1999: fine del millennio, altra profezia
Mentre alla fine del secolo-millennio, con Bologna Declaration, l’Europa inaugurava la costruzione dello Spazio Europeo Dell’Istruzione Superiore, riforma declinata dagli allora 29 stati firmatari in leggi locali, l’Italia tra i primi firmatari, con la Legge 508/1999 preparava simultaneamente il terreno per l’assorbimento delle accademie d’arte, riconoscendone “l’equipollenza” con le università.
Che tempismo! E quante resistenze!
Attraverso il susseguirsi di normative piuttosto contrastate, che a giorni atterreranno nella versione “terminale” sulla patria che di accademie, non a caso, è stata la più fiorente in assoluto, lo stato italiano ha così interpretato il mandato europeo aggiungendo quel tassello che completerà il processo d’internazionalizzazione includendo l’alta formazione artistica nella nostra profezia di automazione (vedi articolo 1/Discorsi sull’Università).
Ma quale sarebbe la relazione?
Con la Legge 508/1999 Il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica esercita – per la prima volta – poteri di programmazione, indirizzo e coordinamento nei confronti delle istituzioni di cui all'articolo 1: Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati.
Ecco fatto!
Anche l’area più locale e periferica della formazione, quell’area maggiormente protetta da segreti tecnici e geografici, entra a far parte del processo di centralizzazione del sistema formativo europeo agevolato dallo stato italiano che, in nome della mobilità dello studente, estende il format 3+2 (triennio + biennio specialistico) con tanto di crediti (European Credit Transfer and Accumulation System), appena sfornato da Bologna Declaration.
Ancora Bologna Declaration!
Sì purtroppo è lì che UGenea deve tornare, perché è lì che emergono gli elementi di rottura e di continuità in cui il tassello “assorbimento delle accademie d’arte” si va perfettamente a intarsiare. Isolata dalla storia del sistema universitario, e analizzata minuziosamente, quella riforma basterebbe a scrivere un saggio critico che in molti hanno già composto, ma che raramente, come nel nostro caso, va a scomodare non pochi tra i sostenitori dell’approccio genealogico e proprio intorno al concetto di profezia nelle molteplici declinazioni.
- Previsione che nell’ipotizzare un futuro, spesso senza alcun supporto empirico, presenta una soluzione di salvezza e trova legittimazione nel proporsi come espressione della parola di dio.
- Previsione che anche quando supportata da analisi scientifiche, ricalca i codici della matrice spirituale e si legittima attraverso la laicizzazione della promessa di salvezza.
- Previsione, che anche quando supportata da impianto empirico, presenta una visione del futuro che non contempla una promessa di salvezza, ma semai ispeziona e mappa un campo di possibilità.
Sicuramente avete riconosciuto nella terza declinazione l’approccio di UGenea, tuttavia è sulla seconda che ci soffermeremo perché è di questo genere di profezia che è intrisa la cultura moderna, veicolata attraverso il dispositivo università fino alle recenti riforme e legittimazioni.
Partiamo da Nietzsche e Foucault simultaneamente (sovente definiti profeti del terzo tipo).
Smantellando qualsiasi approccio alla ricostruzione storica fondato sull’idea di una fine alla quale far risalire un inizio/origine che permetterebbe di tracciare un percorso di senso, spesso ideologico, i due filosofi mettono in guardia da un’attitudine moderna che affonda le sue radici nella promessa di salvezza, anche quando mascherata dall’idea laica di progresso. Sparsa nelle loro opere l’indicazione di un antidoto genealogico, che mai descriveranno sistematicamente, sfidando il lettore ad addentrarsi in quel campo fatto di contraddizioni che si chiama conoscenza.
In entrambi, l’invito a osservare i processi di assoggettamento della conoscenza, è puntuale, in particolare individuando quali discorsi chiave di una certa epoca permettono a nuovi discorsi di essere introdotti, generando apparenti contraddizioni che l’approccio genealogico ha il compito di far emergere, per poter leggere su quali continuità le fratture trovano il terreno di determinarsi.
