Addio a Berlino 1

30 Luglio 2013

1.

Primo impatto: dov’è la città?
A vederla dall’alto è un’immensa foresta punteggiata di laghi. Qua e là agglomerati di case, per lo più basse. Cinque piani è la regola che scandisce questo inurbamento a vocazione campestre, se non ortolana. Quella manciata di grattacieli sorti in fretta e furia a due passi dalla Porta di Brandeburgo, attorno all’ex crocevia di Potsdamer Platz, sembrano una dichiarazione di intenti sfuggita allo spirito del luogo.

 

 

Spettrali fin dal nascere, sigillano il passato dietro una facciata ad alta intensità di capitale europeo. Fuori luogo come balene in un roseto, sono un perfetto non luogo, adatto per tutto ciò che è uguale in tutto il mondo ricco: centri commerciali, multisale cinematografiche, bar, ristoranti, uffici per lo più inutilizzati.

 

 

Oggi proprio lì, all’angolo tra Leipziger Platz e Leipziger Strasse, sta sorgendo a gran velocità il “mall più grande d’Europa”: un paio di isolati storici rasi al suolo per far posto a uno shopping probabilmente non più tanto a buon mercato. Quel che non poterono guerre calde e fredde, poté la politica. O forse, come sosteneva Carl von Clausewitz, distruzione bellica e politica della ricostruzione non sono che una sequenza, un nastro di Möbius. Qui la progressione è a nudo.


2.

La città è evidentemente altrove. Ma ha senso parlare di Berlino come di una città?
A quale entità geografica si riferiva l’esemplare sindaco gay Klaus Wowereit, riconfermato per la terza volta nel suo incarico il 18 settembre 2011, quando già nel 2004 ne parlava come di “una città povera, ma sexy”? Verso quale Eldorado erotico e consumistico intendeva attrarre i milioni di turisti, per lo più aspiranti creativi, giovani e spennacchiati – nell’ordine: italiani, inglesi e nordamericani, spagnoli, francesi –, che vi transitano ogni anno, talora mettendo transitorie radici al riparo del generoso welfare state locale?

 

 

Aveva in mente la città nel suo insieme oppure il suo est e/o il suo ovest, tuttora ben distinti e a loro modo non comunicanti? Benché dalla cosiddetta caduta del Muro siano passati ventiquattro anni, cioè almeno un paio di generazioni, siamo sicuri che il turismo squattrinato in cerca di godimenti, stordimenti, generiche libertà invocato da Wowereit vada proprio a Berlino e non alla ricerca di alcune precise, recintate, residuali enclave? Spalmati lungo il vecchio tracciato orientale del Muro – Kreutzberg, Friedrichshain, Prenzlauer Berg – i ventenni e trentenni bottiglia-di-birra-in-mano sono quanto di più vecchio si possa vedere in Europa.  Allo stesso tempo nostalgici e privi di memoria, cercano nel tessuto cicatriziale della città un luogo dove essere se stessi prima di sapere chi sono.


3.

Il primo atto di riunificazione fu, nel 1990, la fulminea creazione di un sistema ‘integrato’ di trasporti pubblici. Il Muro non era un modo di dire: i binari dei vecchi tram che servivano l’est terminavano davanti a quel blocco in ferro e cemento. Il capolinea significava una bella inversione a U e ritorno al punto da cui si era venuti. Dall’altra parte c’erano i confortevoli e moderni autobus occidentali. Niente rotaie a intralciare il traffico, niente connessioni con il remoto est.

 

 

Se si prende in mano la mappa dei servizi di superficie della Berlino attuale, ci si sente in preda a un’allucinazione. Sembra che chi l’ha disegnata abbia voluto raffigurare solo la rete orientale. Di là, a ovest, è tutto grigio, disattivato, come se i mezzi di trasporto su rotaia continuassero a morire di fronte all’ormai inesistente Muro. Solo a poco a poco si capisce che, a occidente, le rotaie non c’erano da un pezzo, sostituite da ingombranti, lenti, panoramici bus, di frequente a due piani.
Il primo colpo di genio – e di bacchetta magica – dei pianificatori dell’improvvisa riunificazione urbana fu il “ring” sopraelevato della metropolitana: un anello che attraversa Berlino come una circonvallazione, in teoria senza soluzione di continuità. Col senno di poi quella saldatura eccessivamente frettolosa, oggi potremmo dire ideologica, ha cominciato a scollarsi. Le smagliature sono una costante, rammendate ogni volta da pullman navetta cui l’avvilita, sedata, paziente popolazione autoctona sembra aver fatto l’abitudine.

 

 

Ancora oggi, se si prende un taxi a ovest per andare a est o viceversa, bisogna fare da guida al conducente, come se dall’altra parte non ci fosse mai stato e non ci andasse volentieri. E capita spesso di parlare con berlinesi dell’est che non si sono mai spinti a ovest e con berlinesi dell’ovest che non hanno mai avuto la curiosità o l’interesse di spingersi a est. I muri fanno il nido nel cuore e nella testa: si ereditano come il dna e sono contagiosi.
Dove si va, dunque, quando si va a Berlino?
 

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