Internet e media civici
Tra venti o trent’anni del 2011 ricorderemo l’Europa in piena crisi finanziaria, il Nord Africa trasformato dalla Primavera Araba e probabilmente l’Inghilterra scossa dal tumulto dei “London Riots”. Dall’analisi dei tre avvenimenti emerge una linea interpretativa comune: il crescente ricorso alle tecnologie digitali come infrastruttura comunicativa ha agevolato i processi di scambio economico, di organizzazione politica e di rivolta sociale. Svanisce così ogni dubbio sulla effettiva partecipazione delle tecnologie digitali alle pratiche di costruzione del sociale e del politico.
Ciò apre il campo ad un’analisi dell’interrelazione tra i temi del vivere in collettività e della rete come risorsa condivisa, che abbandoni tanto le retoriche celebrative che hanno fatto della Primavera Araba una “Facebook Revolution”, quanto quelle negative legate all’uso dei Blackberry durante i London Riots. Tra l’ottimismo del primo Rheingold (1993) e la delusione di Morozov (2011), si fa quindi spazio la necessità di una comprensione scevra da proclami rivoluzionari, che si interroghi non più sul “se” ma sul “come” le tecnologie digitali partecipino alla costruzione del nostro vivere in comunità.
Un buon punto di partenza per lo sviluppo di una riflessione sul tema è la domanda/provocazione di Vincenzo Moretti: l’uso di Internet ci rende più umani?
Muovendo dalla lettura della polis greca data da Hannah Arendt in Vita Activa (1958), Moretti si chiede: “Se è vero, come pare sia vero, che le nuvole, i dati disponibili, la realtà aumentata grazie alla tecnologia ci permettono di avere più parole (discorso), di fare più cose (azione), di prendere più iniziative, possiamo affermare, e in che senso, che grazie alle macchine possiamo esprimere di più e meglio la nostra umanità?”.
Questa lettura ‘arendtiana’ della vita umana nella società digitalizzata ed in particolare il nodo problematico del rapporto discorso-azione offrono uno stimolo interessante per la comprensione delle relazioni civiche, ed aprono il campo ad un’ulteriore riflessione sul concetto di “azione”. Questa potrà infatti essere interpretata come un’attività in grado di descriversi discorsivamente, che emerge nella compresenza con altre persone: chi agisce dà rilievo alla propria individualità ed alle proprie capacità nel momento in cui si relaziona a ciò che inter-est, ciò “che sta tra le persone e perciò può metterle in relazione e unirle”, al punto che “la maggior parte delle azioni e dei discorsi riguarda questo spazio infra”.
La lente arendtiana permette, dunque, di leggere l’azione come un’attività intrinsecamente sociale, ovvero impossibile senza la presenza dell’altro, e profondamente civica, orientata cioè all’aggregazione come gruppo sociale. Tale strumento concettuale favorisce quindi una riflessione sugli spazi per la crescita della discussione pubblica, che può arricchirsi se viene affiancata dalla ricorsività, dalla capacità di partire dall’infrastruttura abilitante, l’insieme delle tecnologie su cui il consesso sociale si appoggia, per approfondire l’ampio contesto legale, sociale e economico, che ne permette l’esistenza e il miglioramento, come mostrato dall’antropologo Christopher Kelty nella sua riflessione sullo sviluppo di software libero e open source (2008).
Portare l’attenzione sull’infrastruttura abilitante permette di compiere un altro passaggio concettuale, quello della riflessione sugli arrangiamenti istituzionali che regolano l’esistenza dell’infrastruttura stessa. Ispirandosi alla Arendt, Moretti trascura il fatto che la filosofa basasse le sue riflessioni sulle dinamiche proprie dell’antica Grecia, in cui l’esistenza dell’agorà era possibile grazie alla schiavitù, che liberava i maschi greci da buona parte del lavoro necessario alla sussistenza. Chi possa svolgere questo lavoro ora, all’epoca di Internet, e con quali pratiche di sopravvivenza e perpetuazione è un altro dei temi su cui una riflessione è utile.