Così come lo stato laico rappresenta per Foucault la matrice moderna del potere pastorale, che in nome di una nuova salvezza, la sicurezza del cittadino, lo assoggetta a un nuovo dispositivo istituzionale globalizzante e individualizzante, l’Università illuminista, come vedremo, si legittimerà laicizzando la promessa di salvezza spirituale sulla quale si fondavano le università medievali, da essa smantellate.
Lo stesso si potrebbe affermare per l’Umanesimo, che Francesco Monico così descrive, introducendoci al pensiero di John Gray: “L'umanesimo è la trasformazione della dottrina cristiana della salvezza in un progetto di emancipazione umana universale. L'idea di progresso era una versione laica della fede cristiana nella provvidenza. Si spiega perciò il fatto che presso gli antichi pagani esso era sconosciuto”. (Ci torneremo nei futuri discorsi.)
I contributi a riguardo sono numerosi e di eccellenza: Max Weber e Ivan Illich, per esempio.
Weber non avrebbe potuto descrivere così profondamente le caratteristiche del capitalismo se non avesse individuato nell’etica protestante la matrice spirituale sulla quale il nuovo modello di economia si andava determinando rinnovando l’idea di salvezza i cui segni sono da ricercare nell’accumulo di ricchezza da capitale. E nello specifico della formazione, Ivan Illich non avrebbe potuto proporre un’alternativa al moderno sistema educativo definito “funnel model”, se non avesse rintracciato le origini della sua forza di penetrazione, nei sentieri per millenni solcati dall’opera capillare di sacerdoti, ai quali gli insegnanti moderni si sostituiscono accorpando in un'unica attività la promessa di salvezza da ignoranza, reddito e isolamento sociale.
Torniamo all’università.
Al fine di legittimarsi come principale fonte di erogazione di alta formazione per la nuova categoria sociale – i funzionari – l’Università moderna, soprattutto nella versione napoleonica, prometterà la salvezza dalla religione attraverso la ragione e lo farà centralizzando il controllo disciplinare sotto lo stato, assoggettando tutte le forme di sapere in una gerarchia che vede al vertice la scienza, nuova religione, liberatrice dall’ignoranza e dalla violenza.
Sappiamo che le cose non sono proprio andate così.
Proprio la ricerca scientifica nel 1942 mette a punto una delle armi di distruzione più potenti in assoluto e senza possibilità di ritorno: la bomba atomica. Altro momento delicato per la legittimazione del sistema universitario che si trascinerà fino al dopo guerra quando, in fase di ricostruzione, troverà la forma di ri-legittimarsi aprendo alle masse con la promessa di formare le nuove classi dirigenti per la gestione della riconversione industriale e nonostante le numerose resistenze nate proprio sul movimento non-violento (altro discorso).
Arriviamo al 1999.
Rinnovata la promessa di salvezza con BD, che infatti trasforma il sistema universitario europeo nell’unico garante per la cittadinanza internazionale dello studente, lo stato italiano, legittimato nella certificazione formativa o patente di mobilità, struttura il suo audit apparato, in cambio di una partecipazione agli utili derivati da patrimonio culturale locale che, con la legge 508/1999, mette in sharing, assoggettando l’unica area ancora “in-disciplinata” al sistema europeo: l’alta formazione artistica. Ecco come anche su quell’area, per un millennio marginale rispetto alle università, sebbene abilitata alla produzione di conoscenze polimorfe ed eterogenee, paradossalmente universali e, quindi, di per sé internazionali, economicamente strategica ma difficilmente assoggettabile, si estende la promessa di salvezza da isolamento nazionale, grazie al meccanismo della certificazione.
Un suicidio? Non esattamente. O non solo!
