Arrigo Lora Totino: poesia ginnica

29 Aprile 2023

È il 1982. Al Rondò di Bacco di Firenze, un teatrino a lato di Palazzo Pitti, assisto con il mio amico Vanni allo spettacolo Futura. Poesia Sonora. Sul palcoscenico ci sono un performer, un uomo alto, magro, barba rada, in calzamaglia nera, e una pianista. Il performer declama poesie delle avanguardie storiche, testi fonetici del Futurismo italiano e russo, del Dadaismo svizzero e tedesco e del Simultaneismo francese (basato sulla simultaneità di più voci e temi). A un certo punto (sembra un’impresa impossibile) il performer legge Fisches Nachtgesang (Canto notturno del pesce) (1905) di Christian Morgenstern (1871-1914), una poesia in cui non vi sono parole, ma solo i segni delle sillabe brevi e lunghe della metrica classica, lineette ben ordinate e semicerchi, quest’ultimi, in un tentativo di interpretazione generosa, rimandano forse alle squame del pesce e sembrano mimare il movimento delle onde.

Come se la caverà l’uomo in calzamaglia nera? Come si può declamare il canto di un pesce muto? Il performer non si scoraggia, produce una serie di schiocchi e clic buccali scanditi e cadenzati, dando voce in modo mirabile a una scrittura asemica. Nessuna meraviglia, perché l’uomo in calzamaglia nera è un musicista atipico, autore di «Musiche mute». È chiaro che ama il gioco verbale, il nonsense.

Vedo intorno a me, alcuni spettatori disorientati, c’è perfino un tentativo di contestazione che l’uomo in calzamaglia nera rintuzza elegantemente: scende dal palcoscenico e si piazza davanti al contestatore, provocandolo a sua volta con voce stentorea. È abituato il Nostro a questo genere di reazioni (lo erano anche i futuristi, spesso durante le loro tumultuose serate sono aggrediti con feroci battibecchi, cazzotti e oggetti volanti): una volta, al festival Internazionale dei Poeti in piazza di Siena a Roma (1980), l’uomo in calzamaglia nera è bersagliato con lanci di cocomeri da un gruppo di spettatori; con spirito battagliero, lui reagisce rilanciando verso il pubblico brandelli di cocomero.

A proposito di testi illeggibili, il Nostro è un campione, in un’altra performance (nella galleria Yvonne Arte Contemporanea di Vicenza il 21 marzo 2009) si cimenta nella lettura di una poesia di Man Ray (1890-1976) intitolata Lautgedicht (Poema sonoro) (1924), formata solo di cancellature orizzontali, di varia lunghezza, sistemate in modo da simulare la struttura di una poesia. Cosa s’inventerà questa volta l’uomo in calzamaglia nera? Proietta la poesia di Man Ray su una parete, si avvicina all’immagine e, seguendo verso dopo verso le singole cancellature, muove la mano in alto e in basso, come se fosse di fronte a uno spartito musicale.

A questo punto, senza dilungarmi oltre, svelo l’identità dell’uomo in calzamaglia nera. È Arrigo Lora Totino (1928-2016), che dal 1962 si firma ALT, una delle figure più importanti nel panorama internazionale della poesia concreta, sonora e performativa, «el último futurista», secondo un’antologia di testi loratotiani uscita in Spagna nel 2010.

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Ne parlo perché è in corso una mostra dedicata all’uomo in calzamaglia nera, Milleuno ALT – Arrigo Lora Totino, a cura di Giovanni Fontana, Giuseppe Morra e Patrizio Paterlini, aperta dal 16 marzo fino al 31 luglio 2023 presso la Casa Morra Archivi d’Arte Contemporanea, Salita San Raffaele 20C, a Napoli. La Fondazione Morra ha acquisito, grazie alla collaborazione di Lou Braghin Lora Totino, moglie dell’artista, il prezioso Archivio Arrigo Lora Totino che copre un arco temporale che va dal 1964 al 2016.

Casa Morra documenta le ricerche più vitali dell’arte contemporanea, dall’Azionismo Viennese alla Body Art e alla Poesia Visiva, da Joseph Beuys a Allan Kaprow, John Cage, Marcel Duchamp, e allo stesso tempo promuove laboratori per bambini e ragazzi. La mostra Milleuno ALT – Arrigo Lora Totino comprende circa 50 opere di ALT provenienti dalle Fondazioni Berardelli e Bonotto e dalla collezione Morra, ci sono anche partiture originali, lettere, cataloghi, brochure di gallerie, libri. Su alcuni cubi bianchi campeggiano le Macchine celibi (1998-2007) di ALT, astrusi congegni senza alcuna utilità pratica. In mostra c’è anche il frac indossato da ALT in alcuni spettacoli. L’organizzazione della mostra si deve alla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee in collaborazione con la Fondazione Morra, nell’ambito dell’edizione 2022 di Progetto XXI, con lo scopo di dare continuità alla manifestazione Mille Nanni (il Nanni in questione è Balestrini). Sono previste tre giornate di incontri. Inoltre, all’interno del percorso espositivo, è presente VADUZ 1974, un’installazione sonora di Bernard Heidsieck, altro grande protagonista della poesia sonora internazionale, amico e sodale di ALT.

