Freud: Italia, o cara
Lettera del 28 febbraio 1936:
Per me […] la bellezza dimora in Italia e nel Mediterraneo
(allo scrittore George Hermann)
Nella primavera del 2009, tra gli scaffali della Library of Congress di Washington D.C., Gerhard Fichtner e Albrecht Hirschmüller si imbattono casualmente in un contenitore mai visto prima con dieci scomparti, ciascuno con un piccolo taccuino. Realizzano in quel momento di aver ritrovato i taccuini tascabili che Sigmund Freud portava con sé durante i suoi viaggi e che fino ad allora nessuno sapeva dove fossero finiti. È a partire da questi preziosi e inediti taccuini che si sviluppa l’importante ricerca di Marina D'Angelo, storica della psicoanalisi che ha affiancato Fichtner e Hirschmüller nell'interpretazione delle parti legate ai viaggi italiani nei taccuini, e che con questo ricchissimo testo, ci fa da guida nell’ Italia freudiana. Che cosa cercava Freud in Italia? che ruolo hanno avuto i suoi viaggi nella sua opera? L'Italia come paesaggio interiore in cui ritrovarsi per simmetria e sensibilità, porterà Freud a ritornarci per venticinque volte alla ricerca infinita di quelle sorgenti legate soprattutto alla bellezza e all’arte in grado di spingerlo a concepire nuove teorie.
Marina D'Angelo segue con molta pazienza e perizia le orme dei percorsi tracciati da Freud nella penisola, usando come orientamento i contenuti nei taccuini inediti, nelle lettere e nell'immenso corpus di opere, “fino a scorgere tra le pagine i pensieri ancora in nuce, spesso anticipatori di teorie sviluppate in seguito, e giungendo a ricostruire la nascita della psicoanalisi.”
Come ci ricorda Nicole Janigro un suo articolo apparso su Doppiozero, Freud scrive che «il pubblico non ha diritto di saperne di più», «né dei miei rapporti personali, né delle mie battaglie, né delle mie delusioni, né dei miei successi». Quello che prevale è il Freud che distrugge le lettere alla fidanzata, perché «tutte le mie personali esperienze non hanno alcun interesse se paragonate ai miei rapporti con questa scienza». A dispetto di tanta prudenza e tante precauzioni anche da parte di tantissimi biografi e storici di professione, allievi devoti come Ernest Jones, i taccuini e le lettere inedite nel volume di Marina D’Angelo, mostrano l’altra faccia di Freud: un uomo che stracciava e bruciava tutto ciò che non desiderava fosse letto da occhi poco affidabili e devoti; enigmatico dalle folgoranti intuizioni mescolate alla lista della spesa, o note sugli orari dei battelli… l’uomo, nella sua interezza e grandezza, si evince soprattutto dai Block Notes, dalle cartoline e dalle piccole note a margine.
Heidegger in una conferenza (Perché i poeti, 1946) scrive che “Ogni cammino corre sempre il rischio di diventare un erramento. Il camminare per queste vie richiede che si sia esercitati alla marcia. Ma l’esercizio esige mestiere […]”. Così fu anche per Freud nel tracciare attraverso i suoi viaggi quel sottilissimo confine tra il piacere e il mistero, tra il desiderio e la frustrazione, tra un eccesso di bellezza e la possibilità di ammirarla e interiorizzarla e nella possibilità di errare consapevole dell’errore e dello sviamento. L’esercizio del viaggio implica tutto questo sistema di legami che, per necessità evolutiva, si devono slegare in una sorta di confine al limite del misterioso e dell’enigmatico per il quale la separazione diventa rapporto, pur rimanendo tale.
“La vita è un viaggio da fare a piedi”, era solito dire Bruce Chatwin, come se il viaggio facesse parte di una dotazione biologica.
Per Freud il viaggio rappresentò la ricerca della bellezza, dell’arte, delle sensazioni e delle percezioni più elementari e di luoghi dove poter sognare di incontrare amici e colleghi. I Viaggi furono possibilità feconde per lavorare sui conflitti più intimi e familiari di un appassionato archeologo che puntò a disseppellire strati di esistenza rimossi o dimenticati. Prima della morte del padre Jacob, Freud vide, dopo la morte del padre, l’arte italiana come strumento elettivo di consolazione al dolore. Egli cercherà di collocare l’arte e la fruizione dell’arte nel quadro complessivo e generale della cultura umana: la dimensione estetica come consolazione, come difesa contro i traumi, le frustrazioni, quando il male di vivere ci ricorda il limite e l’infinità fragilità umana. La funzione dell’arte, sembra sovrapporsi a quella della religione.
