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Occhio rotondo 35. Pugno
L’hanno vista tutti, o almeno chi possiede una televisione o una connessione internet funzionante. Forse la metà degli 8 miliardi di abitanti del Pianeta? Forse meno? Difficile dirlo. Di sicuro questa è la foto dell’anno: il candidato repubblicano in pectore, Donald Trump, già Presidente degli Stati Uniti, dopo essere stato sfiorato da un proiettile, che gli ha procurato una ferita al lobo dell’orecchio destro, prontamente soccorso dagli agenti del servizio segreto, si leva in piedi e alza il braccio destro con il pugno chiuso e urla: “Fight! Fight!”, “Combattete! Combattete!”. Il fotografo della Associated Press Evan Vucci, già premio Pulitzer nel 2021, ha fissato il momento preciso in cui Trump lancia la propria sfida. A chi? Il punctum della foto coincide con il suo studium, per dirla con Roland Barthes: il contenuto della fotografia, lo studium, corrisponde perfettamente al punctum, a ciò che ci punge, quello in cui l’immagine ci guarda e s’imprime nella nostra memoria. Non c’è alcun dubbio.
Ma qual è il centro dell’immagine? Lo sguardo di Trump? La bocca aperta nel momento in cui grida? La ferita che si scorge appena? È il pugno chiuso issato verso l’alto. Lì si concentra tutta la forza del gesto. Un gesto aggressivo? Sì, ma non è solo questo. Ci sono infatti molti modi di brandire il pugno verso l’alto. I gesti, spiega Desmond Morris, per loro definizione trasmettono segnali, e questi segnali devono arrivarci in modo chiaro, evidente, perché li possiamo comprendere. Forse qualcuno si ricorderà i due velocisti neri americani a Città del Messico nei Giochi olimpici il 16 ottobre 1968: Tommie Smith e John Carlos, oro e bronzo della gara dei 200 metri, che alzano il pungo chiuso verso il cielo sul podio, e nel contempo chinano leggermente il capo, quasi vergognandosi. Vogliono dimostrare la loro solidarietà alla lotta contro le discriminazioni razziali e indossano un guanto nero sulla mano sollevata.
Il pugno chiuso è il gesto dei militanti socialisti e comunisti, usato probabilmente la prima volta nel 1923 in Germania da una organizzazione. Il gesto delle dita serrate nel palmo della mano aggiunge un evidente elemento di veemenza. In Trump questo impeto è abituale. L’ex Presidente esprime la propria foga, l’impetuosità e la rabbia usando le mani. Non è un grande oratore, ma come ha dimostrato sul palco a Bethel Park nello stato di Pennsylvania possiede carattere e forza. Probabilmente non ha altro che questo: è la forza di chi combatte per vincere. Non è sempre così? Sì, tuttavia lui possiede qualcosa di più. Non è solo il gesto di chi, come in una competizione sportiva, alza al cielo il pugno del vincitore – virtualmente rivolto agli dei cui dedica la propria vittoria e insieme la rivendica come propria.
Il suo è un evidente segno di minaccia, un segnale, per dirla con Morris, di aggressività attivata. Rimanda a un attacco fisico verso chi lo ha colpito, nei confronti dei suoi avversari, dei nemici. L’ira è il sentimento che trasmette quel movimento verso l’alto. Urlando Fight! chiama a raccolta i propri fedeli, cui comunica il compito che è prima di tutto suo: Combattete!. L’immagine del fotoreporter contiene altri elementi perspicui, come hanno scritto i tanti commentatori dell’immagine: la bandiera a stelle e strisce sullo sfondo; l’agente donna che stringe Trump; l’altro agente dietro, che sembra spingere, e quello che sta salendo la scaletta del palco; poi ancora l’agente con i classici occhiali neri e camicia bianca: un attore – e ancora il rosso del podio e il blu cobalto del cielo. Una fotografia perfetta. Vucci ha raccontato come l’ha realizzata spostandosi davanti al podio dopo il sibilo della pallottola. Non c’è dubbio: ha colto l’istante propizio trasformandolo in un istante perenne. Un’icona. Subito s’è parlato dell’importanza che l’attentato avrà nelle prossime elezioni americane del 2 novembre.
La fotografia registra il momento saliente, lo fissa, lo ferma e lo trasmette. Lo intendiamo. Entrerà nella storia? Questo non lo sappiamo ancora. Certo è che fa esistere qualcosa che è-stato, per dirlo ancora con Barthes. Questa immagine contiene un elemento di vita o di morte? Trump è vivo per miracolo, ma il vero miracolo è probabilmente lui. È vivo ed è scampato alla morte. Forse quel grido Combattete! non riguarda solo la campagna elettorale in corso, riguarda qualcosa di più importante, di decisivo. Riguarda il suo essere vivo oggi: esistere ancora. Combattete! perché io ho combattuto e ho vinto. Combattere e vincere, non solo e non tanto gli avversari – anche quelli, naturalmente – ma combattere e vincere la morte che con la sua ala leggera si è abbassata sino a sfiorare l’orecchio di Donald Trump.
Fotografia di Evan Vucci | © 2024 The Associated Press
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