La buona scuola in doppiozero
Alessandro Banda. Elogio della scuola
Qualcuno pensa che la scuola esista per trasmettere il sapere. Per formare le coscienze. Per instillare nelle giovani menti lo spirito critico. O, adesso, per fornire competenze, dato che competenza è la formula magica della didattica odierna: non più conoscenze, ma competenze; non più sapere, ma saper fare, problem solving.
Magari quel qualcuno di cui sopra pensa anche che la scuola, oltre a tutto il resto, serva soprattutto ad abituare i giovani al principio meritocratico: se studi sei premiato, se risolvi il compito, prendi un buon voto. […] Ma la scuola serve più di ogni altra cosa a bloccare o, per lo meno, a lenire quello che Eliade chiama il terrore della storia.
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Mario Barenghi. Il pasticciaccio brutto della formazione degli insegnanti
La formazione degli insegnanti è un terreno di prova cruciale per il rinnovamento del Paese anche in negativo, perché l’esercizio dell’autorità ha sempre una grande valenza pedagogica. Se la condotta della Pubblica Amministrazione nei confronti dei futuri insegnanti risulta opaca, confusa, contraddittoria, o addirittura scorretta: se dà cioè l’impressione che le regole valgano sì, ma solo per coloro che non hanno la furbizia di eluderle o la forza di cercare di torcerle a proprio vantaggio, ebbene, i nuovi insegnanti riceveranno un imprinting che condizionerà l’intera loro carriera. Il pericolo è che per anni, per decenni, e anche senza rendersene pienamente conto, essi seguitino a trasmettere a generazioni e generazioni di studenti il segno di quella prima, originaria esperienza negativa.
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Marco Salbego. A cosa servono le “competenze”?
L’ossessione per una misurazione oggettiva delle performances scolastiche incontra e sostiene la gestione del curriculum di competenze cui è chiamato a dar prova il giovane discente trasformato in imprenditore di se stesso: all’incrocio della quantificazione della merce culturale e di processi di soggettivazione/assoggettamento, la logica delle competenze rappresenta il volano pedagogico in grado di permettere il passaggio da forme tradizionali di scuola a forme più consone e coerenti con il sistema postfordista di organizzazione della produzione.
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Enrico Manera. Scuola e mondo digitale. Per un uso avvertito delle Tic a scuola
[su Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio 2013]
Spitzer sostiene che la sempre più diffusa esposizione di bambini anche molto piccoli alla visione di programmi televisivi a loro dedicati o all'uso di giochi su tablet o smartphone sia completamente insensata e controproducente; in particolare quando questa sostituisce rapporti educativi ed emotivamente significativi con adulti. Tale fenomeno si riscontra inoltre soprattutto nelle fasce più povere e meno colte della società, dove avviene una maggiore delega ai media digitali di intrattenere la prole, con un effetto di peggioramento della situazione.
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Dino Baldi. Scuola digitale
L’ingresso del digitale, come di tutto il resto, deve essere subordinato a un progetto, al fondo del quale ci sarà la trasmissione e preservazione del paradigma culturale che ci rende quello che siamo (una tradizione, dunque), e anche, è lecito sperarlo, l’educazione a un dialogo critico con la tradizione e col mondo. Questo soprattutto se si intende il digitale in funzione non solo strumentale (e già sarebbe un obiettivo nobile e ambizioso), ma come leva per il rinnovamento dei metodi di insegnamento: un’altra, come si è detto, delle motivazioni a cui viene legata l’introduzione del digitale a scuola.
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Gustavo Pietropolli Charmet. Scuola, ignorare il futuro?
Aiutare i giovani a studiare il futuro per imparare a gestirlo è diverso dall’insegnare loro la storia della cultura e dello sviluppo della nostra specie. Per capire quanto sia essenziale che sentano di avere un comune destino europeo e planetario è necessario che le singole discipline che attualmente dominano la scena della scuola con i loro programmi indipendenti, riconoscano la necessità di ricomporre la conoscenza, superino la frammentazione dell’attuale didattica e si integrino in un nuovo quadro di insieme.
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Francesca Coluzzi. Contro il superfluo
Nessuno si sta occupando di ragionare su come la tecnologia possa essere insegnata, capita e usata nelle scuole. E così la scuola verrà solamente condita di tecnologia per essere in linea con le tendenze della società (mercato) e per parlare ai cosiddetti ʽnativi digitaliʼ.