Recentemente, rifacendosi al lavoro del premio Nobel Elinor Ostrom (2007), Luca De Biase ha ripreso il concetto di commons (beni comuni) come possibile forma di regolazione della rete Internet come infrastruttura abilitante del vivere civico, discutendo la relazione tra l’azione di organizzazioni private e l’infrastruttura stessa.
Va sottolineato come Ostrom abbia elaborato il suo schema interpretativo dei commons come modalità di gestione di risorse alternativa alla gestione privata o statale. Tale alternativa non si propone però come condivisione generalizzata delle risorse per tutta l'umanità, ma configura una tipologia di gestione condivisa all’interno di un gruppo specifico e identificabile, che sceglie una forma di proprietà collettiva istituzionalizzata.
Il concetto di commons necessiterebbe quindi di essere ampliato da una riflessione sui processi di accesso al gruppo sociale formato da coloro che gestiscono collettivamente una risorsa. Sebbene sia utile per comprendere il funzionamento di tali gruppi una volta che si sono formati, quindi, la nozione di commons richiede ancora un approfondimento e una nuova valutazione che sposti la riflessione sui processi di inclusione ed esclusione dai gruppi stessi. Inoltre, una valutazione di Internet come risorsa condivisa rende necessario un approfondimento del contesto istituzionale e sociale all’interno del quale la rete viene coltivata e utilizzata.
Alla luce di questi concetti - l’agire civico come iniziativa basata sul discorrere e Internet (e i suoi sottoinsiemi) come risorse condivise gestibili in maniera collettiva - la più recente interpretazione delle tecnologie Web nella loro relazione con l’impegno civico (espressa dal concetto di media civici, o civic media), si arricchisce di nuove dimensioni.
Con la locuzione civic media, l’istituzione che ne ha proposto l’uso su scala internazionale, il MIT Center for Civic Media, fa riferimento a “ogni forma di comunicazione che rafforza i legami sociali all’interno di una comunità o che crea un forte senso di impegno civico tra i membri della stessa comunità” e sottolinea che “Aiutando a fornire alle persone le competenze necessarie per processare, valutare e agire sulla conoscenza in circolazione, i media civici assicurano la diversità di prospettive e rispetto reciproco necessario per la deliberazione democratica”.
Se collegata al concetto di commons, questa definizione ricostruisce la relazione tra la risorsa oggetto di gestione collettiva e l’infrastruttura che ne abilita la gestione: nei media civici ciò che è oggetto di gestione è il vivere civile in sé, o meglio il processo democratico di formazione delle decisioni, all’interno del quale la collettività compie delle scelte che la riguardano nella sua interezza. È propriamente azione in senso arendtiano, in quanto è ciò che inter-est che diviene oggetto di discorsi, azioni e deliberazioni. Così, i dubbi su chi abbia accesso al processo decisionale lasciano spazio a interrogativi su chi possa essere aiutato ad acquisire le competenze necessarie per prendere parte a questo processo e l’azione diviene leggibile come capacità di innovare, di modificare, l’essere società e collettività.
Quali possono essere, quindi, dei buoni concetti per interpretare la relazione tra il vivere in collettività e l’uso della rete Internet e delle tecnologie digitali?
Partendo dal nostro essere umani nel mondo digitale, è utile interrogarsi sulle modalità di gestione dell’infrastruttura che abilita il nostro vivere in questo contesto, interpretando Internet come una risorsa condivisa gestibile con pratiche collaborative. Sulla base di queste riflessioni, è importante rifarsi al concetto di media civici, recentemente espresso nel dibattito internazionale per riferirsi a tecnologie che permettano un maggiore impegno civico sulla base di una rinnovata capacità di conoscere e discorrere.
I media civici si caratterizzano per voler esplicitamente supportare lo sviluppo dell’essere in società tramite la partecipazione, discorsivamente descritta, delle persone e possono meglio raggiungere i propri risultati se affrontano il nodo irrisolto che emerge dalle riflessioni di Arendt e Ostrom, ovvero il problema dei confini alla partecipazione, dei confini della cittadinanza. In sintesi, i media civici facilitano l’agire civico nel momento in cui aiutano le persone a cambiare la società che popolano, permettendo l’emergere di discorsi diversi che riconoscono caratteristiche di umanità e capacità di agire a chiunque partecipi al vivere sociale.