Per l’anniversario della legge Basaglia / Teatri della mente

10 Gennaio 2019

Era il 13 maggio 1978, pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, quando venne approvata la legge 180, la Legge Basaglia. Per la prima volta al mondo saliva in primo piano la salute dei pazienti psichiatrici e si ribaltava la disposizione del 1904 secondo la quale doveva essere rinchiuso d’obbligo chi era “pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo” per passare a un provvedimento che considerava il ricovero necessario soltanto se non vi erano altre possibilità di cura. È il primo passo verso la chiusura dei manicomi, anche se di fatto solo con il "Progetto Obiettivo" e la razionalizzazione di nuove strutture di assistenza si andò verso il completamento della previsione di legge di eliminazione dei residui manicomiali. Il percorso è durato decenni: gli ultimi ospedali psichiatrici furono chiusi in Sicilia nel 2007, e gli ospedali psichiatrici giudiziari nel 2015. La legge, di grande attualità, puntava a ridare dignità alla persona facendole riacquisire la libertà, partendo dall'abolizione di misure terribilmente coercitive: purtroppo, dopo più di quarant’anni, alcune strutture applicano ancora tecniche più detentive che riabilitative.

 

Il percorso che ha portato a quel 13 maggio 1978 è stato lungo e faticoso. È iniziato il 16 novembre 1961 nel centro psichiatrico di Gorizia, quando il neo direttore Franco Basaglia si trovò a fare i conti con documenti da firmare e pazienti da legare. Tra parentesi, intervista-spettacolo con la regia di Erica Rossi prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e arrivato al Teatro Franco Parenti di Milano in occasione di una programmazione dedicata allo psichiatra veneziano, riassume i diciassette anni di lavoro quotidiano di Basaglia tra Gorizia e Trieste in una chiacchierata informale tra un giornalista cinico e acuto, oltre che psicologo, come Massimo Cirri, e Peppe Dell'Acqua, l'allievo di Franco Basaglia che abbandonò l'università di Napoli per andare a Trieste, quando quell'esperienza divenne modello per la ricerca, e prendere parte a quella che è stata una vera rivoluzione (Peppe Dell’Acqua ha raccontato la sua esperienza su doppiozero: leggilo qui). 

 

Peppe Dell’Acqua e Massimo Cirri.


Al centro della scena c'è una panchina vuota. Cirri e Dell'Acqua sono seduti in platea, in prima fila. Una telecamera li inquadra e continuerà a inquadrare volti tra il pubblico per tutto lo spettacolo: un imprevedibile occhio esterno espone i lineamenti e le espressioni degli spettatori, esponendoli al giudizio di tutti e accostandoli a quelli dei pazienti nei filmati storici. 

Dopo il primo scambio di battute, i due abbandonano la platea per accomodarsi sulla panchina e raccontare una Italia rivoluzionaria e all'avanguardia, un'esperienza che suscitò l'interesse delle tv straniere: le assemblee erano tra i momenti più importanti della giornata, un cambio di rotta epocale durante il quale i pazienti erano incentivati a esprimere un parere. Un filmato mostra il momento in cui Basaglia chiede ai suoi malati il permesso di essere ripresi, e i “matti” votano per alzata di mano, una scena all’epoca inimmaginabile.

 

Il dialogo e l'ascolto sono alla base della riabilitazione, il centro non deve essere più un luogo di isolamento, ma di cura e reinserimento. Una sera d'estate del '72, durante una cena a Venezia, Basaglia incontra il cugino Vittorio Basaglia, scultore e artista, e lo scrittore e drammaturgo Giuliano Scabia. Gli chiedono cosa stesse facendo a Trieste dove si era trasferito. Come per sfida, lui li invita a lavorare con lui in manicomio. Durante la prima visita nell'ospedale, una delle pazienti racconta ai due artisti la storia di Marco Cavallo, il cavallo che trainava il carretto con la biancheria sporca oltre le mura, in città, presente fin dal 1959 e ora destinato al macello. Vittorio Basaglia e Scabia, con altri collaboratori, inaugurano un laboratorio artistico nel Padiglione P del manicomio per costruire insieme ai malati del centro un grande cavallo azzurro capace di contenere tutti i sogni dentro la sua pancia. Dopo mesi di lavoro Marco Cavallo prende forma ma è alto quattro metri e vuole uscire dalle mura del manicomio e girare la città. Il racconto si fa concitato e al tempo stesso delicatissimo e la voce di Dell'Acqua in più punti si spezza: per la prima volta i 600 internati escono oltre le cinta rivendicando il loro diritto alla libertà e la loro appartenenza alla società e scendono in corteo fino al centro di Trieste. Difficile non commuoversi guardando l'epica fotografia di Basaglia che sfonda il cancello con una panchina per far uscire Marco Cavallo: era il marzo del 1973, il primo spiraglio, il primo sintomo dell’abbattimento del muro che sarebbe poi crollato nel 1978. Da quel giorno Marco Cavallo, il simbolo del riscatto, continua a girare il mondo per narrare che un'alternativa alla reclusione è possibile grazie all'arte.

