dittatura comunista nella Germania orientale) indaga le storie di quelle persone che, con la loro precedente biografia professionale, non si sono adattate al nuovo sistema dopo la caduta del muro e hanno dovuto drasticamente abbandonare lavoro e carriera precedenti. “Ho dovuto lasciarmi alle spalle la vita”, potrebbe essere il loro motto. Il fotografo segnala con questo progetto che la ricorrenza attuale richiede anche riflessioni serie e profonde, oltre che scontate ed entusiastiche celebrazioni. Nella mostra ricostruisce una serie di percorsi di vita personali in ritratti fotografici e interviste che avvicinano il lettore e lo spettatore a un’insolita, per noi stranieri, parte di storia tedesca e ai suoi protagonisti. Chiunque abbia lavorato o sia ancora al lavoro può facilmente identificarsi con questo tipo di narrazione. La connotazione universale del lavoro può essere compresa da chiunque senza la conoscenza specifica delle circostanze socio-politiche che hanno caratterizzato gli eventi dopo la caduta del muro. Oltre ai cambiamenti radicali che possono essere visti come modificazioni negative nella vita lavorativa, ci sono anche casi in cui la rottura con il passato e la riunificazione hanno portato a una svolta positiva e a nuove opportunità. “Non è intenzione del progetto fare appello all’Ostalgie, alla trasfigurazione del passato. Siamo convinti che una riunione e una completa riconciliazione di una società possano essere raggiunte solo attraverso il chiarimento del passato, guardandone luci e ombre senza tabù” si dichiara nel commento alla mostra. “Quando si concepiscono progetti che trattano questioni storiche, è necessario trovare il giusto equilibrio tra precisione storica e coinvolgimento emotivo per suscitare l’interesse dello spettatore”. Proprio questa è l’esigenza primaria necessaria, oggi più che mai, nell’affrontare un anniversario di questa portata: trovare l’equilibrio e la distanza necessari per potersi accostare ai moltissimi spunti, materiali, iniziative che vengono proposte mantenendo uno sguardo critico-analitico, non freddo e cinico, ma neppure inficiato da emozioni semplici svendute come souvenir di bassa portata.
Tra le varie storie che la mostra evidenzia, si trovano racconti di persone che hanno riparato gli ombrelli prima dell’inversione di tendenza e ora gestiscono una compagnia di trasporti, un ex membro dell’ esercito popolare nazionale, passato a gestire una stazione di servizio, una professoressa e decano di un’università della Germania occidentale a cui era stata negata l’autorizzazione a studiare nella DDR, la storia della continuità della ditta Carl Zeiss, che è riuscita a superare le fratture della riunificazione, o le storie dei lavori a contratto del Vietnam e del Mozambico, che hanno dovuto affrontare con molta dignità il doppio dramma della solitudine sociale e lavorativa in un paese per loro irriconoscibile e ingrato.
La mostra comprende 18 ritratti-interviste di grandi dimensioni e 38 fotografie in formato ridotto che costituiscono una specie di diario, sintetico e simbolico dei luoghi, delle istituzioni, dei personaggi che hanno segnato i trent’anni dal fatidico novembre 1989. Fabbriche abbandonate, scuole per le élite del partito, ex aree carbonifere, integrazioni-ibridazioni sviluppate troppo in fretta nell’ansia di sanare una situazione, rimarginare una ferita. Furia che ha scarsamente rispettato sensibilità e storia nella premura di cancellare un passato scomodo. Vengono a galla, grazie alla narrazione fotografica, il rimpianto per una pur mitologica solidarietà tra le persone, le strategie di resistenza al sistema di controllo imperante, i tentativi di assimilazione al modello occidentale di realtà industriali socialiste che peccavano di qualità scadente e mancanza di competitività. Sistemi a confronto che hanno preteso una rapida quanto impietosa soluzione. Il Muro è il grande, e consapevole, assente in questo progetto. Inflazionato, sezionato, spremuto, ridotto in frammenti e venduto come souvenir con tanto di approssimativa garanzia. Meglio lasciare spazio all’umanità delle persone e alle loro vicende.
Dario Laganà ha risposto ad alcune mie domande relative allo spirito con cui accostarsi all’anniversario dei trent’anni.
Tra gli ex cittadini DDR prevale rassegnazione o desiderio di vendetta-riscatto?
Nelle persone che ho intervistato ho trovato pochissimo desiderio di vendetta o di riscatto, una gran parte di loro avrebbero voluto un sistema di riforme della DDR, non la sua cancellazione. Molti hanno preso l’opportunità per cambiare vita, per ripartire e sebbene con moltissime difficoltà, adesso guardano alla loro scelta come ad una nuova chance. La rassegnazione l’ho letta in chi da questa storia non è riuscito a riscattarsi; penso a chi come Claus Suppe, che era orfano e cresciuto in una casa famiglia dove lo avevano obbligato a lavorare sin da piccolo; avrà sempre grande amarezza e avversione per la DDR, ma allo stesso modo analoghi sentimenti per la nuova Germania, che l’ha lasciato senza lavoro per 30 anni.