Il materiale utilizzato per lo spettacolo Futura, da cui iniziano alcuni miei ricordi di ALT, spettacolo fatto girare fin dal 1978 insieme alla ballerina Valeria Magli, con la regia teatrale di Lorenzo Vitalone, confluisce in un’audio-antologia, titolo omonimo, pubblicata dalla Cramps Records di Gianni Sassi, una storia della poesia sonora articolata in sette LP33, corredata da testi, partiture e documenti fotografici. Perché va detto subito: ALT, nella sua lunga attività creativa, è stato, non solo un artista a tutto tondo, ma anche un ricercatore appassionato, un archivista meticoloso e preparato e uno storico delle esperienze delle avanguardie passate e presenti. Ad esempio, nel 1980 realizza Il colpo di glottide, una serie in tredici puntate sulla poesia sonora realizzate per la seconda rete radiofonica della RAI, e nel 1989 pubblica una Storia della poesia sonora in quattro audiocassette sul numero 18 di «Baobab», prima audio-rivista di poesia sonora in Italia, ideata da Adriano Spatola. Inoltre, fonda due riviste, «Antipiugiù» (1961) e «Modulo» (1964), quest’ultima non andrà oltre il primo numero, dedicato alla poesia concreta (nel comitato direttivo figurano, fra gli altri, Germano Celant, Gillo Dorfles e Max Bense). Nella collana «Archivio della Poesia del ‘900» dell’editore Simonetti di Mantova, ALT cura il volume Poesia concreta (2002). Prendete la parola «spazio», moltiplicatela fino a formare un quadrato, dentro il quale compare un altro quadrato sempre composto dalla parola «spazio», parola che diventa sempre più piccola fino a risultare illeggibile; oppure trasformate l’accento circonflesso della parola rêve in uno stormo di uccelli che sbattono le ali: ecco queste sono poesie concrete.

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Dopo un periodo iniziale in cui, come ricorda Giovanni Fontana, frequenta le gallerie torinesi, realizzando opere legate a forme post-espressionistiche, materiche, con colori forti e dense pennellate, che lasciano trasparire gli effetti della fascinazione del gruppo Cobra, e altre, datate 1959, in cui sperimenta la tecnica del “dripping” inventata da Jackson Pollock, ALT si avvicina all’area della sperimentazione concreta e sonora. Sembra che la folgorazione avvenga nel maggio 1974 quando ALT assiste alla declamazione di Bombardamento di Adrianopoli, ultimo brano del dramma parolibero marinettiano Zang Tumb Tuum (1914), eseguita dall’aeropittore futurista Tullio Crali in occasione di una mostra di Balla presso la Galleria Martano di Torino. Una delle prime mimo-declamazioni di ALT, dedicata proprio a Zang Tumb Tuum, avviene in un ristorante di Milano nel 1975, alla presenza di una madrina d’eccezione, Vittoria Marinetti.

Dopo di che sarà tutto un susseguirsi di verbotetture, parola-valigia coniata da ALT per indicare tavole di poesia visuale in cui la struttura è l’elemento significativo, come pure di audiotetture dove è il suono delle parole o frammenti di esse a prendere il sopravvento. Nel 1968 ALT crea la poesia liquida, invenzione spettacolare che realizza con l’idromegafono, un corno pieno d’acqua, costruito dall’artista Piero Fogliati, che consente di annaffiare le vocali, di umidificare il fiato, di affogare e inabissare qualsiasi testo. Nel 1974 sarà la volta della poesia ginnica, che ALT propone indossando una calzamaglia nera o bianca, a volte un tutù, dove la pratica poetica diventa sketch, cabaret. Nel 1981 presenta i pappapoemi, poesie da mangiare. È solo una parte dell’armamentario verbo-sonoro del formidabile «teatro della parola» di ALT.

ALT mi ha regalato diversi suoi libri, con dediche stringatissime: «a Paolo Albani», e sotto una A maiuscola tagliata da una T e da una L, sempre maiuscole e sovrapposte, e le ultime due cifre dell’anno. Nel quotidiano l’uomo in calzamaglia nera era di poche parole, lo adoravo (e lo adoro) anche per questo. Una volta mi ha donato un piccolo cartoncino rettangolare dove c’era la frase: «per l’ap», seguita da un punto nero (la soluzione è: per l’appunto). A suo modo, un rebus in miniatura, che coniuga figura e parola (ne ha fatti diversi di rebus “artistici”). Motivo per il quale l’opera finisce nel catalogo di Ah, che rebus. Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, curata da Antonella Sbrilli e Ada De Pirro, tenutasi a Palazzo Poli di Roma dal 16 dicembre 2010 all’8 marzo 2011.

Un ultimo ricordo. Siamo nel marzo 2007. Al Caffè «Giubbe rosse» di Firenze si svolge la IX edizione del Festival Internazionale di Poesia in azione: ‘a+Voci’. Fra gli artisti invitati ci sono Julien Blaine, Arrigo Lora Totino e anche lo scrivente. Da parte mia leggo alcune Poesie fulminanti, fra cui questa che enuncio con un breve preambolo: «Uno dei testi poetici più sensuali, perversi, erotici, libertini, peccaminosi, dissoluti, scandalosi, eccitanti, afrodisiaci, seducenti, osceni, passionali che io conosca è un testo breve, brevissimo, ma di una grande intensità emotiva. Ecco cosa dice il testo: [qui faccio una breve pausa, per creare una piccola suspense; poi dico] ...sterone».

Il pubblico (benevolo) applaude. Sto per esibirmi in un’altra poesia fulminante quando ALT, di fianco a me, chiede: «Non ho capito il testo?». Mi giro verso di lui e ripeto: «sterone». Gli spettatori ridono. Anche ALT se la ride sornione, forse davvero nel frastuono della sala non ha sentito la parola o forse (più probabile) si prende gioco di me. A questo punto Lou, rivolta al marito, esclama a voce alta, in modo da farsi capire bene dai presenti: «Quello che non hai più!».

Non male come gag, nello spirito della poetica dell’uomo in calzamaglia nera.

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