Barthes: il senso del calzino
Dimmi che calzini indossi e ti dirò a che generazione appartieni.
È il titolo di un articolo apparso su Vanity Fair (27 giugno 2024), nel quale si descrive l’ultima polemica emersa su TikTok fra Millennial e Gen Z: mentre i primi portano il calzino al di sotto della caviglia (ankle socks), i secondi inorridiscono e comprano i calzettoni alti al polpaccio (crew socks).
Gusti e abitudini a parte, la promessa o minaccia dell’asserzione – dipende se si è nati alla fine degli anni Novanta (Gen Z) o all’inizio degli Ottanta (Millennial), con buona pace per le altre generazioni (sic!) – nella sua sottile postura apodittica, avrebbe probabilmente solleticato l’interesse niente meno che di Roland Barthes, che agli enunciati delle riviste di moda consacra il suo lavoro, se non più importante, sicuramente più imponente: il Sistema della Moda (1967).
Basti pensare che il corposo volume, appena ridato alle stampe dalla casa editrice Mimesis in un’edizione completamente aggiornata a cura di Bianca Terracciano – che non manca di rivederne alcuni aspetti terminologici e di arricchirlo con una vivace postfazione – si articola in 25 densissimi capitoli, suddivisi in tre grandi parti principali, distribuiti su un totale di 381 pagine.
In questo importante lavoro, dicevamo, il semiologo francese ci accompagna in un viaggio all’interno del codice vestimentario, un’avventura nella quale Barthes descrive il generarsi delle forme e dei significati dell’abbigliamento, mostrando i sensi dei suoi tessuti, ma soprattutto delle sue pieghe, attraverso l’analisi di un corpus di didascalie in fieri nella comunicazione di moda.
Fra gli altri Barthes si occupa di enunciati come “Gli imprimé trionfano alle corse”, oppure “Ogni donna accorci la gonna fin sotto al ginocchio, adotti i carreaux fondus e cammini in scarpette bicolori”, o ancora “Ama gli studi e i surprise-party, Pascal, Mozart e il jazz freddo. Porta tacchi bassi, fa collezione di piccoli foulard, adora i maglioni decisi del fratello grande e le gonne sbuffanti e fruscianti”.
Impossibile ripercorrere qui la complessità dell’opera, a cui Roland Barthes consacra dieci anni di vita, quasi quanti quelli delle riviste di moda che passa in rassegna. Quel che possiamo fare è provare a richiamare rapidamente alcuni livelli che costituiscono altrettanti possibili punti di accesso alla multiforme e dinamica sfera della moda.
Il primo livello è per così dire di tipo epistemologico.
Alla base del pensiero di Barthes vi è l’idea che al principio del codice vestimentario non vi sia un singolo linguaggio – sia esso la lingua naturale delle riviste di moda, che costituiscono il corpus di analisi principale della sua opera, o l’abbigliamento che compone il nostro guardaroba, con le sue forme, materie e colori – ma, come dirà più avanti il semiologo della cultura Jurij M. Lotman, l’intima relazione che li precede e li genera. Di che si tratta?
Quasi a mo’ di confessione è lo stesso RB a rivelarcelo nella sua premessa al volume: “in verità questo lavoro non verte né sull’indumento né sul linguaggio, ma, in qualche modo, sulla ‘traduzione’ dell’uno nell’altro, nella misura in cui il primo sia già un sistema di segni”. In altre parole, come scrive Gianfranco Marrone nell’introduzione al Senso della moda (Barthes 2006), il vestito si dice in molti modi: c’è un vestito parlato e uno parlante, che tendono a mescolarsi fra loro. Allo stesso modo, avverte Barthes, all’interno della “moda scritta”, si stratificano una serie di sistemi: dal codice vestimentario dell’indumento portato, al lessico impiegato per nominarlo, fino al sistema più finemente retorico, decisivo nell’investimento dell’oggetto di valore.
Tornando al nostro esempio, si tratterà di mostrare come, si passi il termine, il “senso del calzino” si genera nel gioco di traduzioni reciproche fra l’uso che se ne fa – da parte dei più giovani o dei più giovanili, in opposizione agli altri – e il linguaggio che lo racconta e in qualche modo ne sancisce il significato.
Possiamo passare al secondo livello, di tipo metodologico.
Il metodo di Barthes consiste nell’individuare i diversi elementi che operando simultaneamente ma in modo differenziale costituiscono le unità significanti del linguaggio vestimentario. Come si fa?
Riprendendo i postulati della teoria del linguaggio di Luis Hjelmslev, Barthes ricorre alla cosiddetta “prova di commutazione”, cioè a un’operazione che consiste nel far variare un tratto presente nella struttura dell’indumento e osservare se questa variazione introduce un mutamento nel suo uso o nella sua lettura, cioè sul piano del significato.
Stando al nostro esempio il dettaglio che costituisce l’unità significante del “sistema calzino” non sarà il colore, il tessuto, il ricamo, la stampa e nemmeno la famigerata griffe, le cui variazioni non mutano il significato “generazionale” dell’indumento, ma il tratto plastico della lunghezza – al polpaccio o alla caviglia? –, cioè la relazione che essa crea con il corpo di chi lo indossa.
Siamo giunti così al terzo livello, di tipo terminologico.
Si tratta del livello più superficiale e operativo del metalinguaggio messo a punto da Roland Barthes. Corrisponde all’insieme di concetti, cioè degli strumenti mutuamente interdefiniti, necessari all’analista per smontare il meccanismo della comunicazione.
È il caso di una coppia di termini come “indumento mondo” e “indumento moda”, usata da Barthes per inventariare i messaggi veicolati (e modellati) dal linguaggio vestimentario. Ora, dove il primo termine corrisponde a una classe di significati che riguardano lo stato, il genere, il carattere, l’umore e financo le circostanze sociali legate all’indumento oggetto di desiderio, il secondo termine si lega esclusivamente al suo essere di moda o fuori moda. Dove, la prima classe è sempre oggetto di una specificazione da parte della comunicazione, la seconda all’inverso è (quasi sempre) implicita. Ovvero, dice Barthes, per veicolare l’essere di moda basta la semplice notazione del dettaglio.
Per questa ragione il Sistema della Moda insiste sulla formazione della prima classe di significati, per la quale occorre l’azione (e l’analisi) del sistema retorico. È infatti per il tramite della retorica che l’indumento incontra il mondo, lo riveste delle sue forme e infine aiuta l’analista a risolvere la sua mitologia, il sistema di valori di una collettività o se si vuole di una forma di vita.
Insomma, per chiudere, a dispetto dell’apparente umiltà, la lunghezza del calzino non si limita a denotare la generazione a cui appartiene – o a cui pretende di appartenere – chi più o meno consapevolmente lo indossa e lo mostra a tale scopo; ma a ben guardare ci rivela che nella moda a contare non è tanto il sesso, lo stato, l’umore, il carattere e così via.
Piuttosto è qualcosa di non modificabile – se non con dei più o meno riusciti camouflage, che la moda vende a caro prezzo –, ovvero la linea del tempo: la nostra età.
Già Roland Barthes nella sua opera avvertiva che l’essere (o apparire?) giovani è ciò che vale sopra ogni cosa.
Per saperne di più
G. Marrone, 2006, “Introduzione”, in R. Barthes, Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, Einaudi, Torino; I. Pezzini, 2014, Introduzione a Barthes, Laterza, Roma-Bari; B. Terracciano, 2024, “Postfazione”, in R. Barthes, Il sistema della Moda, Mimesis, Milano.
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