Paolo Volponi / O di gente italiana

4 Luglio 2011

 

Quasi a suggello della sua carriera letteraria, Paolo Volponi, pochi giorni prima di morire, scrisse questi versi amarissimi sull'Italia “infetta”. In O di gente italiana, pubblicata sul Corriere della sera il 3 febbraio 1999, l'autore delle Mosche del capitale allegorizza senza indulgenze il degrado della già dantescamente Italia “puttana”, ancora capace se non altro di piangere o rincorrere i propri figli, trasfiguratasi ormai in “un incanaglito / furente travestito” che si prostituisce “sui raccordi”.

 

  

Italia, o di gente italiana;

eri una povera puttana

chiusa nella sua sottana

di casa, con neri occhi vividi

non guardavi per poter obbedire

meglio, toccare, curare; umidi

sempre di lacrime i tuoi gesti

per abbracciare i vivi e i morti,

rincorrere i figli persi

tra le spiagge e le strade,

tra i resti

di paesi distanti, riversi

lungo i tuoi passi.

 

Mai ti resse un marito

che tu rispettassi:

buttata fuori da ogni letto

raccoglievi i tuoi stracci

e proseguivi sforzando il petto

Ti sfamavi lungo i giorni e le notti

di pane e di cazzo

sfuggendo i rimbrotti

degli accampati e l'angoscioso

scampanio delle chiese.

Quand'è che il tuo cuore si arrese?

 

Perché oggi tu sei un incanaglito

furente travestito

al margine, senza terra, sui raccordi

che guata l'ombra infetta

dei nuovi quartieri.

 

 

Edizione di riferimento: Paolo Volponi, Poesie 1946-1994, Einaudi, Torino, 2001.

 

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