Piero Camporesi nel ventennale dalla scomparsa / Il corpo, Sant'Agostino e Marilyn Monroe
Via Broccaindosso è un’antica via di Bologna. Che dà a chi la percorre l’idea di infilarsi in un cunicolo stretto e lungo, una sorta di ventre scuro che conduce chissà dove.
Qui abita Piero Camporesi, docente di letteratura italiana all’Università di Bologna, nonché autore di una decina tra saggi e volumi tutti dedicati all’immaginario premoderno, al corpo, al cibo e alla fame. Il luogo – questa via che mima l’ingresso di un ventre e la casa dall’indubbia impronta seicentesca – è il più adatto per incontrare il professor Camporesi.
Negli ultimi mesi sono usciti pressso Garzanti e il Mulino due volumi di questo studioso: Le officine dei sensi (Garzanti), dedicato all’anti cucina dei Padri del Deserto, al latte e alla mela come alimenti simbolici, all’anatomia, e Il paese della fame (Il Mulino), un saggio sul ventre e la fame, che attraversa il paese di Cuccagna, il Carnevale e l’Inferno dantesco.
La scrittura di Camporesi è dotata di grandi capacità immaginative che trasformano questi libri di saggistica in appetitosi viaggi nel passato, attraverso ragioni umane oggi scomparse o eclissate, che tuttavia continuano ad abitare il sottosuolo della nostra immaginazione sociale.
Professore, vogliamo parlare delle diverse concezioni del corpo. Dai suoi libri traspare una drammaticità del corpo in secoli come il ‘500 e il ‘600, secoli che costituiscono un tassello centrale nella formazione della concezione occidentale del corpo. Perché questa drammaticità?
La partita umana si giocava sul corpo e attraverso il corpo. Esso era lo strumento attraverso cui passava la salvezza. Vi era una esasperazione del senso religioso e per questo il corpo divenne il luogo di questa drammaticità.
Ma è solo col ‘600 che inizia questa drammatizzazione?
No, già Agostino e i Padri della Chiesa avevano posto le basi per questa concezione. È il cristianesimo a condizionare il nostro modo di concepire il corpo. Se dovessi consigliare un libro sconvolgente sul corpo consiglierei di leggere Le confessioni di Sant’Agostino. Il ‘500 e il ‘600 non inventano il corpo, anche se è in questi secoli che si struttura la nostra sensibilità.
Il corpo levigato, il corpo patinato di oggi è il rovesciamento della immagine seicentesca?
Il ‘600 è un secolo ambiguo, ha una doppia faccia. Il corpo può essere oggetto di seduzione, ma anche un oggetto di perdizione. In quel secolo si sente l’esigenza di scavare dentro il corpo, per vedere cosa c’è dietro la superficie del corpo. L’ideale della bellezza barocca presuppone anche l’idea di un godimento, è un ideale tentacolare, pieno di trabocchetti, ad esempio olfattivi e auditivi. La voce umana è stata analizzata in quel secolo con un’attenzione che noi abbiamo perduto. Gli uomini barocchi avevano un forte senso del demoniaco. Noi ci godiamo un oggetto, il corpo, senza goderlo però pienamente. Se si toglie il brivido del peccato, la conoscenza della bellezza che cosa diviene? Probabilmente un inerte disegno industriale. Un bel ferro da stiro non può equivalere alla tentazione di un bel corpo. Non le pare?
Probabilmente cambiano gli immaginari sociali.
Provi a innamorarsi di un bell’oggetto. Il feticismo dell’oggetto è sempre esistito, ma rapportato al corpo umano però. L’oggetto possiede analogie e poteri suggestivi che rimandano al corpo. Ma un disegno industriale può essere tanto conturbante? Quali tentazioni può stimolare?
Potrebbe essere subentrato uno spostamento del desiderio umano dal corpo agli oggetti. Questo spiegherebbe perché il corpo è ridotto ad oggetto, a essere una superficie di cui godere e non una interiorità da esplorare, come nel Seicento, che è l’età dell’anatomia per eccellenza, come lei ha mostrato in Le officine dei sensi.
Possibile, ma sono le età di decadenza che inducono questi spostamenti.
Ma nell’età greca, come ha scritto Michel Foucault, il corpo era collegato all’etica. Esistevano statuti del corpo, tabelle del godimento eticamente accettabili. La sessualità era subordinata a un controllo di sé. Non c’era il senso cristiano del peccato, e dunque non erano possibili le “perversioni del corpo”, i godimenti proibiti, la fruizione corpo–oggetto, che è la premessa per il feticismo degli oggetti.
Si trattava di una fisiologia etica del corpo, di un controllo delle forze, di una ergonometria del corpo. Questo è precristiano. E noi non possiamo non dirci cristiani.
Il senso del peccato permane anche oggi?
