La cultura a destra due anni dopo
Gossip e shitstorm
Le intemperanze sessiste e misogine di Vittorio Sgarbi e Morgan al MAXXI di Alessandro Giuli. Gli attacchi e gli shitstorm contro Roberto Saviano e Michela Murgia “da viva e da morta”, Antonio Scurati e Luciano Canfora, Christian Greco e Fabio Fazio (solo per citarne alcuni). La polemica contro l'amichettismo. Le gaffes e gli amori del ministro Gennaro Sangiuliano. Le trame sentimental-politiche delle sorelle Meloni.
Soprattutto questo è accaduto nei due anni successivi al trionfo elettorale del 25 settembre 2022, almeno a leggere le cinque puntate dell'inchiesta di ateatro.it, “La politica culturale della destra al governo”, un monitoraggio basato sulle notizie diffuse dai siti istituzionali e dai principali organi di stampa.
Se l'agenda viene monopolizzata dai pettegolezzi e dal dibattito sulle poltrone, le ipotesi sono due: la politica culturale del governo non esiste, oppure questo cicaleccio è un abile diversivo per distrarre dai reali obiettivi.
Per ora, l'unica certezza è che i Fratelli, le Sorelle e i Cognati d'Italia hanno conquistato l'egemonia nel campionato del gossip, azzerando la concorrenza. La sciagurata vicenda Sangiuliano ha evidenziato la permeabilità e la vulnerabilità del Governo. Fino ai 16 imbarazzanti minuti di piagnisteo del ministro al Tg1 di prima serata, il 4 settembre 2024, che hanno solo ritardato le sue dimissioni di qualche ora.
La caccia alla poltrona
“Egemonia” era un marchio registrato della sinistra. La nuova destra l'ha espropriato ed è diventato una vera ossessione, il ritornello nelle interviste e nelle iniziative pubbliche. Da “Controegemonia”, il “bollettino editoriale di Fratelli d'Italia” lanciato nel dicembre 2022, fino al convegno “Da Gramsci a Gentile. Esiste l’egemonia culturale?”, organizzato dalla Fondazione AN il 24 settembre 2024. A dare la linea, il pamphlet di Alessandro Giuli, Gramsci è vivo. Sillabario per un'egemonia contemporanea, pubblicato da Rizzoli all'inizio del 2024, quando l'autore non era ancora ministro della Cultura.
Non era l'alluvione di pettegolezzi social a cui aspiravano Vittorio Sgarbi e Francesco Giubilei, quando nel pieno della campagna elettorale scrivevano che “la sinistra, applicando il concetto gramsciano di egemonia culturale, si è impossessata del tema della cultura attraverso una capillare occupazione degli spazi a tutti i livelli nominando persone vicine al mondo progressista” (Vittorio Sgarbi e Francesco Giubilei, La cultura non è del PD. Il centrodestra ci punti partendo dai candidati, “Corriere della Sera”, 13 agosto 2022).
La corsa alle poltrone è partita subito, anche in ambito culturale, puntando ai ruoli apicali, a cominciare dalla Rai, “la prima azienda culturale del paese”. Quando sono all'opposizione, tutte le forze politiche vogliono una Rai indipendente e autorevole, ma appena possono i partiti posizionano i loro commissari politici. Compresa la destra: prima di essere ministro, Gennaro Sangiuliano è stato vicedirettore del Tg1 dal 2009 al 2018 e direttore del Tg2 dal 2018 al 2022.
I beniamini
Con la sistematica applicazione dello spoil system, il governo di destra ha piazzato ai vertici di importanti istituzioni i “soliti noti” Luca De Fusco e Giuseppe Di Pasquale, Pietrangelo Buttafuoco e Luca Beatrice, oltre a varie mezze figure in ruoli di contorno, premiate soprattutto per fedeltà e/o amicizia. Ha imposto in tv un fuoriclasse come Pino Insegno. Ha dato un ruolo da primadonna alla new entry Beatrice Venezi. Di molti di loro colpisce la scarsa notorietà internazionale: in un mondo e in una cultura globalizzati, questo implica orizzonti ristretti e scarse relazioni. A questo provincialismo corrisponde l'insofferenza per i direttori e i sovrintendenti “stranieri” (salvo poi candidare a sindaco di Firenze l'ex direttore degli Uffizi, il tedesco Eike Schmidt).
Per evitare problemi, la caccia alla poltrona di vertice è stata accompagnata dall'occupazione (o dallo smantellamento) di vari organi di controllo e consultivi, al Ministero e nelle varie istituzioni. Dove proprio non era possibile imporre i propri candidati, la soluzione (a spese dei cittadini) è la moltiplicazione delle poltrone: vedi la riforma del Ministero della Cultura, con la creazione di quattro Dipartimenti al di sopra delle Direzioni Generali, passate nell'occasione da 11 a 13; o lo sdoppiamento del vertice al Teatro di Roma e il tentativo di resuscitare al Piccolo Teatro la figura del “segretario generale” (con un ruolo di fatto da commissario politico).
