Le voci del suq
Potrebbero mai il Gran Bazar di Istanbul, la Boqueria a Barcellona, la Vucciria di Palermo, il mercato di Campo de’ Fiori a Roma essere adeguatamente raccontati solo per parole e per immagini? Pur nella differenza di luoghi, genere, storia, pur scegliendo un giorno e una stagione dove tutto ciò che è turistico miracolosamente scompare, qualsiasi racconto e descrizione sarebbe sempre un surrogato, solo una superficiale approssimativa riproduzione.
L’etimologia, disciplina che solo apparentemente sembra lontana dalle nostre vite, può venire in soccorso. Mercato deriverebbe da mercari (ciò che è comprato) ma anche da merere, guadagnare, meritare.
In ambe le declinazioni il significato riporta allo scambio e quindi all’incontro tra chi acquista e chi cede un bene; inevitabilmente e più in generale il mercato deve essere sempre stato un luogo di incontro.
La stessa cosa si ripete, a dimostrazione di una sua intrinseca ragione di essere, in altre aree linguistiche; in arabo il suq è infatti il mercato e già in epoca preislamica e nella cultura nomade dei beduini, quel termine era sinonimo di luogo d’incontro.
Ecco sfogliando e leggendo il libro Le voci del Suq (curato da Giulia Alonso e Oliviero Ponte di Pino con Alberto Lasso e Carla Peirolero, edizioni Altraeconomia 2023), per celebrare il venticinquennale del Suq di Genova il pensiero è stato quello che esprimevo all’inizio. Per quanto siano presenti – attraverso “parole chiave” inanellate in ordine alfabetico – le voci e le testimonianze di molti di coloro che in questi anni hanno reso il Suq un appuntamento fisso del panorama culturale genovese, quelle voci e quei racconti possono solo restituire un’approssimativa riproduzione del festival.
Tra merci e sapori, tra teatro, concerti, incontri e conferenze, da venticinque anni il Suq di Genova per circa due settimane segna un appuntamento nell’estate genovese e non solo. Una manifestazione tra cibo e parole – non è questa l’alchimia di ogni vero incontro? – con il dialogo e il confronto culturale come orizzonte generale.
È stato chiesto a Carla Peirolero (vera anima del Suq e ideatrice insieme a Valentina Arcuri del progetto originario) Come mai un’attrice di teatro si è messa a fare l’imprenditrice di un’iniziativa di questo tipo? La risposta era stata ed è un programma ed insieme una dichiarazione d’intenti: “È stata la ribellione a un certo tipo di teatro convenzionale, chiuso nelle sale con le loro poltroncine rosse e pubblico solo “bianco”. Continuo a pensare che il teatro sia uno strumento meraviglioso, di incontro tra pubblico e artisti…di rappresentazione della realtà e del nostro vissuto… ma avvertivo un certo scollamento, si dialogava con un’élite non con tutti … nessun contatto con la popolazione che si incontrava girando per le strade e i caruggi di Genova”.
Difficile peraltro immaginare il Suq in un posto diverso da Genova, forse solo a Napoli e Palermo potrebbe essere simile, perché è da luoghi così che è sempre stato più facile vedere o almeno immaginare il mondo. Tutte città di mare e di porto, lì dove il Suq di Genova va in scena in una piazza che quasi lambisce il mare e dentro il Porto Antico: lambisce il mare e la storia profonda della città, una sua innegabile vocazione.
Una vocazione che Friedrich Nietzsche quasi a fine Ottocento ben percepiva nel suo errare per i saliscendi delle strade genovesi dalla collina dove abitava e per i vicoli intorno al porto : “qui, a ogni angolo di strada, trovi un uomo che sta per se stesso, che conosce il mare, l’avventura e l’Oriente, un uomo … che misura tutto il già costituito e già antico con l’invidia nello sguardo: egli vorrebbe, con una mirabile sottigliezza della fantasia, dare ancora una volta nuove fondamenta a tutto questo, almeno nel pensiero, sopra posarvi la mano e dentro il suo intendimento”.
