Vaclav Smil: abbasso il dataismo!
Invenzione e innovazione. Forse l’ennesimo autore che ci racconta come ragionare out of the box per avere successo e diventare straricchi? Tranquilli, non si tratta di questo. E del resto il sottotitolo già ci dovrebbe mettere in guardia: entusiasmi e fallimenti. Entusiasmi, tantissimi. Ma spesso mal riposti. Cominciamo con un esempio. La fusione nucleare, la famosa energia pulita e inesauribile derivante dalla fusione di due atomi di idrogeno a formare un atomo di elio. Anch’io, prima di leggere queste pagine, ero convinto che fra vent’anni sarebbe stata una realtà. Ma Vaclav Smil ci racconta, documenti alla mano, come questi vent’anni siano sbandierati dai ricercatori ormai da cinquant’anni. Più o meno con le stesse parole e le stesse manifestazioni di fiducia. È come la seconda venuta del Cristo, che stiamo ancora aspettando.
Questo è solo uno degli esempi presentati da Smil in Invenzione e innovazione. Breve storia di entusiasmi e fallimenti, Hoepli 2023. Parecchie di queste storie, ben legate assieme dalla straordinaria capacità analitica di Smil, servono a mostrare quanto siano fragili le basi dell’odierna messianica fede nel progresso tecnico. Il progresso tecnico è, ovviamente, una realtà. Non è certo questa realtà che il nostro autore disconosce. I suoi strali puntano invece alla fede, alla moderna fede che il progresso tecnico possa risolvere qualsiasi problema: “Le invenzioni moderne si ammantano di una scintillante promessa di salvezza, quasi dovessero risolvere ogni nostro problema tecnico, ambientale o sociale” (p. 9). Tutto il nuovo è venduto come “sensazionale”, “dirompente” e “rivoluzionario”. E si capisce anche perché: ormai i finanziamenti alla ricerca dipendono sempre più dall’opinione pubblica (perché la politica tende a non sganciarsi mai dai like), e pertanto l’opinione pubblica deve essere “nutrita” con annunci sensazionali. Si finisce per perdere di vista la realtà.
Ma stiamo invece coi piedi per terra. Lo scetticismo è la religione di Smil. Una religione imparata nel pieno del socialismo reale, e precisamente nella Cecoslovacchia degli anni Cinquanta e Sessanta, dove Vaclav Smil mosse i suoi primi passi (fisici e intellettuali). I successi mirabolanti del socialismo reale erano ovviamente una costruzione della propaganda. La decostruzione della propaganda, sia di Stato che di mercato, è la missione di Smil. Una missione che egli svolge egregiamente, valendosi del suo sterminato bagaglio di sapere tecnico: matematica, statistica, fisica, chimica, biologia, ingegneria (senza però farcelo pesare troppo).
In sintesi: il tecno-ottimismo – oggi una fede dominante, sia fra gli economisti che fra i politici – è una fesseria. Un primo capitolo del libro è dedicato alle “invenzioni che da gradite si sono rivelate dannose”. Oltre alla storia del DDT, abbastanza famosa, Smil ci racconta la dolorosa vicenda della benzina al piombo: un ritrovato del quale fin dall’inizio si sapevano gli effetti tremendi sulla salute umana, e che fu approvato e usato in tutto il mondo per pura sete di guadagno, una sete avallata e condonata dal tecno-ottimismo. Ci sono voluti sessant’anni, e innumerevoli sofferenze umane (fra cui il ritardo cognitivo di migliaia di bambini), per cambiare finalmente strada.
Il secondo capitolo è dedicato alle “invenzioni che dovevano imporsi e non l’hanno fatto”. E qui c’è la storia della fissione nucleare. Perché gli USA imboccarono quella strada? La tesi di Smil, che mi sembra ben argomentata, è che non fu l’economia, ma la politica a dettar legge. Si doveva (un’idea di David Lilienthal, primo presidente della Atomic Energy Commission) “attenuare il senso di colpa per Hiroshima”. Infatti, le società private non scesero in campo fino a quando il governo americano non garantì loro, con il Price-Anderson Act del 1957, di intervenire per indennizzare le eventuali vittime di un incidente nucleare, liberando in tal modo le società da questo ingentissimo rischio. Le seconda spinta provenne, come tutti ricordiamo (dico noi anziani), dalla decisione dell’OPEC di quadruplicare il prezzo del petrolio dopo la guerra dello Yom Kippur. Eppure, a decenni di distanza, nonostante le tante promesse (sarà “la fonte primaria di energia per l’uomo”!), e nonostante l’enorme esborso di denaro pubblico, l’energia nucleare non ha svoltato, non ha convinto, né economicamente né politicamente: oggi produce solo il 10 per cento dell’energia elettrica mondiale. Ma in questo capitolo leggiamo anche l’affascinante racconto del volo supersonico per passeggeri: Jacqueline Kennedy che si fa arrivare le baguette fresche da Parigi ogni mattina col Concorde… Sembrava fatta, e invece l’economia (e la fisica) hanno vinto sull’ambizione umana: il volo supersonico è rimandato sine die.