La scorpacciata è stata giustificata con il vittimismo degli esclusi. È una distorsione della realtà. Fino al 1994 il patto costituzionale antifascista aveva escluso il Movimento Sociale Italiano dal “manuale Cencelli”, che regolava scientificamente la spartizione delle cariche tra la DC (partito di maggioranza relativa) e le altre forze politiche di centro e di sinistra. In campo culturale, questo consociativismo (che rifletteva la logica proporzionale del sistema elettorale) tendeva a smussare estremismi e provocazioni, per evitare ogni scandalo o problema. Il risultato era una “cultura di regime” sonnacchiosa e tendenzialmente conservatrice, che in fondo non piaceva a nessuno e non dispiaceva a nessuno, salvo qualche inguaribile “estremista”.
Oggi la destra, che applica il principio maggioritario a tutti i livelli, vuole sfondare il “soffitto di cristallo”, assegnandosi i vertici di quelli che considera i baluardi della cultura di sinistra. Il Piccolo Teatro e la Biennale diventano fortini da assediare ed espugnare. Anche se quel soffitto è crollato da tempo, e la cultura di sinistra oggi appare appannata e confusa.
Drive In oppure Il signore degli anelli?
Nel 1994, grazie a Silvio Berlusconi, la pregiudiziale antifascista era caduta e la destra post-fascista di Gianfranco Fini era entrata al governo, portando in dote Giorgia Meloni, ministro per la Gioventù dal 2008 al 2011 (il ministro più giovane della storia della Repubblica).
I voti della destra sono stati determinanti per le vittorie elettorali del Polo delle Libertà, ma la linea la dettava Berlusconi, che dell'egemonia culturale aveva un'idea precisa: non sarebbe certo arrivata dalle direzioni dei teatri lirici o dei musei, da sempre frequentati da un'élite di intellettuali spocchiosi, ma dalla televisione e dal suo appeal nazional-popolare.
Alla destra telecratica l'investimento in un settore obsoleto appariva uno spreco: “Con la cultura non si mangia”, avrebbe detto un celebre ministro dell'Economia (che poi sostenne di non aver mai pronunciato quella frase).
Il complotto
Il partito fondato da Giorgia Meloni è esploso in meno di un decennio, passando dal 2% dei voti alle politiche del 2013 al 26% dei voti nel 2022. Meloni è stata finora l'ultima vincitrice della lotteria dei leader populisti acclamati dal voto degli italiani, da Berlusconi a Salvini, da Renzi al ticket Grillo-Conte, rottamatori destinati alla rottamazione non appena le loro sparate elettorali si sono dissolte.
Il vittimismo degli intellettuali di destra appare una strategia retorica, radicata in un'esperienza che nasce da una storia politica minoritaria e marginale. Nessuno ha perseguitato gli esponenti di FdI, che quando ne hanno avuto l'occasione hanno diretto importanti istituzioni culturali (senza esiti particolarmente significativi).
In mancanza di nomi credibili, lo stakanovista Sgarbi si era ritrovato a gestire una dozzina di cariche, finché non è arrivato il licenziamento da sottosegretario (il secondo in carriera) per conflitti d'interesse e protagonismo esibizionista. Impossibile esercitare l'egemonia, se manca il personale qualificato e non si riescono a cooptare altre figure apicali sulla base del merito e delle competenze.
Ma l'occupazione delle poltrone può anche diventare una trappola, visto che per fare una politica culturale servono prima di tutto le idee, come ha notato Alberto Mattioli. Se i riferimenti culturali restano Evola, Prezzolini e Gentile, se l'ideologia riecheggia “l'eterna lotta tra il Bene e il Male” (e dunque tra Noi e Loro) illustrata da favole come Il signore degli Anelli e La storia infinita, se lo sguardo è sempre rivolto al passato, risulta impossibile affrontare le sfide del XXI secolo in una chiave evolutiva e non regressiva.
Oltretutto, parlare di egemonia significa continuare a concepire la cultura come veicolo di indottrinamento ideologico, più o meno esplicito, in una chiave ancora novecentesca (basti guardare ad alcuni dei propositi del ministro dell'Educazione e del Merito Valditara), senza tener conto dei mutamenti avvenuti nel mondo della comunicazione. L'unico risultato che può ottenere questa impostazione è la polarizzazione di posizioni contrapposte. Nell'universo social così come si è configurato, l'unica strategia comunicativa efficace per imporre il “regno del Bene” (al di là di ogni consapevolezza e spirito critico) è usare il cattivismo, con raffiche di fake news e attacchi ad personam, querele intimidatorie e provocazioni sopra le righe, spesso destinate a esplodere come bolle di sapone. Ma è proprio questo cascame, fatto di insulti, gossip e bufale, che detta l'agenda e impone il mood, lasciando ai troll politici il compito di lanciare ballon d'essai per vedere fin dove ci si può spingere senza rischiare l'impopolarità.