Il termine porto del resto ha una sua significativa ed evocativa etimologia, è infatti affine a passaggio, a porta; anch’esso dunque luogo di transito, di merci e d’incontro. Negli anni Settanta, quando appena adolescente scendevo con pochi amici nel centro storico fino a Via del Campo – la via resa immortale da Fabrizio De André – Via Gramsci, Via Prè non era solo il fascino del proibito che andavamo a cercare; ora so che la vista e l’incontro – per quanto superficiale – di un’altra umanità era il nucleo di quel fascino e di quello che inconsapevolmente andavamo cercando. Nei vicoli e in sottoripa – i portici antistanti al porto antico – potevamo trovarci davanti i neri americani in libera uscita nella loro divisa della US Navy, i cinesi dei loro primissimi ristoranti, i contrabbandieri di sigarette napoletani, i venditori ambulanti provenienti dal Marocco, le snelle bellezze delle donne etiopi ed eritree in cerca di una miglior fortuna come domestiche, nordici suonatori di strumenti antichi finiti chissà come a Genova e mai ripartiti. Un’umanità varia, improvvisata e imprevedibile è stata forse la mia prima educazione alla complessità.
Naturalmente la complessità suggerita dalla varietà biologica e insieme quella della cultura, della lingua, dell’abbigliamento, dell’aspetto, ma appena dietro è stata forse la prima educazione reale – non imparata sui libri o a scuola – alla complessità della società, alla sua ricchezza, alle sue opportunità e ai suoi problemi.
Proprio in questi giorni è uscito il cinquantasettesimo rapporto CENSIS, annuale ritratto della nostra società e strumento forse indispensabile per comprendervi le tendenze in atto. Nella presentazione del rapporto fatta dall’Istituto “viene delineato il ritratto di una società di sonnambuli, ciechi dinanzi ai presagi”.
Ecco, comunque la si pensi, per una società sostanzialmente passiva e alle prese con spinte emotive di vario genere, la condizione di sonnambulismo non è certo quella ideale per affrontare e farsi carico della complessità di tutto il reale che abbiamo di fronte. Aldilà delle sigle e dei temi che ogni anno affronta, credo sia soprattutto questo che il Suq di Genova ha fatto per venticinque anni; tra musica, conferenze, cucine esotiche, merci colorate, teatro e la parola in tutte le sue forme; è stato soprattutto un’educazione alla complessità, è stato lo sforzo di leggere il presente e il tentativo di interpretare l’immediato futuro.
Venticinque anni peraltro sono il tempo di una generazione e Genova non è più la stessa del 1999; lentamente a partire dal 1992 anno delle Colombiadi e dell’apertura dell’acquario più grande d’Europa si è trasformata in una città turistica. Lentamente fino a qualche anno fa, improvvisamente negli ultimi cinque sei anni, quando il turismo crocieristico, internazionale e industriale – questo ormai è il turismo quasi ovunque – hanno scoperto Genova come città iconica. Sono soprattutto i luoghi in qualche modo percepiti come “unici”, iconici appunto che attirano i turisti; le Cinque Terre e Genova con il suo centro storico medievale più grande d’Europa sono dunque diventati tali agli occhi del mondo. Oggi non riesco più, come ancora pochi anni fa, a sedermi in uno dei tanti caffè nei pressi di sottoripa, senza avere la sensazione che la cameriera dei tavoli esterni veda in me solo l’ennesimo turista. Genova non è più la stessa così come il mondo è molto diverso dal 1999; il drammatico acuirsi di tensioni economiche, sociali, ecologiche, religiose su larga scala hanno presto spazzato via le speranze di inizio millennio e resa precaria, anche alle nostre latitudini, la sensibilità del vivere.
Comunque sia, anche il prossimo anno, dentro il porto, nella piazza che lambisce il mare, il Suq aprirà le sue porte accogliendo migliaia di visitatori che cercano l’incontro e la curiosità, che rifiutano ogni semplificazione, che non hanno risposte predeterminate ma le cercano anche attraverso i sensi, il cibo e la parola, primordiali strumenti attraverso i quali abbiamo sempre cercato di comprendere ed esplorare il mondo che avevamo davanti.