Michael Molnar, direttore del Freud Museum e autore di significative pubblicazioni sulla biografia di Freud, scrive che “l’Italia, la ricchezza (culturale e personale), il tempo libero, la serie di fantasie associate ai gessi (“arricchirsi, viaggiare”), allentano le responsabilità familiari, liberandosi del peso del ruolo di padre Sigmund e non più, dopo la morte del padre, di figlio Sigmund.
All’arrivo a Venezia, il 25 agosto1895, Freud si sentì come «stordito dalle nuove impressioni». Cinque cartoline e due biglietti da visita a Martha e la lettera a Fliess del 28 agosto testimoniano lo stato d’animo. Anche Goethe come Freud, (Viaggio in Italia, Mondadori, 2026) scriveva su Venezia e sul libro del destino era dunque scritto alla sua pagina che il 28 settembre 1786, alle cinque di sera secondo la nostra ora, […] Venezia non mi è più una mera parola, il nome vuoto […,] nemico giurato delle vacue sonorità, che fu tante volte motivo d’angoscia.
Per Freud, furono viaggi simbolici consolatori in favore della creatività e della sostenibilità della vita; essi rappresentarono la possibilità di rompere la logorante routine clinica quotidiana con i pazienti. Una sorta di psico-igiene di cui uno psicoanalista ha bisogno per mantenere la necessaria distanza professionale. Attraverso i viaggi, Freud esercitò quell’esercizio paradossale della vicinanza-distanza come formazione di una postura ideale che ogni psicanalista dovrebbe ricercare.
I viaggi in Italia, seppero dimostrare anche la loro efficacia antidepressiva nei periodi più difficili della vita di Freud, come accadde durante l’estenuante stesura di L’interpretazione di sogni.
Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo (Se non posso piegare le potenze superiori, muoverò gli inferi) citazione dal VII libro dell’Eneide che accompagnò Freud per lungo tempo per una psicoanalisi come archeologia della psiche e che utilizzò in L’interpretazione di sogni nel 1899. “Dopo la morte del padre Anchise, Enea scese negli inferi per incontralo e qui lui gli predisse la fondazione e la fama di Roma”. Marina D’Angelo trova analogie convincenti tra Enea e Freud, entrambi senza meta precisa, in balia del proprio destino, in balia della propria vocazione. Entrambi persero il padre in un periodo cruciale della loro vita che permetterà loro di fondare un nuovo regno, un nuovo paradigma. D’angelo ricorda che i quattro sogni romani descritti in L’interpretazione di sogni risalgono all’inverno del 1896-97, esattamente nel periodo in cui morì il padre, sono pervasi di angoscia e di desiderio di vedere Roma. Possiamo pensare al viaggio di Dante, così come quello di Freud spaventati dal sentimento di solitudine che pervade l’inizio di ogni viaggio iniziatico davanti ad una selva oscura come l’ignoto e l’inconscio. La struttura del viaggio iniziatico di Dante, così come quello di Freud, è come se venisse rappresentato dalla graduale presa di coscienza delle varie istanze presenti nella nostra organizzazione psichica: dalle istanze piene di ombre e di fantasmi come quelle che emergono passando dall’Inferno che in Freud sono ritrovabili ad esempio nel saggio Il perturbante (1919) ispirato ad un’esperienza vissuta in Italia come terra del “ritorno del rimosso”; nel Purgatorio come possibilità di unire le diverse parti in noi spesso opposte; nel Paradiso, come possibilità di trascendenza, spiritualità e mistero.
Le visite ad Orvieto diedero l’opportunità a Freud, attraverso l’esperienza diretta con gli affreschi di Luca Signorelli nel Duomo della città, di definire alcuni capisaldi della teoria psicoanalitica. In Psicopatologia della vita quotidiana, si parla del “caso Signorelli” che rappresentò una fondamentale occasione di autoanalisi associato al meccanismo della dimenticanza.
Quale funzione ebbe per Freud la bellezza culturale e paesaggistica del sud? Quale ruolo giocò lo spirito di quei luoghi, così come lo spirito del buon vino nella vita di Freud? con la luce del sud, così come con il nettare che da un primo sorso, ne chiede altri e altri ancora, Freud si curava e si nutriva. Il commento di Ernest Jones è preciso: “Il Sud aveva dalla sua parte il piacere, la serenità e il puro interesse. La sua mollezza, la bellezza, il sole caldo e i cieli azzurri intenso dell’Italia e soprattutto la ricchezza di resti visibili degli stati primitivi dello sviluppo dell’uomo”.
