Vasif Kortun: l'istituzione deve prendere una posizione.

1 Luglio 2014

L'istituzione non-profit SALT ha sede ad Istanbul e Ankara e dal 2011 riunisce Platform Garanti Contemporary Art Center, l'archivio della Banca Ottomana e il centro di ricerca/galleria Garanti. SALT non si limita a confini disciplinari né a geografie specifiche e si è posizionato come una delle principali istituzioni culturali internazionali del paese. Vasif Kortun, è il direttore dei programmi di ricerca del SALT ed è stato il fondatore dell'Hasselt Museum presso il Centro per la ricerca curatoriale Bard College a nord di New York. Ha curato diverse biennali tra cui: Istanbul, Tirana, Taipei, San Paolo e numerose mostre tematiche. Abbiamo parlato con Vasif Kortun del funzionamento di un'istituzione culturale in una situazione di agitazione politica come quella che sta vivendo la Turchia oggi, del futuro della curatela e della relazione tra la biennale e la città di Istanbul.

 

Global Tools. Towards an Ecology of Design

 

SALT Beyoglu si trova a 300 metri da piazza Taksim e cerca di mantenere una posizione critica nei confronti della politica del governo turco. Potresti spiegarci come l'attuale instabilità politica interessa il lavoro quotidiano di un'istituzione culturale come Salt e in che modo si può rispondere alla situazione attraverso una programmazione?

 

È difficile non entrare in empatia con le preoccupazioni del nostro pubblico. Perché una persona dovrebbe andare a vedere una mostra nel bel mezzo di un momento così intenso e complesso? La stragrande maggioranza del nostro pubblico ha una visione diversa da quella del governo. Non potrei dire che è nostro dovere prendere una posizione, ma di certo abbiamo l'obbligo di fornire gli strumenti per un migliore giudizio che consentano alle persone di formare le proprie opinioni in modo più sofisticato. Abbiamo deciso la scorsa estate di accettare le incertezze e rispondere alla situazione attraverso programmi che risuonino con il contesto: anticipare le situazioni che potrebbero sorgere e aggiungere un po' di complessità. Non si può in condizioni di questo tipo fingere che tutto sia normale. È essenziale muoversi secondo due temporalità. Una è quella di essere molto flessibili e rispondere in tempo con diversi programmi. L'altra è quella di sviluppare un effetto a lungo termine dell'istituzione, la capacità di resistenza per sopravvivere alla politica quotidiana e riprendere le funzioni non necessariamente visibili agli occhi del pubblico; nel nostro caso la ricerca e l'archivio. Il numero di attività è aumentato dallo scorso giugno e SALT ha ospitato numerosi progetti, programmi e riunioni di collettivi, iniziative, piccole istituzioni e ONG. Come tale, SALT si sta espandendo anche in quanto "cornice e contesto". Tutto questo parallelamente ad annullare e rinviare eventi e osservare la fragilità di un'istituzione culturale.

 

Oggigiorno il boicottaggio di eventi e istituzioni (come ad esempio Manifesta 10 a San Pietroburgo, Sydney Biennale) sembra diventare la principale strategia per i professionisti dell'arte per esprimere la loro protesta verso la politica dello Stato o verso le dinamiche delle istituzioni. Vedi qualche potenzialità nel boicottaggio e quale pensi che sia la strategia appropriata per l'istituzione per esprimere le sue insoddisfazioni?

 

C'è molta differenza tra Manifesta a San Pietroburgo e la Biennale di Sidney. Il primo è un generalizzato boicottaggio contro la Russia. Sidney non è stato né un boicottaggio né una protesta. Il testo di ritiro dei 5 artisti proponeva una domanda precisa sulla responsabilità e sul contesto della Biennale. Ho firmato la lettera di supporto per gli artisti ma ho esitato a firmare quella contro Manifesta. Ho molte riserve verso la Russia, ma il tipo di aggressione esercitata da parte degli Stati Uniti e della Nato negli ultimi 20 anni sono la prima causa della bigotteria che sta emergendo in questa situazione.

 

L'istituzione non può schierarsi ma può prendere una posizione. Tutto va bene quando operi secondo condizioni democratiche di dibattito e discussione che non sono alimentate da paura, repressione, censura o dal taglio dei budget retributivi. Ma cosa succede quando sei in condizioni straordinarie di repressione legislativa o intolleranza pubblica? L'istituzione proclama una responsabilità mitica al pubblico ma non è tutto. L'istituzione agisce nel presente ma tiene conto di un passato e di un'eredità culturale e, si spera, di un'immaginazione e di un senso di direzione verso il futuro. Quindi parliamo di tre tipi di pubblico: non solo il pubblico contemporaneo, ma anche uno nel passato e uno nel futuro. Non si tratta di sopravvivenza ma di mantenere un'integrità con le decisioni prese. Io credo in un'istituzione localizzata nella mente delle persone che si impegni nell'obiettivo di una co-produzione.

 

Modern Essays

 

La Biennale di Istanbul che hai curato con Charles Esche s'intitolava semplicemente "Istanbul" e si concentrava sulla città stessa cercando alternative alle ideologie dominanti e al rampante capitalismo della gentrificazione neo-liberale da un lato e all'isolazione nazionalista dall'altro. L'ultima Biennale di Istanbul, cercando di affrontare una nuova relazione con la città, ha fallito il suo tentativo di fronte all'emersione della creatività spontanea dei cittadini che partecipavano alle proteste per una riconfigurazione dello spazio pubblico e della sfera urbana. Come commenti questi ultimi eventi e come vedi una possibile relazione futura tra la Biennale e la città di Istanbul?

