Un matrimonio strepitoso
Se alla domanda
- Come va con la tua compagna (o il tuo compagno)?
rispondete
- È sostenibile!
... è probabile che non abbiate una grande considerazione del vostro rapporto sentimentale.
Ammettetelo: la sostenibilità è noiosa.
Michael Buckart
Sono d’accordo con Mr. Buckart. Dovremmo approfondire e implementare le nostre argomentazioni sulle performance del sistema. Finché continueremo ad accanirci sul sostenibile come leva virtuosa del cambiamento ci sono poche speranze di attivare, in un pubblico sempre più assuefatto (e scafato) dalla retorica green, eco e bio, un processo di trasformazione convincente, differenziato e, soprattutto, credibile. Volendo esagerare, pure avvincente. In sostanza, buona parte del suo successo potrebbe dipendere dal modo di pensarne e raccontarne. E questo modo potrebbe anche fare a meno di menzionare del tutto una parola usurata e incline allo standard, concentrandosi sulla narrazione di una storia, di un fatto, di una prassi che funziona in modo strepitoso. Di una strepitosa strategia di sopravvivenza vs una strategia che “tiene botta”.
Il contributo in abstract che segue, originariamente in inglese, è parte dei primi esperimenti del Collective Dictionary. La scelta di uno dei quattro gruppi (di cui ero parte come tutor) è ricaduta sulla parola sostenibilità per due ragioni interconnesse: ridefinire un termine abusato e retorico, in particolar modo dal punto di vista di chi riceve aiuti umanitari, per riappropriarsene includendolo come valore chiave nei progetti che emergeranno dai partecipanti.
Un bilanciatore del sistema sociale
I matrimoni costituiscono in tutto il mondo quel genere di rituale collettivo capace di fissare nella mente di ciascuno le tracce di una tradizione, come normalmente accade che negli eventi collettivi ricorrenti i gruppi sociali esprimano un ampio ventaglio di auto-rappresentazioni, valori ed equilibri invisibili.
In un campo profughi, il matrimonio sembra essere un classico da non perdere per uno straniero. E non è raro infatti che le classiche reazioni e racconti di un tale evento portino a classificare tutti gli stereotipi e i cliché di costume, limitando l’osservazione alla superficie e alla luccicante risposta emozionale. Qualcuno lo chiamerebbe Orientalismo.
Eppure i palestinesi sono continuamente coinvolti nei matrimoni attraverso le emozioni, non per una questione di obblighi da assolvere. Osservando i dettagli più reconditi nella preparazione, non è difficile riconoscere come questo processo coinvolga amici, familiari, vicini e altre persone che partecipano o contribuiscono in varia misura al suo successo, dal momento in cui viene annunciato fino alla cena dello sposo. E oltre.
Abbiamo deciso di approfondire il funzionamento del matrimonio (in questo senso, una cartina torna-sole della vita collettiva visibile) per evidenziarne gli aspetti che è in grado di mostrare nella comunità Refugee: in pratica, il matrimonio stesso come un complesso relazionale vivente.
Attraverso la lente del termine sostenibilità, abbiamo compiuto una ricerca su una dimensione nella quale questa comunità rinnova l’accordo tra le persone che ne prendono parte, in quanto scenario ben più ampio della sposa e dello sposo. Apparentemente, con un’interminabile volontà di preservare significati che sono talvolta radicalizzati piuttosto che sfumati.
Analisi visiva del matrimonio come organismo vivente: le rete di interdipendenze
I due giorni del matrimonio, le figure coinvolte. Solo recentemente si assiste alla suddivisione della festa musulmana tra uomini e donne, indice di una sorta di “radicalizzazione difensiva”
La cena dello sposo è un rituale che rinnova il legame tra lo sposo e il “volontario” prima e dopo il matrimonio, una specie di “credito relazionale”
Testo e diagrammi dal dialogo tra B.J., A.L., Q.A. e D.Z.
