Markus Raetz, Chambre de lecture
Stare seduti con intorno a sé una schiera di 432 profili umani in filo di ferro è un’esperienza. Profili appesi come mobiles, a pochi decimetri dalle pareti di una grande stanza, chambre. Si muovono un poco. Sono disposti (sospesi) ordinatamente, in dodici gruppi a intervalli regolari. Ogni gruppo è un 6 per 6, e cioè sei file di sei persone-profili, dall’alto in basso e/o da sinistra a destra.
Markus Raetz, Chambre de lecture, 2013-2015. 432 profili in filo di ferro, visone parziale, 400 x 815 x 630 cm (stanza), © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich. Foto: Alexander Jaquemet
Chambre de lecture è il titolo della nuova installazione che Markus Raetz (Berna, 1941) ha realizzato per la sua personale in Canton Ticino. A lui il MASI di Lugano ha dedicato la prima mostra monografica nella nuova sede espositiva del LAC, a cura di Francesca Bernasconi, fino al 1 maggio 2016. Il progetto nasce in collaborazione con il Kunstmuseum di Berna e il Musée Jenisch di Vevey, prime tappe dell’esposizione, ma a Lugano viene presentata per la prima volta, alla fine di un percorso di oltre 150 lavori, questa nuova creazione dell’artista svizzero. Fatta di materiali comuni come predilige Markus Raetz, i primi profili per questa installazione sono stati ricavati da semplici attaccapanni da lavanderia, prima di passare a un filo di ferro più dolce.
Fisionomie che si muovono, si incrociano si fronteggiano si danno le spalle si sovrappongono. Sono i naturali spostamenti d’aria o i movimenti degli spettatori a mettere in moto le varie dinamiche.
Markus Raetz, Chambre de lecture, 2013-2015. 432 profili in filo di ferro sospesi davanti alle pareti di una stanza, dettagli, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich. Foto: Alexander Jaquemet
Fluttuazioni, eco. Non è un caso, scrive la curatrice Francesca Bernasconi, se “il titolo dell’opera (suggerito dall’amico e autore del catalogo ragionato delle stampe, Rainer Michael Mason) contiene un riferimento implicito al termine francese ‘chambre d’écho’ con il quale si identificano dispositivi in grado di registrare suoni per poi riprodurli dopo un determinato lasso temporale, capaci quindi di generare un’eco”. È un’opera che ti segue, che galleggia nella mente.
“Il volto è veramente un sistema di segni che sin da bambini si impara a leggere”, afferma Markus Raetz che già dai suoi esordi ha un grande interesse per la percezione dei visi. Le fisionomie entrano nella sua ricerca come un fiume in piena nel 1973 quando, ad Amsterdam, disegna ben 644 profili in una sola notte (644 Profile, 2/3.IV.1973) … “la precisione con la quale l’essere umano è in grado percepire i volti mi ha sempre interessato” (Déchiffrer les visages, documentario Markus Raetz realizzato da Iwan Schumacher, 2006). Stando lì seduti si può provare inutilmente a decifrare qualche volto. Lineamenti, caricature, espressioni senza sguardi. Moltitudine, persone, uomini e/o donne, impossibile a dirsi. Teste. Del resto quel “sistema di segni” Raetz l’ha messo in campo in maniera anche monumentale e anamorfica nel 1984 per la scultura Der Kopf al Merian Park di Basilea, dove semplici travi di pietra, che paiono disordinate, quasi in bilico, sul prato, quando viste da una certa angolazione formano i tratti essenziali di una testa.
Markus Raetz, Der Kopf, 1984, Merian Park, Basilea (Markus Raetz, ein film von Iwan Schumacher)
Ma il segno minimo per Raetz può essere anche una foglia di eucalipto: conto 26 foglie e qualche spillo per fissare al muro gli unici elementi di quattro teste che paiono spostarsi danzando nello spazio di una parete (Köpfe, 1982-1993). Il confine tra disegno e scultura è annullato con poetica leggerezza: “Riuscire a disegnare nello spazio era un vecchio sogno per me”.
A metà tra fisionomia, silhouette e caricatura (praticata in gioventù da Raetz), questi profili senza sguardi raccolgono una lunga eredità (basti pensare alle diatribe sulla fisiognomica tra Lavater e Lichtenberg, e il divertente manuale di Lecture pratique du caractère di Vaught citati dalla curatrice) per proiettarla in una dimensione di inedita naturalezza. Vengono in mente anche le caricature dei maestri francesi come Gavarni e La Mascarade Humaine, o Daumier e il suo foglio di maschere (Masques de 1831); o l’inglese Cruikshank con la sua parata di 33 nasi (A Chapter of Noses, 1833-36) o, ancor di più, la celebre incisione di William Hogarth Characters and Caricatures (1743) che, in oltre cento profili, dimostra la superiorità del comico sul grottesco.