In questa cornice, sociale e istituzionale, si intrecciano le due vie del pensiero di Casati: la difesa della lettura, come spazio mentale per pensare un mondo diverso; la difesa della scuola, come spazio fisico per avere un punto di vista diverso sulle informazioni che subiamo. È evidente la necessità di riprogettare tanto la situazione di lettura quanto quella di apprendimento.
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Enrico Manera. La valutazione. Conversazione con Girolamo De Michele
«Di fatto, tutto ciò che non è quantificabile e riducibile a numero viene escluso dalla valutazione, e quindi non considerato all’interno del processo: nessun ruolo giocano la capacità di riflessione e di autoriflessione, di correzione meditata dei propri errori, la cooperazione nella risoluzione di problemi, la ricerca di più strategie di risoluzione, la dimensione problematica del sapere e dell’apprendimento».
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Pietro Barbetta. INVALSI: pregiudizi che invalgono
La somministrazione di massa dei Test IQ riguarda la discriminazione delle minoranze attraverso un apparato di distribuzione delle carriere in base a una parola tipicamente Otto-Novecentesca: “intelligenza”. “Intelligenza”, nel Novecento, indica qualcosa che può essere misurato, tecnicamente viene anche chiamata fattore G., ma non è esattamente il punto G. a cui state pensando, è, in qualche modo, il contrario. Quel che viene misurato qui è un modo di pensare, o meglio: la sottomissione al solo modo di pensare che invale.
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Enrico Manera. La scuola raccontata dagli sciacalli. Per un nuovo realismo nella narrazione della scuola
Nella descrizione macchiettistica della scuola che viene fatta propria dai media, ignoranza degli studenti e manìe dei professori divengono il tratto fondamentale di un discorso che, sostituendosi a una realtà molto più complessa e articolata, attacca la funzione educativa senza aver cura di segnalare problemi veri (che ci sono) ma limitandosi alla denigrazione.
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Enrico Manera. Scuola bene comune
Non solo la scuola è in crisi, la crisi a scuola si sente, si vede e si riflette più che altrove, semplicemente perché la società reale (intendo dire, non la sua rappresentazione mediatica e le astrazioni statistiche) passa dalle scuole, abitate da piccoli e giovani cittadini e cittadine che chiedono ogni giorno ragione della frattura tra il mondo ideale che i docenti spiegano e quello che vivono.
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Mauro Portello. Da Tolstoj a Toy Story
Si tratta di “girare la sedia” per assumere una diversa visione prospettica. C’è dell’ottima tecnicalità didattica che nel tempo si è depositata in molte buone prassi della nostra scuola (la primaria innanzitutto), circolano dei manuali fantastici, ma tutto sembra andare sistematicamente a infrangersi contro il muro del quantum, della quantificazione che permea i ragionamenti e le relazioni. Per questo occorre meditare con maggiore franchezza sull’entità e la natura del cambiamento subito dai ragazzi che ci stanno di fronte tutte le mattine.
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Marco Lodoli. Il disincanto degli studenti
In queste scuole di periferia le tragedie si accumulano come legna bagnata che non arde e non scalda, ma fuma e intossica. Tumori, disoccupazione, cirrosi epatica, aborti, droga, incidenti stradali, strozzini, divorzi, risse: tutto s’ammucchia orrendamente, tutto si mette di traverso e oscura il cielo.
A ragazzi così segnati, così distratti dalla vita storta, oggi devo spiegare l’iperbole e la metonimia, Re Sole e Versailles, Foscolo e il Neoclassicismo. E loro già sanno che è tutto inutile, che i posti migliori sono già stati assegnati, e anche quelli meno buoni, e persino quelli in piedi. Hanno già nel sangue la polvere del mondo, il disincanto.
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Andrea Giardina. C’era una volta la scuola serale
Al serale ho cominciato ad intuire quanto sia importante interessarsi davvero alle persone che ti trovi di fronte, trattandole come tali. Individui con delle storie, uniche anche nella loro banalità. Niente di speciale, è ovvio. Ma forse la situazione, il contesto, il numero stesso di allievi più ridotto rispetto a quello dei corsi diurni, mi hanno messo nella condizione di poter cambiare. Ho cominciato così a considerare un ragazzo insufficiente come una persona che ha fallito una prova e non come un soggetto lombrosianamente diverso. Ho cominciato a capire che lo studio non può essere un’attività meccanica da imporre asetticamente; ma soprattutto mi è apparso evidente che se non ero io a creare un interesse nessuno studio sarebbe mai arrivato da nessuna parte.