Freud come Dante, ma anche come Josè Saramago che in Viaggio in Portogallo, scrive che il suo continuo vagabondare nel mondo e nella testa, si inoltra nello spazio e nel tempo ed “è esperienza della sua pienezza e della sua fugacità e insieme guerriglia contro quest’ultima, desiderio di trattenere il pomeriggio che fugge e domani non sarà lo stesso, di fermare il tempo o di tenerlo a bada errando nello spazio.”
Saranno i viaggi a Roma, che riuscì a raggiungere dopo molte esitazioni solo nel 1901, ad avere per Freud un ruolo fondamentale nella costruzione del parallelismo tra la città esteriore e la città interiore.
Per Freud conquistare Roma, fu come per Chatwin conquistare la Patagonia: un’amante difficile, un’ammaliatrice che lancia il suo incantesimo, una terra che apparteneva alla fantasia, alla topografia interiore di ogni essere umano; secondo Antonietta e Gerard Haddad e a partire dall’engramma “Amar Italia” che contiene il nome della moglie Martha e della madre Amelia, avrebbe significato superare il padre cadendo nell’immaginario luogo incestuoso. Tantissime le interpretazioni sul versante nevrotico dei vari differimenti di Freud del viaggio a Roma. Per Anzieu rappresentò una componente edipica legata alla madre, per Schorske si trattò di una questione paterna e spigherebbe i rapporti conflittuali tra ebraismo e cattolicesimo, per Marienne Krull, fu la nostalgia di Roma come simbolo della nostalgia di tornare agli anni della sua infanzia a Freuberg come una patria perduta. Marina D’Angelo invita il lettore anzitutto a contestualizzare le interpretazioni alla vita di Freud di quel momento e a spostare l’attenzione dei tanti mancati viaggi a Roma alla luce del rapporto con Fliess; riconducendosi alle interpretazioni di Anzieu, associa i sogni romani alla relazione con Fliess che si presenta come sostituto del padre castratore che gli nega il viaggio verso Roma. Perché il viaggio a Roma fu possibile solo dopo che l’amicizia con Fliess si raffreddò? A parte tutte le plausibili interpretazioni, tutta la vicenda di Roma ha un sapore profondamente nevrotico associato al desiderio inconscio che Freud iniziò ad analizzare dopo la morte del padre Jacob.
Per Freud, L’appagamento del desiderio, diventerà testimonianza religiosa di una scienza capace di indagare l’opera umana dentro una sorta di esotismo psichico Gauguiniano capace di contenere tutto il marasma istintivo e pulsione. Pulsione che diventerà per Freud libera di operare al servizio degli interessi culturali e artistici. Ciò che Freud definì Sublimazione a partire dai Tre saggi sulla teoria sessuale sino al lavoro su Leonardo ponendosi a cavallo tra interpretazioni romanzate e applicazioni scientifiche della psicoanalisi, spiega la personalità dell’artista capace di indagare anziché amare.
Freud partì per Roma insieme a Ferenczi il 14 settembre del 1912, la cosa migliore per lui, scriverà a Martha in quell’occasione, il mio progetto per la vecchiaia è sicuro: non un cottage, ma Roma. Freud aveva già incontrato il Mosè di Michelangelo nel 1901 e nel 1907, ma D’Angelo nella sua ricostruzione dai taccuini ritrovati, scrive che l’incontro con il Mosè del 1912, lo affascinò in un modo completamente diverso. Nascerà nel 1914 in forma anonima un saggio con il titolo Il Mosè di Michelangelo che Freud riconobbe soltanto dici anni più tardi.