William Hogarth, Characters and Caricaturas, acquaforte, 205 x 200 mm, 1743
Ma sono le parole d’ordine del lavoro di Raetz, leggerezza e poesia, a prendere il sopravvento, scrivendo la commedia umana con un breve fil di ferro. D’altronde, l’artista dedica una piccola scultura proprio a William Hogarth e alla sua Line of Beauty, pubblicata nel 1753 sul frontespizio del volume sulla bellezza nell’arte (The Analysis of Beauty). Hogarth, nel Capitolo IX sulla composizione con linea ondeggiante (Of composition with Waving-Line) discute e individua nella linea n. 4 (primo riquadro, tavola 16) la forma alla base di tutta la bellezza.
La piccola scultura di Raetz in omaggio al maestro britannico (Freedom and Beauty, 1996) è di grande poesia: un semplice cubetto fa da piedistallo a una linea sinuosa in filo di ferro, poco più di trenta centimetri in tutto. La lunghezza di una bacchetta magica.
William Hogarth, The Analysis of Beauty, prima edizione, 1753; Tavola 16
432 profili. Il profilo può essere narrazione storica, impronta del volto, immagine in ricordo del personaggio rappresentato, moneta, medaglia o francobollo. Ma è anche l’ombra-profilo a interessare Raetz. Viene in mente il mito della “fanciulla di Corinto” che, inconsolabile per la partenza del suo amato, “tratteggiò con una linea l’ombra del suo volto proiettata sul muro dal lume di una lanterna” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia). E nel raccontarsi, Markus Raetz ci dice che “se poco prima di arrivare all’atelier, incrocio qualcuno con un naso importante, sarò istintivamente portato a modellare un profilo con un grosso naso”. Nell’opera grafica, praticata con grande creatività, possiamo vedere quanto posto occupa non solo il profilo di un volto, ripreso tagliato e rigirato in continuazione, o di una montagna che se la guardi bene diventa volto-naso, ma l’uso dell’ombra che diventa forma, che scrive l’immagine e mette in questione la sua percezione.
E così come un niente di filo elettrico (pochi decimetri) disegna nello spazio una pipa tridimensionale (che può essere decifrata solo da una certa prospettiva), sospesa in mostra come un mobile –, questa stessa pipa (scultura minima) si trasforma in sagoma che ‘scrive’, matrice di un’ombra che diventa fumo che lentamente sale. Abbiamo perciò un’opera in sei lastre eliografiche disposte verticalmente, tutte ombre dello stesso filo da prospettive diverse: una pipa e il suo fumo (Schatten, Ombres, 1991). Un omaggio a René Magritte, verso un’arte che punta alla ginnastica dello spirito e dello sguardo.
Markus Raetz, Schatten, 1991, Eliografia, 1380 x 310 mm, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich
La ricerca di Raetz interroga i temi della percezione e del linguaggio. Le metamorfosi, distorsioni e anamorfosi con le quali l’artista gioca in continuazione mettono però in moto lo spettatore. Molto spesso la scultura è fissa ma è l’osservatore che la fa vivere: spostandosi ne rivela il significato. L’opera diventa così un dispositivo vivo sotto il nostro sguardo in movimento. Il profilo di una lepre seduta dalle lunghe orecchie ci riappare allo specchio come la sagoma di un uomo con cappello (il profilo di Joseph Beuys); ME diventa WE visto riflesso, quasi a scandire l’attimo dell’incontro tra l’artista e lo spettatore; oppure una parola si rivela, da un’altra prospettiva, il suo esatto opposto.
Dall’alto: Markus Raetz, Hasenspiegel, 1988/2000, filo di ferro galvanizzato, specchio, 21,5 x 20 x 60 cm, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich Foto: Peter Lauri, Bern Markus Raetz, ME–WE (Dix. Muhammad Ali), 2007, Eliografia e acquatinta a colori, 159 x 237 mm, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich
Il gioco dei contrari spazia da una lingua all’altra, è indagato continuamente. Tout si trasforma in rien; Yes in No; Todo si rivela un nada. Per una grande opera pubblica, invece, Oui diventa non alla sommità di un palo in metallo alto dieci metri che svetta nel cielo di Ginevra, in sottile dialogo con i passanti e i mutamenti atmosferici (Oui-non, 2000, Place du Rhône). Il gioco in francese si svolge in tre lettere. Ogni cosa contiene il suo opposto, tutto è ironicamente relativo, come ci dimostra la bella incisione a bulino Croisement (1977), che visualizza dall’alto l’architettura di un insieme, rien-tout, rendendo quasi impossibile la lettura tra gli incroci possibili delle due parole. Ogni cosa è da capire, da vedere, da guardare da prospettive altre. Ambivalenza di visione. In questione c’è anche questo: sappiamo guardare? “Con lo sguardo disponiamo di uno strumento naturale paragonabile al bastone del cieco”, scrive Merleau-Ponty. “Lo sguardo ottiene più o meno dalle cose a seconda del modo in cui le interroga, in cui sorvola o si sofferma su esse” (Fenomenologia della percezione, Bompiani).