Nell’eco-sistema vivente, tutto sembra essere sostenibile, a seconda del tempo e della scala considerata. Solo il più devastante disastro è capace di cancellare ogni risorsa prima che il sistema stesso cominci a rigenerarsi. È quando un’entità viene messa a rischio più o meno grave di sopravvivenza che si comincia o sembra aver senso parlare di sostenibilità. Una specie di negativo, di contraddizione dei termini. Assume rilevanza quando gli esiti distruttivi della strategia si avvicinano pericolosamente alla linea della rigenerazione. La linea dell’equilibrio.
I matrimoni nei campi profughi, nella loro forma più complessa, rivelano un articolato organismo che sorregge funzioni sociali, economiche ed emozionali, come pure alcuni arcaici meccanismi di genere. Equivale a dire che sostenibilità non è necessariamente sinonimo di bene comune. Anche l’occupazione della Palestina è sembrata, per lungo tempo, una strategia economica e politica sostenibile secondo i piani del governo israeliano, cosa non più vera come visibile da analisi più approfondite (vedi: Economy of the Occupation).
Considerando il modello economico e culturale intruso e le restrizioni economiche prossime al soffocamento, è rilevante osservare in modo allargato come anche nei campi profughi palestinesi le persone stiano lentamente cominciando a concepire la festa di matrimonio e il suo processo in modo più standardizzato e “industriale”, facendo ricorso a service per la preparazione e l’intrattenimento, o tagliando alcuni passaggi del matrimonio tradizionale, ritenuti retaggi di valori non più condivisi. Tale adattamento potrebbe ammorbidire o sfocare, nel tempo, la forza dei legami familiari che solidifica il tessuto sociale connettivo dei campi profughi (una rinomata caratteristica della loro sopravvivenza politica)? Qualcuno potrebbe anche chiedersi: “ma in fondo, cos’è insostenibile... il modello obsoleto di festa o il modello/stile di vita instruso che è così retorico nel parlare di sostenibilità?”
Se le trasformazioni sono necessarie, nel continuo riadattamento dei cicli della vita, quali punti fondamentali dovrebbero essere mantenuti per rendere tali trasformazioni auto-sostenibili senza distruggere il senso dei legami, dei significati e delle appartenenze? Che non significa “lenti e inesorabili” cambiamenti affinché siano meno dolorosi, ma capaci di conservare le proprie differenze.
Non è questione di adattarsi alle tendenze dell’epoca. Riguarda piuttosto come aggiornarsi all’epocalità dei pensieri che generiamo.
Conclusioni di D.Z.
Nota a margine
Ricorrere al wedding planner o organizzarselo da soli, in modo originale e personale, il matrimonio? Un planner e un consulente per tutto, anche per gli acquisti. Non sfugge il fatto che tali figure nascano recentemente per rompere la routine e l’apatia rituale. Una sola domanda: chi ne beneficia nel medio-lungo termine? Quale potere formativo ha il pianificatore?
Un commento troppo autoreferenziato al tema scelto? Pensateci voi ad allargarlo alla vostra conoscenza e alle vostre esperienze sociali. Pensateci voi a capire di quali matrimoni stiamo parlando, di quali rituali potremmo dotarci, che siate convinti o meno di una (molto) presunta Società Fluida.
Volessimo fantasticare che ogni Refugee organizzasse da sé l’immaginario del proprio matrimonio, ognuno diverso dagli altri, proietteremmo una visione fanta-socio-politica non poco affascinante. Implicherebbe la volontà di un popolo libero da necessità coesive, libero di scegliere, libero dai simboli del patriarcato, libero da pressioni religiose, libero dai modelli pubblicitari. Libero.
Un nostro specchio amplificato.
Guardando allo status politico di rifugiato, tuttavia l’evidenza ricade sull’originalità, protratta incosapevolmente, dello stratagemma rituale, della potenza coinvolgente e della sua ricaduta sociale.
È quel che è, ma è semplicemente strepitoso.
A Dheisheh, tra la primavera e l’autunno, quasi ogni giorno viene celebrato almeno un matrimonio