Dopo Roma sarà Pompei il modello della città sepolta e paradigma del metodo psicoanalitico. Come scrisse qualche anno prima, nel 1895, nei sui Studi sull’isteria descrivendo il caso di Elisabeth von R. E di Miss Lucy R come tecnica del “dissotterrare la città sepolta”. Marina D’Angelo ricostruisce la storia cronologica delle percezioni e delle sensazioni di Freud e dei suoi compagni di viaggio immaginati e desiderati, come Fliess o come il fratello Alexander. Un’archeologia di un materiale anzitutto sensoriale e percettivo, il Vesuvio fuma molto, gradualmente aumentato; anche gli scritti pionieristici di Freud spesso si associano sincronicamente ad eventi naturali, come ad esempio la prima stesura di Il delirio e I sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen il 24 agosto 1906 coincide con la data dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Freud continuò la stesura del saggio sino al 30 Agosto dove da Lavarone due grandi carrozze lo portarono con tutta la famiglia sul lago di Garda. Sempre estremamente scrupolosa D’Angelo a ricordare la genesi del saggio attraverso gli appunti e le sottolineature trovati a margine della Gradiva, genesi erroneamente attribuita a Jung quando in realtà fu Wilhelm Stekel a suggerire Freud la novella. La novella fu oggetto di studio da parte della società del mercoledi a cui partecipava anche Stekel. Pompei fu ispirazione per tanti artisti a partire da Goethe in Il Viaggio in Italia, di Seume, Madame de Staël, Schiller, Giacomo Leopardi che scrisse La ginestra o il fiore del deserto ai piedi del Vesuvio, ecc. Pompei come Topos che diventa parallelismo tra archeologia e archeologia dell’inconscio dove il nuovo, il vecchio, l’assurdo e l’impresentabile, diventano linguaggio possibile e interpretabile.
Scrive Marina D’Angelo: “Questo è il concetto di Freud: «riscoprire» significa portare alla luce il passato sepolto, inconscio, represso, che attraverso la «riscoperta» acquista un significato diverso, che diventa la base del lavoro analitico attraverso le interpretazioni dell’analista […] che uno debba morire per divenire vivo?”
Lo scritto di Jensen appartiene a quei prodotti culturali che, senza ambiguità, mostrano di possedere una conoscenza spontanea, pertinente ed analitica del funzionamento dei processi inconsci, quei processi che la psicoanalisi ha raggiunto attraverso percorsi diversi. La Gradiva è una fantasia pompeiana, un romanzo in cui l’archeologia figura come un ingrediente di narrazione determinante. Gradiva è il nome di un reperto archeologico, una fanciulla effigiata in un antico bassorilievo. Il romanzo si svolge prevalentemente nella dissepolta città di Pompei. Wilhelm Jensen, ambientando a Pompei i sogni e il delirio del protagonista (Norbert Hanold), si accosta ai tipici prodotti della rimozione cogliendo la vicinanza del processo intrapsichico della rimozione con quell’avvenimento della storia che fu il seppellimento di Pompei. In questo romanzo si anticipano tesi psicoanalitiche relative ai sogni, alle fantasie e ai pensieri deliranti come prodotti mentali provvisti di significato e di scopo; si anticipano concetti tipici del rapporto paziente-analista in un cammino terapeutico che, in questo caso, porterà l’archeologo del romanzo ad abbandonare l’ostinata decifrazione di difficili graffiti a favore di un’apertura verso aspetti affettivi dell’esperienza.
L’arte è pensata come terapia che media tra desiderio e realtà, un regno di mezzo dove l’uomo può soddisfare e realizzare istanze inconsce altrimenti irrealizzabili, inesprimibili, non con-divisibili, pena la marginalità e l’esclusione dal mondo sociale e “civile”. L’inconscio, tuttavia, si fa opera d’arte solo attraverso una trasformazione che ne mitiga l’aspetto urtante, ne cela l’origine personale e offre agli altri, rispettando talune regole estetiche, seducenti premi di piacere…
Il tema del viaggio come ricerca di una geografia interiore e metafora della propria esistenza e della ricerca psicoanalitica nel suo insieme, scrive D’Angelo, “lo dimostra lo scritto Un disturbo della memoria sull’Acropoli (1936) concepito in forma epistolare, e dedicato a Romain Rolland per il suo settantesimo compleanno […] il quasi ottantenne Freud confessò di aver provato “un ardente desiderio di viaggiare e di vedere il mondo già da quando frequentava il ginnasio, e ne interpretò il significato a cui aggiunse l’aspetto analitico: è come se l’essenziale del successo consistesse nel fare più strada del padre e che fosse tuttora proibito volere superare il padre.
Le ceneri di Freud insieme a quelle di Martha nel colombario del Golden Green Crematorium di Londra, sono ospitate da un vaso a campana del III-IV secolo a.C. proveniente dall’Italia meridionale che raffigura la danza di Dioniso con una menade. Forse, più di ogni altra immagine, quest’ultima celebrazione alla vita sa raccogliere la dimensione del viaggio come vino e del grappolo che viene ucciso per trasformarsi in altra forma; dell’Eros, della natura, del concedersi di perdersi, dell’estasi, della spinta vitale e dello straniero, perché la vita è sempre la più straniera di tutte ed è sempre lì ad interpellarci, ma nello stesso tempo è sempre in viaggio per un altrove irraggiungibile.