 

Franco Basaglia rompe i muri dell’op di Trieste per far uscire Marco Cavallo.


Ma la società italiana era pronta a questa rivoluzione? Tutti non ci sono di Dario D'Ambrosi, prodotto da Teatro Patologico, visto sempre al Franco Parenti nel ciclo dedicato a Basaglia, è uno spettacolo del 1978 che ha il valore di una testimonianza. I manicomi chiudono, ma i matti dove vanno? In un video girato durante il suo soggiorno a New York, D'Ambrosi impersona un paziente dimesso da un imponente ospedale psichiatrico statunitense con ancora addosso il camice bianco. Portando con sé come unico bagaglio una gabbietta vuota, gira la città, al freddo, in cerca di un posto dove rifugiarsi, ma senza speranza. L'attore entra in scena, in ciabatta e camice, e gira tra gli spettatori cercando quel contatto fisico che ha ormai dimenticato dopo anni di internamento, obbligando il pubblico a cambiare punto di vista e a confrontarsi in prima persona con la diversità. La legge 883 del 1978 che istituiva il Servizio sanitario nazionale prevedeva un piano terapeutico riabilitativo dei pazienti, atto al reinserimento del malato. I pazienti che si trovarono in questa situazione furono circa 100.000 e da un giorno all'altro dovettero cambiare dimora. Solo alcune provincie italiane erano pronte con strutture di accoglienza adeguate, molti pazienti si trovarono a convivere con famiglie viste di rado o addirittura in mezzo alla strada, con centinaia di casi di suicidio. 

 

A quarant’anni di distanza lo spettacolo ci ricorda quanta strada si sia fatta per la cura dei pazienti, in verità con una drammaturgia scarna e imprecisa, alquanto datata per risultare efficace: oggi le strutture dedicate al sostegno psichiatrico sono i Dipartimenti di salute mentale, istituiti principalmente presso le strutture delle Asl, con diverse tipologie di assistenza, dagli ambulatori diurni che si occupano dell'aiuto territoriale e domiciliare, alle strutture residenziali con intensità assistenziale fino a 24h. Nel 2015 si contavano 3791 strutture, con 29.260 dipendenti per 777.035 persone seguite dai servizi di salute mentale (anche se alcune indagini ministeriali hanno indicano che in Italia ci sono circa 2 milioni di individui che presentano disturbi psichiatrici, esclusi i disturbi ansiosi e/o depressivi).

Nel 2016 il Teatro Patologico ha aperto il primo corso universitario al mondo di “Teatro integrato dell’emozione”, sostenuto dal Miur e promosso dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – nell’ambito dell’iniziativa di Ateneo “ZeroINdifferenza”, coordinato dal professor Alberto Siracusano (direttore dipartimento di Medicina dei sistemi). L'obiettivo è “giungere a una validazione scientifica formale dei metodi di teatro terapia a vantaggio di soggetti con disabilità mentali di diverso grado”. 

 

Dario D’Ambrosi.


Ai centri di assistenza si affiancano una serie di atelier e laboratori che aiutano i pazienti a imparare attività o a sviluppare la propria passione o anche ad avviarsi a un reinserimento nella società grazie al lavoro artistico. Gli esempi di teatro come strumento di integrazione sono ormai numerosi, con varie punte di eccellenza specialmente in Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, le regioni che dedicano più fondi al settore neuropsichiatrico. 

Arte e Salute nasce nel 2000 in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale dell’azienda Usl di Bologna, nell’ambito del progetto della regione Emilia-Romagna “Teatro e salute mentale” per “migliorare, attraverso il lavoro in campo teatrale e nella comunicazione, l’autonomia, la qualità della vita e la contrattualità delle persone che soffrono di disturbi psichiatrici”. Specializzata in teatro, l'associazione ha diversi ambiti di lavoro: il teatro di prosa, diretto dal regista Nanni Garella, collabora con Ert e nel 2004 ha vinto il premio Ubu tra i progetti speciali “per il suo lavoro con i disabili mentali sui grandi testi”; il teatro ragazzi, di Elena Baredi e Carlo Maria Rossi, che realizza un corso di formazione professionale biennale in collaborazione con la cooperativa La Baracca – Testoni Ragazzi; il Teatro di Figura e la trasmissione radio Psicoradio, diretta da Cristina Lasagni, sulle frequenze di Radio Città del Capo a Bologna e di Radio Popolare Network sul territorio nazionale.

