L'invenzione della spiaggia
“Per quest’anno non cambiare/ stessa spiaggia e stesso mare”, canta Mina. Eppure, pur essendo un sistema chiuso, come dicono i geologi marini, la spiaggia non è mai la stessa, per quanto ci sembri sempre uguale. Sensibili all’azione delle forze agenti su di esse – onde, venti, correnti – le spiagge “sono depositi provvisori di materiale che prima o poi si rimetterà in moto o lungo la costa o alternativamente da e verso il mare”, spiega Willard Bascom ingegnere minerario, studioso di onde. Si tratta infatti di “eserciti inquieti e mutevoli di particelle di sabbia in moto perenne”. I granelli pesano relativamente poco e non serve molta energia per sollevarli e trasportarli. Del resto, la riva, il litorale, la spiaggia, il bagnasciuga, la battigia, che dir si voglia, è una zona di confine dove s’incontrano la Terra e il suo continente più vasto: il Mare.
Bascom sostiene che su un litorale sabbioso si abbattono ogni giorno non meno di 8.000 onde di varia dimensione e entità, così un granello di sabbia che si sposta di un paio di millimetri per onda può migrare anche di venti metri in un giorno. Queste descrizioni dei movimenti marini che cambiano il profilo delle spiagge in modo lento ma inesorabile, se non sono guardate da distanza con occhio scientifico, rendono ragione del nervosismo del signor Palomar che compie le sue osservazioni su una battigia tirrenica tra onde, seni nudi e altri eventi inafferrabili.
L’arenile su cui ci sdraiamo in cerca di sole, aria, acqua e soprattutto quiete e riposo, in realtà è un luogo caotico dove continue movimentazioni di porzioni del suolo avvengono come se la creazione fosse un evento continuo ed invisibile. Sotto i nostri piedi tutto sembrerebbe fermo, dallo strato che calpestiamo, composto da sabbia fine, grossa o media (da 0,07 a 5 mm) oppure da sassi di ghiaia (da 5 a 76 mm), per non parlare dei ciottoli e dei massi, fino ad arrivare agli scogli. Questa sensazione di trovarsi in una zona di confine, in un luogo ibrido, che partecipa di due parti contemporaneamente, è avvalorata da una evidente sensazione d’ambiguità.
La spiaggia è stata per lungo tempo, come spiega Luca Bani in La prova dell’anima, “lo spazio della paura, del pericolo e dell’ignoto, ma anche del desiderio, dell’attrazione verso il mistero e l’avventura contrapposti alla banale normalità della vita quotidiana”. Scacciati dal litorale i lavoratori del mare, nell’Ottocento la borghesia ha cominciato a frequentare le rive del mare, le spiagge sabbiose a Nord come a Sud, in Europa come in America, ovunque veniva superata via via la soglia di timore verso il mare, entità sconosciuta e misteriosa, temibile e ignota. La spiaggia è entrata a vele spiegate nella narrativa europea, e non solo, pur restando in ogni caso una frontiera, concetto che ampia quello più ristretto di confine. Gli eroi di racconti e romanzi che s’avventurano sulla riva del mare devono confrontarsi con un “regno vago e indistinto” nel quale si deve abbandonare la sicurezza che accompagna la vita sulla terraferma. Per dirla con Freud, la spiaggia è un perturbante.
Come ha scritto Jules Michelet, in quello che resta ancora oggi uno dei più bei libri sul regno fluttuante, Il mare (1861), il litorale è lo spazio reale ed immaginario in cui l’individuo si confronta e si scontra con il regno senza fine dell’acqua e dell’aria: uno spazio di sogno in cui si passa dalla massima empatia al terrore. Un Balzac più romantico che realista ne ha fatto un luogo in cui confinare l’incerto. In un suo racconto, Il figlio maledetto (1836), narra la vicenda di Etienne. Figlio di un conte, nato nel castello in riva al mare, perché sospettato d’essere un illegittimo è esiliato dal padre sulla spiaggia sottostante il maniero, così finisce per stabilire un rapporto simbiotico con il mare stesso e con la madre. Michelet, dal canto suo, ci offre l’immagine della spiaggia addomesticata nell’epoca in cui il litorale sabbioso comincia a diventare spazio di villeggiatura per l’impiegato, il commerciante e la famiglia in generale: “Hanno preso possesso dell’Oceano, e si compiacciono di offrirlo”.