Markus Raetz, Croisement, 1977, bulino, 158x 297 mm, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich
L’indagine di Raetz è seriale. Lo si vede bene nell’opera grafica, alla quale la mostra dedica grande spazio. Dall’insieme delle stampe dei quattordici stati della lastra per il profilo di un volto femminile (Profil III, 1982-1983), comprendiamo che l’artista procede ‘per stati’ non nel classico senso del termine – cioè quello di raggiungere uno stato finale conclusivo e soddisfacente per la composizione in questione – ma in un senso più ampio che dilata il lavoro in corso in una narrazione di insieme: profili = misteriosi paesaggi.
Nel suo percorso artistico Raetz ha sperimentato in lungo e in largo tutte le tecniche calcografiche (apprese anche alla Gerrit Rietveld Academie di Amsterdam), e dichiara di non aver finito… alla ricerca di nuove libertà che nemmeno il disegno può dare. Ha prodotto circa 270 opere ora ordinate in un grande Catalogue Raisonné 1951-2013 curato da Rainer Michael Mason (in tedesco, francese e inglese, Schiedegger & Spiess, Berna 2014).
La prima opera catalogata risale ai suoi 10-11 anni, ed è un piccolo foglio bianco con la stampa delle sue iniziali, MR, in nero. Il fascino per la stampa, vale a dire l’immagine stampata, specchiata, foriera di imprevisti continui e vivaci sorprese, risale dunque a questo timbro, che il giovane Markus ha ricavato e intagliato dalla gomma del freno di una bicicletta. Un timbro vero e proprio, ma fatto in casa, a dispetto dei timbrini per bimbi che hanno incantato un po’ tutti noi.
La calcografia è un universo di regole che si possono anche in parte trasgredire, testandone le soglie e le potenzialità; questa è la via scelta dall’artista che, come scrive Claudine Metzler “elabora la sua opera in stretto dialogo con lo stampatore […] una collaborazione essenziale nel percorso creativo”. L’atelier di stampa diventa così, per Raetz, un nuovo “terreno di gioco”. Un gioco che l’artista mette in moto anche ispirandosi alle sue letture più amate, come “lo svolazzo della libertà”, da lui ripreso in una eliografia (Flourish, 2001) e in una piccola scultura in filo di ferro. Il ghirigoro è tratto da un sorprendente inserto grafico del romanzo di Laurence Sterne La vita e le opinioni di di Tristram Sandy, gentiluomo (1759-1767), una delle opere preferite da Raetz, che ne possiede varie edizioni.
Markus Raetz, Flourish, 2001, Eliografia, 543 x 464 mm, © 2016 Markus Raetz, Prolitteris, Zürich
La mostra non si presenta in ordine cronologico. In realtà l’opera dell’artista bernese non è divisibile cronologicamente in stili diversi nel tempo. Schizzi e appunti nei bellissimi taccuini esposti costituiscono la base della sua ricerca che torna sugli stessi temi anche a distanza di anni: sotto la sua lente c’è il fenomeno della percezione scandagliato tra parole, volti e paesaggi. Il percorso tra opera grafica, sculture e specchi è perciò un gioco fluido di rimandi senza schemi temporali.
Chambre de lecture è, invece, un luogo. Una scultura ondeggiante di volti e relazioni in perpetuo cangiare. Ed è proprio questa mutevole bellezza che sembra interessare Raetz che, per l’occasione, ha realizzato un libro d’artista “in movimento”, o almeno così mi piacerebbe provare a raccontarlo. Si tratta di un oggetto piccolo, 16 x 11 x 2,5 centimetri, fatto di carta leggerissima – ‘schizza e strappa’ per esempio o, detto in modo preciso, carta Bibbia –, 40-50 grammi al massimo. 860 pagine, 430 fogli, stampati solo sulla destra. La carta è trasparente e, quando si sfoglia, a sinistra traspare la pagina precedente. L’artista (con il fotografo Alexander Jaquemet), ha registrato i più piccoli mutamenti della Chambre: uno scatto un secondo sì e uno no, per la durata di un minuto, per ogni gruppo di profili. Abbiamo perciò trenta scatti al minuto che corrispondono a trenta pagine stampate. La narrazione prosegue e si moltiplica per i dodici gruppi, che qui, essendo un libro, diventano Capitoli, una storia. Il mezzo fotografico utilizzato scompare completamente, e la sensazione è di piccoli profili tracciati su carta con un finissimo rapidograph. Gli spostamenti sono minimi e affiorano in trasparenza da una pagina all’altra: ecco che il libro è in movimento.
Una installazione sottile e grandiosa fatta con niente, non servono i tir per spostarla. Ma niente contiene tutto, come ci dice l’artista in una delle sue sculture.
Le magicien.
30 Gennaio – 1 Maggio 2016