Il terzo capitolo (“Invenzioni che ancora attendiamo”) ci racconta, come ho accennato all’inizio, dei periodici annunci di una fusione nucleare sempre imminente; più altri entusiasmi (come ad esempio i cereali azotofissatori, che avrebbero dovuto crescere senza fertilizzanti) che hanno fatto flop. Le conclusioni sono, come era ovvio, piuttosto amare: non aspettiamoci che internet a banda larga, o l’intelligenza artificiale (i cavalli di battaglia del tecno-ottimismo), risolvano i problemi veri del nostro mondo. Che sono alimentazione, assistenza medica di base, istruzione. L’Occidente, secondo Smil, aveva già raggiunto un buon grado di benessere negli anni Sessanta del secolo scorso, senza computer e senza internet. Non sarà la moltiplicazione esponenziale dei dati (61 zettabyte…) a dare a tutta la popolazione mondiale ciò di cui ha realmente bisogno.
Ma supponiamo per un momento che abbiano ragione gli utopisti che credono a una crescita continua e infinita della nostra economia, fondata non sulla bruta materia, sulle pesanti merci, bensì sui leggerissimi e imponderabili dati (forse non tutti lo sanno, ma esiste una moderna religione, descritta da Harari in Homo Deus e sbeffeggiata naturalmente da Smil, che si chiama dataismo…). Ebbene, ammesso questo, ammesso che tutta la nostra crescita futura dipenda da processi del tutto immateriali, da pura informazione (scienza, intrattenimento, arte…), saremmo allora slegati dalla materialità del mondo, saremmo affrancati dalle dure leggi della fisica e della chimica? Potremmo pensare a una crescita senza limiti del Pil? No, no di certo.
In primo luogo neppure i dati sono realmente dematerializzati. Servono server, servono fabbriche che li producano, serve silicio purissimo, servono cavi, servono navi che posino i cavi sottomarini, serve energia che tenga in vita i server, i modem, i cellulari, e moltissima energia che faccia marciare l’intelligenza artificiale.
In secondo luogo, l’umanità, anche ammesso che non cresca di numero, deve continuare a vivere, e questo vivere implica un continuo processo di trasformazione di materia e di energia. Nel terzo capitolo di un altro libro di Smil, Come funziona davvero il mondo (Einaudi 2022), intitolato “Comprendere il mondo materiale”, Smil ci mette sotto il naso il fatto che, per mantenere il nostro stile di vita attuale (solo per mantenerlo, non per “crescere”), noi (cioè il mondo) dobbiamo produrre COSE. Dobbiamo produrre, in particolare, quattro cose in gran quantità: cemento, plastica, acciaio, ammoniaca. Il cemento serve per riparare e sostituire le case, le strade, i ponti, le piste di atterraggio, le fabbriche che ogni anno, ogni giorno, ogni momento si deteriorano sotto le nostre suole. Ne produciamo 4,5 miliardi di tonnellate ogni anno. La plastica sta dappertutto nelle nostre vite: nelle cucine, nelle automobili, negli aeroplani, negli ospedali, nelle fabbriche, nei vestiti, nelle pompe, nei cavi, nei sacchetti per l’immondizia; si deteriora e va continuamente sostituita. Ne produciamo 370 milioni di tonnellate. Ecco ora il turno dell’acciaio. L’acciaio regge i nostri grattacieli, i nostri viadotti, è la sostanza principale dei motori, delle frese, dei torni e dei trapani di tutto il mondo, forma i nostri piani cottura, i coltelli e i cucchiai, la struttura portante delle navi e le lampade di design. Anch’esso si deteriora: ne produciamo 1,8 miliardi di tonnellate. Infine l’ammoniaca. L’ammoniaca è il principale componente dei fertilizzanti azotati. Senza ammoniaca non potremmo avere una produttività della terra sufficiente per mantenere in vita la nostra popolazione. Ogni anno ne produciamo 150 milioni di tonnellate. La de-materializzazione dell’economia non solo non è vicina, ma non è nemmeno possibile.
Non solo: la produzione di queste COSE assorbe il 17 per cento di tutta l’energia primaria consumata dalla nostra economia, e immette nell’atmosfera il 25 per cento dell’anidride carbonica derivante dalla combustione dei fossili. Si cominciano appena a vedere all’orizzonte processi produttivi che potrebbero tagliare drasticamente le emissioni (per esempio la produzione di ferro via idrogeno, che a sua volta dovrebbe essere prodotto da elettrolisi, e non dal metano), ma siamo ancora ben lontani dall’adozione commerciale di tali processi su larga scala. In sintesi: è presto per cantare vittoria; il mondo è duro, è stupido.
Concludo. Trovo che i libri di Smil (non ci sono solo questi due, ne ha scritti una trentina nella sua lunga vita) siano super-intelligenti, e aprano davvero squarci nella pigrizia mentale che in molti ambiti si addensa. Bene il suo pessimismo: una specie di Leopardi moderno, che si fa beffe delle “magnifiche sorti e progressive”. Leggetelo, amici lettori. Solo, non vorrei che il suo pessimismo fornisse un alibi a chi – di fronte alla crisi climatica ormai fin troppo evidente e al rapido deterioramento del nostro pianeta – non trova di meglio che dire: è ormai troppo tardi. Leggete Smil, ma non come anestetico: tutto all’opposto, ci dovrebbe armare di dati, di ragionamenti per combattere, con le armi giuste, la buona battaglia.