La formazione artistica al momento rappresenta solo il 3% della popolazione universitaria in Italia. Gli studenti nel mondo sono circa 150 milioni. Come fa lo stato italiano a garantirsi una parte di utili su quella piccola fetta che rappresenta l’area di formazione più attrattiva, e potenzialmente in espansione, dell’offerta nazionale che, non a caso, le multinazionali della formazione hanno per prima adocchiato? Se il bacino di studenti stranieri in Italia, attraverso le certificazioni internazionali, è destinato ad aumentare, non accadrà certo nelle aree disciplinari come medicina, legge o economia. Sono aree meno competitive per l’Italia, dove in alcuni atenei, tuttavia, è già stato introdotto l’obbligo della lingua inglese e dove l’e-learning avrà prossimamente applicazione indolore. E via di seguito, il processo di automazione, la nostra profezia: impacchettamento dell’offerta formativa distribuita in format gestiti dai revisori dell’audit apparato, che si andranno gradualmente a sostituire ai professori, molto più costosi da mantenere e omologare, soprattutto se le pratiche d’insegnamento comportano un approccio alla conoscenza fondato sulla relazione col discente, come avviene ancora in ambito artistico.
Vi avevamo allertato sull’impegno richiesto da un approccio genealogico: implica disponibilità al rimbalzo, a ritornare sui luoghi dove avviene il fatto, le noiosissime riforme, con uno sguardo che cambia prospettiva strada facendo, nel tentativo di cogliere la rotondità di un soggetto complesso che non può essere liquidato in una visione lineare tipicamente moderna e meccanicistica. Da qui la proposta di una profezia che rientra nella terza declinazione, quella scelta da Franz Kafka, Philip K. Dick o James G. Ballard, e ripercorsa da Fritz Lang, Ridley Scott, David Cronenberg.
E il soggetto si presta!
Sappiamo che il sistema universitario in Europa nasce nel medioevo, esattamente nel XII secolo, molto prima della nascita degli stati, quando il Concilio Lateranense III sancisce l’istituzione di una cattedra presso ogni chiesa-cattedrale. Quella riforma del 1175 normalizza/centralizza una pratica spontanea, frammentata ed eterogenea, che alle origini vede come protagonisti alcuni sacerdoti sensibili ad accogliere nuove conoscenze, esperti in teologia, legge e medicina, intercettati lungo il pellegrinare che le nuove vie di comunicazione resero possibile (discorso: relazione università- tecnologie).
Conosciamo la specificità italiana di uno stato che neonato, e nonostante l’impulso nazionalista del fascismo, si fonda su peculiarità territoriali che rimandano al medioevo e si rinnovano nell’effervescenza premoderna del rinascimento fatta di convivenze conflittuali ma, tollerate, tra sacerdoti e signori illuminati, circondati da artisti, scienziati, filosofi come dimostra l’accurato studio di Michel Maylender che mappa la crescita esponenziale di accademie sul territorio italiano nel primo 1500, passate da 13 a 380 in soli 10 anni.
Ritagliandosi una propria area d’influenza sui processi di conoscenza, questi poteri hanno continuato a convivere generando sovrapposizioni di profezie, che nessuna rivoluzione moderna e borghese in Italia ha intaccato (come accaduto in Francia e diversamente in Inghilterra), ma che le riforme europee del 1999 tenterebbero di spazzare chiedendo aiuto a uno stato debole, dove la frammentazione si ripresenta e con essa la minaccia di altri poteri innominabili, di cui sappiamo, l’Italia vanta un certo primato.
Prosciugato anche da quella parte di impresa illuminata – che rimanda ad Olivetti, Einaudi – isolata perché essenzialmente borghese, e quindi senza una rete di legittimazione nazionale, il territorio dell’impresa culturale italiano si presenta come una perfetta pista di atterraggio per le multinazionali della formazione precedute, senza alcuna necessità di precauzione, dalle multinazionali del design, bacino di assunzione dei creativi che proprio la formazione artistica dovrebbero abilitare alla professione.