Il mare rafforza il corpo e i bagni combattono le perniciose malattie del respiro. Si staziona sul mare come mostrano le tele di Monet, Manet e Degas, in cui signore e signori siedono vestiti di tutto punto sui loro teli stesi sulla sabbia, mentre intorno camminano uomini, donne e bambini. La riva è stata colonizzata e ora diventa il luogo di tregua dal lavoro, tuttavia non ha ancora cessato di riservare sorprese. Luogo d’iniziazioni, rivela ai personaggi dei romanzi di fine Ottocento e inizio Novecento l’elemento sessuale che alberga nei luoghi liminari. Il borghese è iniziato alla spiaggia, dove i corpi si mostrano e insieme si nascondono: è la scoperta della sessualità libera della spiaggia. Sull’arenile si rivela la parte occulta della personalità sia adolescenziale che adulta. Bani nel suo libro analizza il romanzo Agostino (1943) di Moravia, un concentrato di eventi e iniziazioni erotiche ambientate sul litorale, che sembra fare da contrappasso a Agosto, moglie mia non ti conosco, libro pubblicato nel 1930 in epoca fascista da un comico Achille Campanile.
Due sono i racconti marini di Italo Calvino compresi negli Amori difficili: “L’avventura di una bagnante” del 1951, in cui una signora borghese e benpensante indossa per la prima volta il “due pezzi” e perde la parte di sotto mentre nuota; e “L’avventura di un lettore” del 1958, che si svolge, come un altro racconto marino di Pavese, sulle rocce, storia dell’avventura estiva tra una bagnante ammiccante e un intellettuale: eros, libri e bagni. L’erotismo della spiaggia è stato via via integrato sino a diventare non più una morbosa tentazione bensì un’esperienza normale alla pari dell’abbronzatura, della mangiata di pesce, della pallavolo e di altri sport sulla sabbia. Con la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta nel Bel Paese debutta l’arenile postmoderno della Riviera adriatica, come racconta Pier Vittorio Tondelli di Rimini (1985). È la società dello spettacolo, ulteriore sviluppo della società di massa del boom economico. In “Spiagge”, compreso in Un weekend postmoderno, Tondelli descrive le spiagge che si svuotano nelle ore canoniche dei pasti per diventare sorta di alcove sotto le stelle “per approcci amorosi e sentimentali, come se i nuovi amori, le nuove attrazioni dei corpi dovessero consumarsi solo lì, nascere di giorno sotto un ombrellone e finire la notte al chiaro di luna: come se davanti al mare, al suo cospetto, tutto nascesse e tutto, inevitabilmente, giungesse al proprio eccitante culmine e alla propria fine”. È la fine della spiaggia? Oppure solo un altro inizio?
Da leggere:
W. Bascom, Onde e spiagge, Zanichelli; L. Bani, La prova dell’anima, Moderata Durant; J. Michelet, Il mare, Elliot; H. de Balzac, Il figlio maledetto, Marsilio; A. Campanile, Agosto, moglie mia non ti conosco, Rizzoli; I. Calvino, I racconti, Mondadori; I. Calvino, Palomar, Mondadori; P.V. Tondelli, Rimini, Bompiani; P.V. Tondelli, Un weekend postmoderno, Bompiani.
Questo articolo è stato pubblicato su "la Repubblica", che ringraziamo
Leggi anche:
Marco Belpoliti | La creazione del Mare
In copertina, Beach Scene, Hilaire-Germain, Edgar Degas, The National Gallery.