Foto d'altri tempi
Succede, vagabondando per la rete, di uscire fuori dal rumore giornalistico generale, dal borbottio sul/del presente, e finire a riposare lo sguardo in un progetto vero. Un’idea.
Niente notizie, niente opinioni, niente social network, niente fracasso starnutito a raggiera, solo il tepore di un’idea unica ma forte.
E così accade che finisci in un posto dove l’unica cosa che fanno, ogni giorno, è collezionare la stessa immagine, la stessa foto, la stessa idea, in un unica pubblicazione (chiamiamoli così i siti quando sono belli: come si faceva coi libri). Una dietro l’altra, dearphotograph mette in fila foto di una collezione collaborativa di scatti (doppi) senza tempo. Un’immagine nell’altra. Fuori la cornice del nostro tempo: quel luogo, oggi, fermato lì. E dentro un piccolo tunnel retrivo, lo stesso luogo fermato lì, molto tempo fa. Una specie di cortocircuito visivo, alimentato da tutti.
Vengono in mente gli esperimenti concettuali della fotografia anni ‘70 (Boetti, Vaccari), vengono in mente i collage Dada, o vengono in mente i fotomontaggi fake giornalistici (su tutti, Bin Laden morto). Il gioco è lo stesso: in effetti l’accostamento visivo come passaggio mentale è, banalmente, una tentazione a cui non sappiamo resistere.
Ma di questa pubblicazione rimane una forza in più, perché supera l’operazione meramente speculativo -concettuale assurgendo, quindi, a senso comune. Non le foto mie (d’autore) ma le foto di chiunque. Come se il tempo a cui strappiamo l’istante fotografico non fosse un pensiero singolo, un gesto isolato, ma il crepitare della nostalgia del mondo tutto. E quella sequenza la sequenza di un irrisolto collettivo.
Viene in mente, a guardarle in fila, che quel cortocircuito temporale non è nient’altro che il senso comune della parola fotografia. Il lascito di un’immagine che contempla, nel suo scatto, uno scarto temporale. E in fondo un gesto visivo a cui siamo abituati consegnare, in eterno, la malinconia del nostro presente.