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Andrea Giardina. Senza scuola
Dalla mia prospettiva “sotterranea” di insegnante di classi serali, ho cercato di capire cosa accade nella testa di un ragazzo che smette. Sicuramente c’entra l’incapacità della scuola di far breccia sull’orizzonte mentale di un adolescente, e i motivi sono tanti, dalle strategie comunicative inadeguate al contesto socio-culturale della famiglia. Molti sono studenti di origine straniera, molti sono studenti refrattari a tutto, attratti più dalla strada che dai libri.
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Marilena Renda. Bambini fragili
Più passano gli anni, più i bambini diventano fragili. Hanno braccia da rondinelle e pelli da piccoli animali in mutazione, dita pulite o dita sporche, lingue blu per le troppe caramelle, tatuaggi a penna nera e rossa sulle mani e gli avambracci, sorelle e fratelli che stanno per nascere, febbri misteriose, dolori nel traghetto da un'ora all'altra. Tra le cose che mancano, sicuramente le aspirine. E una grande stanza in cui calmarsi, prendere fiato, far passare la nebbia.
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Stefano Chiodi. Fine dell’istruzione?
Recuperare il valore rivoluzionario della conoscenza in quanto costruzione delle condizioni per una società più giusta vuol dire allo stesso tempo esaltare lo spazio di libertà, di sperimentazione, di gioco, di rischio, anche, che la scuola deve necessariamente possedere. Bisogna avere il coraggio dell’inattualità: la scuola non può più servire a formare lavoratori che il sistema respinge, ma può formare individui liberi che contribuiscono a cambiare la società.
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Giampiero Frasca. Senza più libri
Voglio soffermarmi sul concetto di sopravvivenza. Su quei progressivi tagli all'esistenza quotidiana che paiono uno stillicidio continuo, mai letale ma progressivo e sfibrante. Le cartucce del toner o i fogli per le fotocopie che, a causa del razionamento, costringono gli insegnanti, soprattutto quelli con più classi, a funambolici dribbling (mi si perdoni la metafora calcistica) per ovviare all'inconveniente. C'è chi si compra i fogli in proprio («giusto!», sbotteranno i più - e sì, è possibile che in un mondo perfetto sia anche giusto), c'è anche, in qualche caso di zelo quasi giansenista, chi si compra una fotocopiatrice per raggiungere l'agognata indipendenza.
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Pietro Ratto. L'urna di Don Bosco. Se Don Bosco dà una mano alla Scuola pubblica
L’urna di Don Bosco, un manichino con la mano destra originale del Santo, sta facendo il giro d’Italia in bara di vetro. Passa di oratorio in chiesa, di basilica in cattedrale. E naturalmente finisce nell’Auditorium di una scuola statale. La mia!
Non riesco a crederci. Da anni lotto per la laicità della scuola pubblica. Meglio dire: da anni riporto sonore sconfitte, in uno Stato come il nostro in cui anche gli atei o i musulmani sotto sotto sono cattolici e l’onestà intellettuale è uccel di bosco. Ma questo è davvero troppo!
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Enrico Manera. Lettere a un/a giovane insegnante
La tecnologia è un mezzo e non un fine ed è un ambiente didattico come altri. Oggi particolarmente importante. La frattura insanabile fra nativi digitali e immigrati gutemberghiani è falsa e sbagliata, crederci crea profonda amarezza e produce sconfitta ineluttabile. Ci sono solo diversi livelli di competenze informatiche, e non cognitive, individuali e non generazionali, facilmente superabili con un po' di applicazione.
Per gli studenti sei l'incarnazione della materia che insegni. La credibilità di Kant, di Ariosto o di Euclide è garantita da te. Deve essere chiaro che dedichi a quello gran parte della tua giornata.
Sii la distanza che metterai tra di loro per tutto il tempo che passerete insieme.
Devi fare in modo che sui cellulari dei tuoi allievi si scrivano haiku e che il loro twitter sia un sistema di smistamento di intelligenza e bellezza.
Lettera a un/a giovane insegnante #1
Lettera a un/a giovane insegnante #2
Lettera a un/a giovane insegnante #3
Lettera a un/a giovane insegnante #4
Lettera a un/a giovane insegnante #5