Restano forti aree nell’uomo moderno. Non credo che la civiltà moderna sia una civiltà che pensa solo al corpo come a un oggetto che va tutelato nei suoi valori intrinseci, nella sua fisicità pura e assoluta. I secoli non sono passati invano. Tuttavia l’eclissi dell’aldilà porta anche alla diminuzione dell’aldiquà. Il corpo diviene un feticcio assoluto quando c’è la possibilità che la partita per l’eternità dell’anima si giochi dentro questo corpo. Quando declinano le speranze e le paure sui destini soprannaturali dell’uomo, c’è una diminuzione dell’attenzione e del fascino di quella corporale macchina che potrebbe essere lo strumento per la ricostruzione di un’altra vita. Nel ‘600 il corpo è una metafora dell’esistenza. Oggi il corpo non è più una metafora.
Può farmi un esempio della scomparsa di questo senso metaforico del corpo?
Provi a pensare a Marilyn Monroe. Le pare che Marilyn sia una metafora drammatica del corpo, che sia una presenza che si risolve tutta in se stessa? Le pare forse che dietro il corpo di Marilyn Monroe ci siano le tentazioni, le fiamme dell’inferno? Il suo corpo è un prodotto di consumo. Si tratta di un corpo simbolo. C’è una bella differenza tra un corpo metaforico e un corpo simbolico anche se un corpo metaforico può avere significati simbolici allusivi.
Lei intende metafora in senso linguistico. La metafora intesa come allacciamento con un altro sistema di idee?
Marilyn è il simbolo che gioca con altri simboli, senza rimandare ad altro che a se stessa. Si resta dentro il sistema delle idee. Non si fuoriesce dal sistema corporale che prevede l’apoteosi dell’oggetto, senza la possibilità di vedere l’oggetto in altra dimensione, che apra prospettive di fruizione non immediata. Si tratta di un corpo fine a se stesso.
È un corpo “usa e getta”?
Non conosco la durata del simbolo Marilyn. Probabilmente essa è più lunga di quella di altri simboli. Tuttavia non induce a viaggi ed esplorazioni verso l’ignoto.
Si è forse perso il senso dell’“ignoto”? Il corpo è tutto conosciuto?
Il discorso va sempre storicizzato. Il Medioevo non conosceva le anatomie e dunque il corpo era un oggetto misterioso. Oggi sappiamo quasi tutto del corpo e la curiosità nei suoi confronti non è più un fatto di massa, un gioco intellettuale di società come in quei secoli.
Oggi la fiaccola della conoscenza è passata alla biologia e alla fisica, alle “scienze dell’invisibile”?
Certo, alla microbiologia, alla fisica delle particelle, in definitiva al mondo del microscopico. È la miniaturizzazione delle conoscenze. Resta l’attenzione all’aspetto superficiale del corpo. Il segreto della fabbrica del mondo non è racchiuso dal corpo ma dalla materia. Il discorso sull’uomo non passa attraverso l’uomo stesso: è un discorso che viene dalla sua periferia, dalle cose, dalla materia. Ma non già dalla materia organizzata e strutturata in un simulacro, che è in fondo l’immagine di Dio. Oggi non si pensa più che il corpo sia l’immagine di Dio.
Che ne pensa della curiosità che si nutre oggi nei confronti del cervello, della mente e dei suoi processi? Non è avvenuto forse un passaggio nei processi sociali e conoscitivi dalla prevalenza del “materiale” – il corpo e i suoi prolungamenti –, a quella dell’“immateriale” – l’intelligenza?
Un tempo c’era la fisiologia del cervello. Attualmente non se ne parla più. Il cervello è un’astrazione. Il discorso sull’intelligenza è un discorso sull’“astratto”. Interessano i meccanismi dell’intelligenza, non quella massa grigia contenuta nella scatola cranica. Non c’è più il portatore del cervello, l’intelligenza è anonima. Vede, il discorso sul corpo è un discorso al tramonto. Si scoprono gli oggetti quando essi non esistono più. Il corpo, inteso come entità concreta, sta morendo. Il puntare sulla non–perdita di energia nella produzione, la creazione di oggetti secondo una logica di funzionalità, la caduta del mestiere pesante e della manualità, il portare l’intelligenza sotto il segno dell’astrazione: tutto questo è la dimostrazione che il corpo individuale scompare.
Allora come spiegare il ritorno del fantasma del corpo malato, come nel caso della psicosi dell’Aids?
Direi che si tratta di un ritorno a stati collettivi magici. Quello che una volta si chiamava il mistero della malattia, del male anonimo, appartenente ad una sfera del divino. Si tratta di una paura antica. La ricaduta è ovviamente sul corpo.
È come se avesse parlato il corpo–così–come–era–e–non–è–più?
Già. Ma anche la paura del nemico misterioso, in un mondo che noi siamo abituati baconianamente a controllare e a progettare, appare “lo sconosciuto”. Inoltre i portatori sono uomini eticamente riprovevoli. La sfera sessuale parla direttamente alla fantasia degli uomini. È proprio una malattia fatta per i sociologi e per i sacerdoti.
In “Reporter”, 12 dicembre 1985. Poi in Piero Camporesi, «Riga», Marcos y Marcos.
Oggi e domani convegno di studio in onore di Piero Camporesi in occasione del ventennale dalla scomparsa: Il “gusto” della ricerca (Bologna, 20 ottobre - Forlì, 21 ottobre 2017).