 

Le edizioni della Biennale del 2005, 2007 e 2009 hanno costruito una convincente narrativa per la Biennale in una città come Istanbul. 2015 deve continuare in questa direzione. La sfida risiede nel testare intelligenti programmi pilota e affrontare non solo gli esclusi ma anche coloro che si sentono esclusi. L'esclusione è culturale, spaziale, storica, religiosa ed economica. Ci deve essere un confronto e bisogna porre domande difficili. Sto parlando di un efficiente esperimento strutturale, dove un'audience diventa "un'audience della Biennale". C'è un'eccezionale pratica artistica locale e internazionale e ci sono le premesse per svilupparla.

 

La mostra "Scared of Murals" è stata esibita al Salt poco prima dell'inizio delle proteste a Taksim Square. La mostra parla non solo della storia degli intellettuali di sinistra a Istanbul, compresi i musicisti, gli attori, gli scrittori, i registi e i fotografi che hanno giocato un ruolo attivo nella formazione della cultura politica alla fine degli anni '70 ma anche di come gli stessi intellettuali hanno perso il loro primato nella seconda metà del ventesimo secolo. Oggi molto spesso possiamo sentire lamenti che l'agenda culturale e sociale nelle società contemporanee è dominata da tendenze conservative. Come percepisci il ruolo degli intellettuali politicamente attivi in Turchia?

 

È vero che l'agenda sociale e culturale è dominata da forme di managerialismo e convenzionalità. La domanda critica è se il pubblico può continuare ad accettare questa degenerazione e a conformarsi a ciò che l'istituzione offre. Le istituzioni sono intrappolate in questo gioco infinito di contrattazione della loro credibilità per un guadagno veloce. Personalmente rimango estremamente fiducioso perché quando il pubblico è di sinistra produce con i suoi stessi strumenti una consistente intelligenza. il pubblico "istituzionalizza". Abbiamo visto a Istanbul un fenomenale esempio di questo durante l'occupazione di Gezi Park. Una cosa è certa, non è più abbastanza parlare, scrivere o criticare. Devi essere in strada quando le cose succedono.

 

Stiamo assistendo all'aumentare di mostre documentarie su movimenti artistici impegnati del ventesimo secolo. Perché pensi stia accadendo? Concordi che questa riscoperta sia guidata dal sentimento che il fallimento di questi movimenti rappresenti una delle chiavi importanti per capire e rileggere la modernità alla luce dell'attuale situazione politica e culturale?

 

Sono d'accordo. Escluderei i progetti revisionisti che consumano le potenzialità politiche e non hanno effetto sul modo in cui l'istituzione agisce. Per SALT il ventesimo secolo è uno strumento per rileggere il presente. Tutto ciò che facciamo mantiene l'istituzione in trasformazione.

 

Rabih Mroue e

 

Salt è una delle poche istituzioni che non necessita di definirsi "interdisciplinare" tanto tutte le discipline (arte moderna e contemporanea, architettura, cultura materiale, media, politica, etc..) si mescolano insieme in una singola programmazione. Pensi che il formato "enciclopedico" sia particolarmente rilevante per Istanbul o sia l'unico modo in cui un'istituzione culturale possa esistere oggi?

 

Salt ha aperto nel 2011 e ci definiamo "post-post-enciclopedici" essendo un'istituzione senza alcun dipartimento. Salt ha un unico clima in cui differenti strutture di sapere si scontrano e beneficiano l'una dell'altra senza alcuna arroganza. Le nostre prossime assunzioni saranno in geografia e letteratura. Ritengo che il desiderio di costruire un "museo" a dipartimenti nel 2014 nasca da un complesso d'inferiorità e sia solamente un'idea da "nuovi ricchi".

 

Ci interessa come il forum virtuale  “VOTI, The Union of The Imaginary” che hai gestito tra il 1997 e il 2000 insieme ad altri curatori importanti sia stato in grado di stabilire solidarietà e conversazioni tra uno stretto gruppo di curatori. Come vedi oggi la solidarietà tra curatori nella comunità globale?

 

VOTI è stata una risposta molto intelligente a quei tempi in termini di medium e tecnologia. Siamo ora in condizioni diverse in cui le istituzioni sono sotto un serio trattamento. Per molti di noi la questione non è "curatoriale". La questione riguarda lo smuovere le istituzioni e il tessere potenti alleanze, condividere saperi e collezioni e stabilire fronti che ci tengano tutti legati. Non possiamo più rimanere da soli con i nostri problemi.

 

Salt Mission

 

Quando hai cominciato la tua collaborazione con il Bard Center for Curatorial Studies la pratica curatoriale aveva appena iniziato a professionalizzarsi e a solidificarsi come disciplina. In vent'anni sembra che questa pratica si sia quasi esaurita tanto che in alcune istituzioni non ci sono più curatori (come a Salt) e i giovani curatori non considerano nemmeno più "l'esposizione" come parte della loro pratica. Come vedi l'evoluzione di questa professione e come pensi che l'educazione in questo campo possa rispondere a questi cambiamenti?

 

La storia delle mostre, la mediazione con il pubblico, tutto ciò è destinato a rimanere. La curatela temo di no. Abbiamo coscientemente iniziato ad usare il termine post-curatorial, un termine inventato a Salt per connotare quello che facciamo.

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