Oltre la destra e la sinistra?
Secondo uno dei mantra della destra post-ideologica, le categorie “destra” e “sinistra” nella società contemporanea non hanno più senso.
Vanno in questa ottica gli onori resi a Gramsci, vittima comunista della repressione mussoliniana (mentre Giacomo Matteotti pare irrecuperabile...). Celebrare Gramsci giustifica l'inclusione nel “Pantheon degli Italiani” di fascisti conclamati come Giovanni Gentile (vittima di “assassini comunisti”) e Tommaso Marinetti, e magari di Julius Evola, oltre che di Giorgio Almirante, sostenitore delle leggi razziali e tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, che la destra continua a considerare un padre nobile. Se Gramsci non basta, ecco Giorgia Meloni rendere devoto omaggio alla mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” al Mattatoio di Roma.
Ragazzate
La necessità di accreditarsi ecumenicamente come depositari del patrimonio della nazione si scontra però con l'ambizione egemonica di una destra conservatrice e radicale. L'ansia di pacificazione si incrina non appena entrano in gioco i rapporti con il fascismo storico e con i gruppi neofascisti che a partire dagli anni Sessanta hanno affiancato la storia del Movimento Sociale e della sue filiazioni, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, da Terza Posizione a Casa Pound, solo per citare i più noti, per non parlare della contiguità con personaggi come Massimo Carminati o Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, gli antieroi della “terra di mezzo” (espressione rubata a Tolkien) tra politica, criminalità comune e tifoseria organizzata.
Per la nuova destra, è un insuperabile nodo nevrotico. Non appena si incrina la patina perbenista che dovrebbe renderla credibile, ecco spuntare i saluti fascisti e le divise naziste (“goliardate innocenti”, “era tanto tempo fa”), il razzismo e l'antisemitismo (“solo ragazzate”, “adesso li espelliamo”), le nostalgie coloniali (magari con il logo di “L'Aquila Capitale della Cultura 2026”), quando non entrano in azione le squadracce di picchiatori (“ma quello ci aveva provocato”). Ogni volta, la prima reazione è gridare al complotto e attaccare i giornalisti che fanno il loro mestiere perché “sono scorretti” e/o “se la sono cercata” (nel frattempo l'Italia retrocede nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa e nel report del Consiglio d'Europa Press Freedom in Europe).
Il rimosso continua a riemergere: vedi i 7 milioni stanziati di recente (con sostegno del PD) per celebrare i cent'anni di Latina, che in realtà il Duce nel 1932 aveva battezzato “Littoria”.
Il culmine del revisionismo del ministro Sangiuliano, dopo l'omaggio a Gentile, avrebbe dovuto essere la mostra che “sdogana” il futurismo, in programma alla Galleria Nazionale di Roma per l'ottobre 2024, curata da Gabriele Simongini (che peraltro non è un esperto di futurismo e non ha mai coordinato progetti di questa portata), affiancato da un nutrito gruppo di consulenti tra cui primeggia Federico Palmaroli, ovvero Osho, il comico di riferimento di Giorgia Meloni. Al di là delle polemiche che stanno accompagnando l'allestimento, il movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti (irriducibile fascista fino all'ultimo) non è certo stato rimosso dalla cultura italiana: è stato rivisitato negli ultimi decenni da diverse grandi mostre, da “Futurismo & Futurismi” a Palazzo Grassi a Venezia nel 1986, a “Futurismo 1909-2009” a Palazzo Reale a Milano, in occasione del centenario del manifesto pubblicato su “Le Figaro”. I conti con il futurismo la cultura italiana li ha fatti da tempo.
Le riforme annunciate
La linea Sangiuliano, per quel poco che è riuscito a fare, si è concentrata su due obiettivi prioritari.
Il primo è stato “fare cassa” grazie al “petrolio degli italiani”. Lo ha fatto con una certa efficacia, vista la rapida compilazione di regole e tariffari per l'affitto delle sale e l'utilizzo delle immagini. Assai meno efficace il Ministero del Turismo, con la sventurata campagna “Open To Meraviglia”.
Peraltro la trappola dell'uso improprio del patrimonio è sempre in agguato. Gli spazi culturali possono essere affittati a tutti, indiscriminatamente? Compreso il cortile di Brera per l'“Overskin Anniversary” dell'Estetista Cinica? Anche il Teatro Grande di Pompei per la festa di compleanno di Madonna? Se è oltraggioso riprodurre il grazioso pene del David di Michelangelo su grembiuli da cucina e sui boxer uomo, è lecito trasformare la Venere di Botticelli in una pizzaiola? Anche perché la pizza Margherita l'hanno inventata solo qualche secolo più tardi, e la Firenze di Botticelli non è la Napoli della Pizzeria Ciro... Non è un problema di censura, ma di coerenza.
