Jorge Luis Borges, Palermo, 1984
A Palermo. Non, però, nell’ormai irriconoscibile quartiere bonearense di Palermo dove Borges nacque e ha vissuto, ma in Sicilia, dove lo scrittore si era recato per ricevere un premio e per compiere un viaggio in un luogo per lui così ricco di memorie letterarie e di echi spirituali.
Incontro Borges sulla terrazza del suo albergo davanti a un nitido mare. La giornata è radiosa. Lui sembrava bere quella particolare fragranza dell’aria, diceva di sentire che il cielo doveva essere azzurrissimo. Si volse verso il sole, la cui luce ignorava, ma di cui sentiva il calore, e cominciò a declamare: “Dolce color d’oriental zaffiro... Dante, Purgatorio, canto primo”, precisò con un sorriso timido. Il suo amato Dante. La Commedia, che in gran parte conosceva a memoria. Quel verso lo ripeté più volte, assaporandolo. Poi ne citò altri, di D’Annunzio, di Marino, sempre sul colore del cielo. Era la sua maniera di fare omaggio al paese che lo ospitava: recitare i versi dei suoi poeti.
Raramente ho incontrato uno scrittore, un artista che di persona fosse all’altezza del mito che me ne ero fatto. Borges lo era.
Dal giardino l’ho scoperto, seduto dietro la vetrata, immerso in se stesso e lui stesso immerso dentro le immagini riflesse, il volto levato verso il calore del sole e la sua luce. Uno dei ritratti che gli ho fatto in quei giorni e che sono diventati un piccolo libro e per me la testimonianza dell’amicizia con un uomo e uno scrittore meraviglioso e che continua con la moglie Maria Kodama. Molte di queste immagini sono diventate copertine di opere di Borges pubblicate in tutto il mondo. Ne sono orgoglioso. Di questi ritratti parlavamo mentre li facevo. Borgesianamente lo divertiva diventare oggetto di immagini che non avrebbe mai visto.