Walt Disney: tutto ebbe inizio con un garage
«It all began with a mouse», tutto ebbe inizio con un topo: così parlò Walt Disney. O meglio, questo è ciò che ci tramanda la leggenda a proposito della nascita del suo impero mediatico. La verità è che tutto ebbe inizio il 16 ottobre 1923, esattamente cento anni fa, grazie a un fallimento, a un viaggio in treno, e soprattutto a un garage.
Il fallimento riguardava la Laugh-O-Gram Films, lo studio di animazione che il poco più che ventenne disegnatore Walter Elias Disney aveva aperto a Kansas City e che, a meno di un anno dalla sua costituzione, nel maggio 1922, stava naufragando vuoi per l’inesperienza di gestione aziendale da parte di Walt, vuoi perché la società di distribuzione che stava finanziando la serie di fiabe animate, create con un piccolo gruppo di giovani artisti (fra cui Ub Iwerks, il futuro geniale papà di Minni, Clarabella, Orazio, Pietro Gambadilegno), era finita in pessime acque, e la Laugh-O-gram gli era andata dietro.
Il viaggio in treno, seguito al fallimento, fu quello che Disney fece all’inizio di luglio del ’23, da Kansas City a Los Angeles, città già allora in odore di santità cinematografica. Chiusa l’attività, Walt ebbe a ricordare: «Misi tutti i miei beni – un paio di pantaloni, un cappotto a scacchi, una manciata di materiale da disegno e le bobine girate con le fiabe – in una specie di valigia di cartone sfilacciato. E con la meravigliosa audacia della gioventù andai a Hollywood, dove arrivai, felice, con soli 40 dollari in tasca».
Los Angeles: tariffomachia ferroviaria e boom demografico
Walt percorse le milleottocento miglia che dividono le due città in trenta ore esatte, a bordo del California Limited, gioiello di velocità e confort ferroviario gestito dalla Santa Fe Railway che, da poco, proprio su quella tratta, aveva falciato i prezzi: dagli stratosferici 125 dollari richiesti dalla ex monopolistica Southern Pacific, a un solo dollaro, dando il via a una guerra di ribassi senza esclusione di colpi, accompagnati dall’offerta di sempre maggiori confort e servizi di bordo, a partire dalla gestione della ristorazione curata dalla Fred Harvey Company, all’epoca leader del settore.
Da notare che si deve proprio a quella tariffomachia – scoppiata in un contesto sociale di germogliante prosperità affacciatasi alla fine del primo conflitto mondiale – che, sommata al miraggio delle opportunità offerte dalla nascente industria cinematografica, permetterà a masse di giovani più o meno spiantati, in cerca di fortuna, di andare a vivere all’ombra delle colline di Hollywood, dando vita a quel boom demografico e economico che farà di Los Angeles la città che è oggi.
Come per tutti coloro che erano diretti all’Ovest, anche per Walt, nonostante il fallimento, l’idea di ricominciare a Los Angeles era eccitante. E poi a Hollywood c’era il fratello Roy su cui contare, anche se momentaneamente ricoverato al reparto sanatorio dell’Olive View Medical Center per aver contratto la tubercolosi durante il servizio militare in marina.
Il garage e la creazione del mito
Walt, dunque, si sistema a pensione (per 5 dollari a settimana), a casa degli zii Charlotte e Robert, al 4406 di Kingswell Avenue, nel quartiere di Los Feliz (oggi la costruzione, completamente restaurata, è designata monumento storico culturale), originariamente una tipica casetta californiana con portico e sedia a dondolo incorporata, sul cui fianco, in fondo al vialetto d’accesso, faceva capolino il garage da un posto macchina (3 metri per 5) che Walt e il fratello Roy utilizzeranno (pagando un extra dollaro a settimana agli zii) trasformandolo in uno studio improvvisato per produrre brevi filmati di animazione – una sorta di comiche da proiettare prima dello spettacolo principale alla cui distribuzione era interessato il circuito di sale dell’impresario Alexander Pantages. Il progetto, purtroppo o per fortuna, non andò mai in porto e l’attenzione dei fratelli Disney si spostò su un’idea (le Alice comedies) suggerita dalla produttrice Margaret Winkler, una figura chiave nella storia dell'animazione, la cui vita è stata raccontata nel libro Walt Before Mickey (University Press of Mississippi, 2011), da cui, quattro anni più tardi, fu tratto il film omonimo.