Il secondo cavallo di battaglia è stato l'attacco agli “sprechi” e alle “truffe” di alcune misure “decise da Franceschini”, come la 18App e il Tax Credit per il Cinema, due provvedimenti che sono oggetto di riforme che rischiano di svuotarle di senso e di efficacia (senza peraltro eliminare le storture denunciate e causando la feroce reazione delle categorie interessate, editori e librai e produttori cinematografici). Sulle politiche culturali della sinistra e del ministro Franceschini vedi: Franceschini: con la cultura si mangia?)
Nel campo dello spettacolo, il ministro Sangiuliano e i suoi sottosegretari hanno annunciato, oltre alla riforma del TaxCredit per il cinema, altre misure, dai decreti attuativi del Codice dello Spettacolo (atteso da decenni) alle misure su lavoro e welfare. Questi tentativi si sono scontrati con la complessità della materia, con la scarsa conoscenza del settore e dunque con la resistenza delle categorie interessate (frutto da un lato di difese corporative ma anche di una maggiore competenza specifica, in un settore fragile e delicato dove un piccolo cambiamento rischia di avere conseguenze impreviste e devastanti). Per non parlare della legge frettolosa e velleitaria voluta dall'onorevole Mollicone (presidente della Commissione Cultura), che avrebbe voluto impataccare i teatri comunali con l'etichetta di “monumento nazionale”. Senza dimenticare che la cronica mancanza di risorse rende qualunque riforma una truffa, o peggio.
Il corpo delle donne
Oltre al rapporto con il fascismo e il neofascismo, c'è una seconda cartina di tornasole che misura il sentiment della politica culturale della destra: è la guerra che si combatte sul corpo delle donne, a cominciare dal quello di Giorgia, donna, madre e cristiana.
I segnali sono rivelatori. Bastino le Olimpiadi di Parigi, con le fake news contro la pugile algerina Imane Khelif e le annotazioni sui “tratti somatici” delle pallavoliste Paola Enogu e Miriam Sylla, due donne belle e potenti che sono state attaccate con una violenza che difficilmente aveva colpito in passato gli atleti maschi. Gli attacchi a Elodie, che si può spogliare ma non può pensare (e soprattutto non deve dire quello che pensa). Come contrappunto, ecco Beatrice Venezi e Rossella Brescia perfette testimonial per prodotti “bellicapelli”...
La battaglia per l'egemonia culturale non si combatte soltanto nei musei e nei teatri, ma anche dal parrucchiere e nelle palestre. Insomma, nella guerra del gossip.
Il futuro della cultura
In questi due anni, al di là delle aspirazioni egemoniche di Fratelli d'Italia è mancata una visione, che è difficile da raggiungere anche perché all'interno della destra si agitano diverse anime, in conflitto tra loro (vedi, sempre su "Doppiozero": Destra senza cultura e con poltrone).
Queste linee contrastanti emergono, oltre che dalle rivalità anche personali tra i politici, anche dall'analisi della stampa schierata a destra. Alcuni degli scoop più clamorosi non sono arrivati da “Repubblica” o dal “Fatto Quotidiano”, ma dagli insider del “Foglio”. Il colpo più letale contro l'amico Gennaro l'ha sferrato la lettera aperta di Mario Giordano su “La Verità”.
Un tecnofascismo social?
Però il dubbio resta. Forse Littoria-Latina e le mostre vintage del ministro Sangiuliano (Tolkien e Prezzolini, Gentile e il futurismo...) è folklore. La vocazione pedagogica sbandierata dai vari ministri e l'assalto alle poltrone sono un diversivo per tener occupata l'opposizione.
Il 16 dicembre 2023 Elon Musk, il proprietario di X (ovvero Twitter), che Donald Trump vorrebbe come consulente speciale della sua seconda presidenza, è stato la star di Atreju, accolto da una standing ovation. Il 23 settembre 2024 a New York lo stesso Musk, il secondo uomo più ricco del mondo (dopo Bernard Arnault e prima di Jeff Bezos), ha avuto l'onore di consegnare a Giorgia Meloni il prestigioso Global Citizen Award, con cui l'Atlantic Council premia “i leader di tutto il mondo che hanno dato contributi eccezionali e distintivi al rafforzamento delle relazioni transatlantiche” e “celebra chi incarna il concetto di cittadinanza globale”.
E se il volto postmoderno dell'egemonia culturale fosse il tecnofascismo social? Speriamo che nei prossimi anni la politica culturale del nostro governo smentisca questa ipotesi.