Un lavoro di inclusione è portato avanti dal 2013 dall'Accademia Arte della diversità – Teatro la Ribalta guidata dal regista Antonio Viganò, “la prima compagnia teatrale professionale costituita da uomini e donne in situazione di 'handicap' che hanno scelto di diventare attori e attrici professionisti”. Il loro ultimo spettacolo, Otello Circus, premiato di recente con un Ubu, è uno dei lavori più commoventi degli ultimi mesi (qui il racconto dello spettacolo su doppiozero). 

 

Un nodo irrisolto è la destinazione di alcuni spazi degli ex manicomi, a rischio speculazione, come sta succedendo all'ex ospedale di Volterra per cui un magnate indiano si è già mostrato interessato per la costruzione di un resort di lusso. Il sindaco Marco Buselli ha però sottolineato che l'urgenza sono al momento le opere che Oreste Fernando Nannetti, internato nella sezione giudiziaria del manicomio tra il 1959 e il 1994, realizzò incidendole con la fibbia della cintura. Si tratta di due graffiti uno lungo 180 metri e alto circa due, l'altro lungo 102 metri e alto 20 centimetri, uno sconvolgente racconto considerato un raro esempio di Art Brut. Sono narrati nel documentario I grafiti della mente di Pier Nello ed Erika Mannoni e in L'osservatorio nucleare del signor Nanof, girato da Paolo Rosa, una produzione Studio Azzurro. 

 

Uno dei graffiti di Oreste Fernando Nanetti.


Sempre Studio Azzurro ha collaborato con l'Asl di Roma1 per la creazione del museo Laboratorio della mente all'interno di alcuni padiglioni abbandonati all'ex manicomio Santa Maria della Pietà: una narrazione per tenere viva la riflessione attorno al tema dell'esclusione sociale. 

A Firenze Chille de la balanza, compagnia di teatro di ricerca fondata a Napoli nel 1973 da Claudio Ascoli, risiede dal 1998 nell'ex manicomio di Firenze San Salvi, per decisione dell’ultimo direttore, il dottor Pellicanò, che volle collegare l’uscita dei “matti” con l’ingresso dell’area dell’ex-manicomio nella città: chiese dunque alla compagnia di stabilirsi in un padiglione dell’ex-ospedale psichiatrico per dar vita a un progetto culturale pluriennale di presidio attivo, San Salvi città aperta.

Anche il camper del progetto Case Matte, che ha girato numerosi ex ospedali psichiatrici di tutta Italia, ha fatto tappa al San Salvi. Il progetto del Teatro Periferico, vincitore del Premio Rete Critica nel 2015, ha avuto “l’obiettivo di stringere legami con gruppi e associazioni impegnati a mantenere viva la memoria di coloro che hanno vissuto all’interno dei manicomi e di aprire una discussione con i cittadini sulla destinazione delle ex-strutture psichiatriche, spesso abbandonate e vandalizzate”. Case Matte è nato intorno allo spettacolo Mombello, che nel 2012 aveva raccolto le storie degli internati e degli operatori dell'ex O.P. Antonini di Limbiate, per ricostruire le condizioni di vita e di lavoro in uno dei maggiori manicomi d’Europa. 

 

L'arte ha un ruolo fondamentale nel processo di avvicinamento tra il mondo della disabilità psichica e quello della “normalità”, se così possiamo definirla. Sono tutti progetti che partono dal basso per rispondere ai bisogni reali di una collettività di persone. C'è un problema e si cerca di risolverlo, come fu allora, nel 1978, per Basaglia nei manicomi di Gorizia e Trieste. L'Italia, che sta esportando nel mondo il “modello Basaglia”, è oggi tra i paesi occidentali in coda alle classifiche per i fondi riservati alla salute mentale, e le attività collaterali sono spesso portate avanti da volontari con progetti a breve termine. Franco Rotelli, collaboratore di Basaglia e uno dei protagonisti della riforma psichiatrica, sottolinea sempre quanto sia importante “non ridurre la malattia mentale alla sola medicalizzazione”: l'arte e il teatro, ieri come oggi, possono essere un valido alleato per la creazione di una nuova comunità, basata sull'inclusione sociale e l'abbattimento di pregiudizio sulle diversità, a favore dell'eccellenza artistica. 

 

Bibliografia:

# Claudio Ascoli (a cura di), Pazzi di libertà. Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia, Pacini editore, 2018;

# Peppe Dell'Acqua, Non ho l’arma che uccide il leone. La vera storia del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni, Edizioni AB Verlag, 2014;

# Paola Manfredi, Mombello. Un'inchiesta teatrale, uno spettacolo, un viaggio, Sensibili alle foglie, 2017;

# Giuliano Scabia, Marco Cavallo. Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura, Edizioni alpha beta Verlag, 2011 (sul libro recensione di Umberto Eco su doppiozero: leggila qui).

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