Le Alice comedies erano una serie di cortometraggi, fra l’animato e il live-action, che raccontano le avventure di una bambina di nome Alice, interpretata da Virginia Davis (all’epoca aveva cinque anni), e un gatto animato di nome Julius sullo sfondo di un paesaggio altrettanto disegnato. Disney realizzerà personalmente l’animazione e ne dirigerà e produrrà ben altre cinquantasette, con tre diverse attrici che si daranno il cambio nel ruolo di Alice. «Cercavo disperatamente di ottenere qualcosa che avesse presa, che facesse presa», ebbe a dire Walt. Quello fu il primo passo verso il trionfo planetario.
Non sai mai cosa può uscire da un garage
Il successo permise ai fratelli Disney di traslocare, dallo studio improvvisato nel garage dello zio, al retrobottega di un ufficio di compravendite immobiliari, un isolato più avanti, al 4651 di Kingswell Avenue, e di annunciare, il 16 ottobre 1923, appunto, la fondazione di un nuovo studio di animazione: il Disney Brothers Studio, quello che sarà alla base dell’impero mediatico giunto fino a noi, e che la Walt Disney Company (probabilmente il più grande e profittevole conglomerato multinazionale del mondo) riconosce, nei documenti ufficiali, come luogo e data di fondazione della società stessa.
Ma per i tifosi di Walt (e sono seriamente tanti) il “garage dello zio” rimarrà per sempre nel cuore come l’incubatore senza cui saremmo oggi orfani di Topolino, Pippo, Pluto e Paperino. Garage che sarà persino al centro dello spot televisivo trasmesso in occasione della presentazione della nuova Cadillac CTS Sedan con il motto: «Non sai mai cosa può uscire da un garage».
Insomma quando giunse voce che la famosa rimessa sarebbe stata demolita, un manipolo di otto zeloti si tassò per acquistarlo, e donarlo allo Stanley Ranch Museum di Garden Grove, in Orange County. Perché proprio quello? Perché si trova ad appena tre miglia a sud del più importante luogo di pellerinaggio disneyano: la Disneyland originale, l’unico parco inaugurato da Walt in persona il 17 luglio 1955.
Il luogo d’elezione della mitopoiesi
Niente può scalfire l’agiografia legata al mito americano del garage – descritto in dotti paper accademici come “il luogo d’elezione della mitopoiesi” – secondo solo a quello dei pionieri e della conquista del West. Ponderosi saggi socio-antropologici si addentrano nel racconto della storia dell’aviazione con la leggenda dei fratelli Wright e del loro negozio-garage di biciclette; così come dell’autorimessa di Los Altos, nella Silicon Valley, dove Steve Jobs e Steve Wozniak fondarono la Apple; e ancora, Google inventata dal duo Larry Page e Sergey Brin in un garage di Menlo Park; e la Amazon di Jeff Bezos nata a Seattle in un sotterraneo adibito a magazzino; oppure ancora la leggendaria Hewlett-Packard, fondata, sempre in un box auto, nel 1939, da due amici laureati in ingegneria elettronica, Bill Hewlett e Dave Packard, con un ridicolo investimento iniziale di 538 dollari.
Questi ultimi, per una di quelle strane coincidenze astrali che accadono molto spesso solo in California, incroceranno la strada di Walt al quale forniranno otto (all’epoca avanzatissimi) oscillatori audio a bassa distorsione armonica HP200A che Disney utilizzerà per certificare i sistemi audio surround installati nei cinema per il suo – all’epoca controverso – lungometraggio musicale, il mitico Fantasia (1940).
Certo è che, alla luce di tutto ciò, viene da chiedersi se sarà per la cronica mancanza di box auto che da noi i geni delle start-up scarseggiano. Indagheremo.