Tuttavia, se la legge 508/1999 a quindici anni di tentata implementazione non vede ancora una facile applicazione, una qualche resistenza anche lo stato italiano deve pur incontrarla? Al di là della nostra profezia di automazione che, però, trova conferma nella ricostruzione dei fatti, è sulle forme di resistenze, di conflitti e di controversie che caratterizzano questo campo di osservazione, ovviamente genealogicamente parlando, che nel prossimo articolo UGenea si soffermerà.
Vedremo come le resistenze, anche quando non si esprimono attraverso i movimenti di piazza, dove il corpo è ancora esposto come dispositivo di lotta, trovano nuove forme di espressione che UGenea deve decodificare.
Link
Bologna Declaration
http://www.bologna-berlin2003.de/pdf/bologna_declaration.pdf
Legge 508/1999
http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0098Normat/1128Riform_cf4.htm
Automazione: vedi articolo 1/Discorsi sull’Università: doppiozero
Audit: vedi articolo 1/Discorsi sull’Università: doppiozero
ECTS: http://www.crui.it/crui/ects/documenti.htm
Bibliografia
Gray, John, XIII Straw Dogs: Thoughts on Humans and Other Animals, in Braidotti, PostUman, 2013
Foucault, Michel. The Subject and Power, Hubert L. Dreyfus & Paul Rabinow, Brighton: Harvester Press, 1982, pp. 215.
Illich, Ivan. Descolarizzare la società, Mimesis, 2010.
Maylender, Michel. Storia delle Accademie d’Italia, 5 voll., Bologna-Trieste, 1926-30. A review on: http://www.bibliotecheoggi.it/1993/19930807201.PDF
Nietzsche, Friedrich. Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, (collana Piccola biblioteca Adelphi), 1984.
Weber, Max. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur, Rizzoli, 1991
UGenea raccoglie/incrocia le riflessioni di studiosi, artisti, ricercatori che, grazie ad un particolare modo di osservare, indagare, rappresentare, raccontare, contribuiscono alla formulazione di un approccio GENEALOGICO alla conoscenza che, in questo primo caso, riguarda l’Università. Trasversalmente alle discipline, incontreremo autori noti e meno noti, del presente, passato recente o più remoto, che guardano criticamente alla modernità, mettendone in luce limiti e potenzialità attraverso una narrazione originale, che si fa palestra per il pensiero sul futuro: Friedrich W. Nietzsche e Michel Foucault, Friz Lang, Agota Kristof, Antonio Caronia, Edgard Morin, Humberto Maturana, Bruno Latour, Marshall McLuhan, James G. Ballard, Michael Power, Laura Maran, Francesco Monico, Alessandro Monti, Pier Luigi Capucci, Alberto Melucci, Patrizia Moschella, Paola Rebughini. E ancora Maurice Benayoun, Alexandre Joly, Rebecca Allen, Cristiano Ceccato, Golan Levin, John Maeda, Max Weber, Francisco Varela, Ignacio Matte Blanco, Galileo, Franz Kafka, Buckminster Fuller, Bertold Brecht, Ivan Illich, Rainer Werner Fassbinder, Giovanni Leghissa, Derrick de Kerckhove, Frank Capra, David Weinberger, Dimitri Chimenti, Neil Postman, Stefano Laffi, Massimiliano Viel e sicuramente altri. UGenea avrà l’onore/compito di connetterli, in un ordine apparentemente casuale (flippatico appunto, ma in realtà genealogico), facendoli dialogare, al di là del tempo e dello spazio, lungo un discorso generativo sul sapere che non rifiuta, anzi rischia e affronta, conflitti, controversie, paradossi, rotture e continuità, e che si fa urgente raccontare anche attraversando le generazioni in un appuntamento mensile: Discorsi sull’Università.
Mentre U sta per Università, ma si presta alle declinazioni Umano, Umorismo, Utopia, e vedremo…Genea sta per approccio genealogico (discorso sul metodo), per gener