Al momento dell'unificazione già si poteva intuire che si sarebbe trattato di un’annessione? se sì, chi lo aveva intuito?
Le circostanze storiche erano tali da necessitare una Riunificazione veloce, che ha portato a scelte radicali, frettolose e con moltissimi errori. Non c’è stato un vero e proprio tavolo di trattative in cui i due sistemi venivano messi a confronto e si sceglieva il sistema migliore o si trovava il suo compromesso migliore. C’è un articolo di “Der Spiegel” dal titolo Un popolo nel panico, a mio avviso terrificante nella sua preveggenza, datato Maggio 1990, quindi ancora prima della Riunificazione vera e propria, dove viene fatto un elenco devastante di possibili scenari pessimistici, che si sono in larga parte verificati.
È stato “salvato” qualcosa del patrimonio socio-culturale della DDR?
Non ho gli strumenti adatti per dare un giudizio complessivo, se c’è stata una volontà di abbandono programmatico o cancellazione della cultura della DDR, anche se ogni tanto mi è venuto il sospetto, come se ci fosse una sorta di superiorità culturale da ribadire che serpeggia ancora in alcune discussioni quando gli interlocutori sono di ambe le parti. C’è di fatto che moltissime realtà sono scomparse, sicuramente è prevalsa una disaffezione (anche abbagliati dal nuovo sistema dell’Ovest). Per fare un esempio basti pensare alle strutture architettoniche di Ulrich Müther, completamente abbandonate e alcune rimosse in maniera molto ambigua, nonostante lui fosse noto anche all’Ovest, tanto noto che l’Ovest, per averlo a dirigere i lavori oltreconfine, donò alla DDR 10.000 automobili. In questo conto è anche necessario considerare le ripercussioni economiche e sociali dei primi anni dopo l’89, dove le priorità erano altre. Questo fenomeno però è in inversione, man mano si sta cercando di preservare quello che resta, c’è stata una rivalutazione dell’apporto culturale della DDR, una catalogazione più rigorosa.
Lo spaesamento post Wende ha riguardato anche i tedeschi occidentali e in che forma?
Onestamente non credo, non in maniera generalizzata. La ragione è che per i tedeschi dell’Ovest non c’è stato nessun sovvertimento radicale, nella loro vita non c’è stata nessuna novità rilevante in maniera di Alltag (la vita di tutti i giorni). Se pensiamo che un tedesco dell’Est prima non doveva occuparsi quasi di niente, il sistema socialista pensava a quasi tutto (in termini di pensione, assicurazione, lavoro, educazione dei figli, scuole ecc.) mentre loro si sono ritrovati a fare i conti con tutte queste innovazioni, compresa la burocrazia tedesca dell’Ovest, da affrontare tutte insieme.
Si può dire che il 30° anniversario segnerà in Germania l’inizio di una nuova consapevolezza?
Credo che questa celebrazione sia molto diversa dalle altre (e sicuramente essermi occupato di questo tema ha cambiato la mia personale visione), dove a progetti molto festosi, inneggianti alla libertà o anche solo alla gioia di potersi riabbracciare, si sono affiancati o addirittura sostituiti molti progetti culturali di rilettura sociale, culturale e storica. Anche se personalmente sono pessimista sulla capacità di un pubblico straniero di turisti frettolosi, di arrivare ad una lettura di analisi critica sulla Riunificazione. Questo ovviamente non fa che giovare alla società tedesca, questa possibilità di poterne parlare di nuovo, questo confronto sicuramente non facile. Credo che a questo proposito la situazione della rinascita delle destre in Germania abbia anche fatto scattare la necessità di non sottovalutare i problemi e le conseguenze sociali della Riunificazione. Ma d’altra parte i tempi storici di analisi sono sempre lunghi, hanno sempre bisogno di una generazione e nel caso di questa storia, lo spaesamento è durato molto a lungo, come minimo tutti gli anni ‘90. Per noi la Riunificazione, come evento storico, ci appare sempre puntuale, in realtà è ancora in atto.
Per chi volesse visitare la mostra, considerando che Berlino d’inverno non è soltanto mercatini di Natale:
“DEUTSCHLAND ÜBERGESTERN” - Fotogalerie Friedrichshain
HELSINGFORSER PLATZ 1, BERLIN 10243
7 NOVEMBRE 2019, ore 19.00 - 3 GENNAIO 2020